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ANNIVERSARIO

«La Santa Sede non può abbandonare Taiwan»

La celebrazione per gli 80 anni delle relazioni diplomatiche è l’occasione per rilanciare il ruolo di Taiwan, «un faro per l’evangelizzazione in Asia». Padre Gianni Criveller (Pime) alla Bussola: il bene cresciuto a Taiwan deve essere valorizzato anche per la Cina popolare.

Ecclesia 14_07_2022

Quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica di Cina (Taiwan) e la Santa Sede. Un’occasione propizia per mettere la lente di ingrandimento sul percorso fatto, soprattutto alla vigilia della scadenza dell’Accordo Provvisorio della Santa Sede con la Repubblica Popolare Cinese il prossimo mese di ottobre.

“Sono 80 anni di amicizia, caratterizzati da un percorso di fraternità, solidarietà e di difesa dei più deboli e vulnerabili”. Lo ha evidenziato l’Ambasciatore Matthew S.M. Lee durante il discorso di benvenuto della conferenza “Formosa Taiwan, Campo di Dio”, tenutasi lunedì 11 luglio presso la sede dell’Ambasciata della Repubblica di Cina (Taiwan), alla presenza di autorevoli voci e personaggi di rilievo del mondo ecclesiastico.

In particolare, la presenza del Segretario del Dicastero per l'evangelizzazione, Mons. Protase Rugambwa (qui il testo del suo intervento), è un segno di sostegno e non solo, perché nel suo discorso ha anche affermato che “Taiwan è davvero un campo di Dio, siamo ancora all’inizio, c’è ancora molto lavoro da fare insieme, occorre andare avanti lasciandoci guidare dallo Spirito Santo”. Ha sottolineato che “è urgente dare all’evangelizzazione un impulso forte e decisivo affinché questo Campo di Dio diventi veramente una realtà determinante per l’evangelizzazione in Asia, una luce, un faro potente, che dà testimonianza dell’amore di Dio manifestatosi in Cristo Gesù”.

Inoltre, l’evento ha visto la partecipazione di tre importanti sacerdoti, che hanno lavorato e vissuto a Taiwan per molti anni: il missionario del Pime, padre Gianni Criveller, il missionario camilliano, padre Felice Chech, e il sottosegretario del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, padre Paulin Batairwa Kubuya. Il moderatore è stato il prof. Peter Kuo Hsioung Chiang. Inoltre, hanno partecipato più di 80 persone tra ufficiali del Vaticano, membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, religiosi di diverse congregazioni e amici dell'Ambasciata.

A Taiwan “la Chiesa è libera e in pace” è il monito che si è evidenziato tra gli interventi e le testimonianze della giornata si possono riassumere in una frase del sottosegretario del Dicastero per il Dialogo Interreligioso: “Descriverò l’esperienza di Taiwan come plurale, ordinata, diretta alla pace e al bene comune e dialogante - ha detto Don Paulin - Tutto ciò perché è fondata su un valore non negoziabile: la libertà di religione”.

Tutto questo nonostante “nessun Papa sia mai stato a Taiwan”, ha sottolineato padre Gianni Criveller, facendo un accorato appello: “Non si può considerare Taiwan come un mero retaggio storico del quale ci si può liberare. Taiwan è piccola, ma la sua vicenda ha un grande significato: qui la Chiesa è libera e in pace. C’è libertà, pluralismo, dialogo tra credenti di diverse fedi e democrazia. Non è poco in questo tempo dove si amano così poco la libertà, il dialogo e la democrazia”. Parole molto sentite che hanno portato la Bussola a una conversazione esclusiva con padre Gianni Criveller.

Nel suo intervento lei ha fatto un riassunto della missione cattolica sull’isola, evidenziando che nessun Papa è mai andato a Taipei, ma cosa si aspetta per il futuro?
È vero che nessun Papa è mai stato a Taiwan, ma io spero che questo non significhi che la Santa Sede sia poco interessata a Taiwan. In realtà le circostanze storiche hanno spinto Taiwan e la Santa Sede a collaborare e a camminare insieme per 70 anni, da quando la Nunziatura è stata spostata da Pechino fino a Taipei nel 1951. E 70 anni non sono pochi, è stata un’esperienza, come abbiamo sentito stamattina, piena di collaborazioni, di risultati straordinari a favore della gente di Taiwan, di soccorso alla popolazione e di evangelizzazione. Il numero dei cattolici a Taiwan si è moltiplicato grazie a questo. Qualche volta si sente dire, da persone che secondo me non conoscono Taiwan e non l’amano come meriterebbe, che  Taiwan deve essere messa da parte per ottenere risultati diplomatici dall’altra parte. Io invece sono dell’idea che la gente di Taiwan, la storia di Taiwan, il popolo di Taiwan la Chiesa, le diocesi e la comunità religiosa di Taiwan vanno apprezzate, vanno considerate, vanno rispettate, e dunque si deve continuare questo cammino tra la Santa Sede e Taiwan. Naturalmente sperando che il bene che c’è a Taiwan, come il bene della libertà, il bene della pace, il bene della collaborazione, il bene del dialogo tra diverse fedi religiose, il bene della democrazia, possa essere lo stesso anche nelle altre zone della Cina.

Papa Francesco ha detto nell’intervista che ha rilasciato alla Reuters che dava fatto una valutazione positiva dell’accordo tra la Cina e la Santa Sede: che ne pensa?
Il Papa ha anche detto l’anno scorso, parlando a una televisione spagnola, che si rendeva conto della difficoltà di questo accordo, dei risultati insufficienti rispetto alle attese e che il dialogo si deve fare anche quando non si ottengono tutti i risultati che si vorrebbero. Io non credo che al Papa sfugga questa difficoltà, per cui auguro con tutto il cuore che il suo desiderio di un maggiore dialogo, di una maggiore libertà per la Chiesa in Cina venga realizzato. Purtroppo, sul campo non vediamo i risultati sperati.

A Taipei però si mantiene una Nunziatura senza nunzio da tanti anni: è possibile una svolta?
Dunque, io direi che per il momento bisogna tenere distinte due questioni: la questione diplomatica, con un riconoscimento attraverso uno scambio di rappresentanze diplomatiche, e la questione dell’accordo pastorale con la Cina. Io non credo che a breve scadenza la Santa sede sia in grado di stabilire un rapporto diplomatico con la Repubblica Popolare Cinese, sono ancora troppe le difficoltà e credo che siano causate soprattutto dalla politica religiosa della Repubblica Popolare Cinese che non è ancora adeguata a un vero scambio di parità. Mi sembra chiaro che da parte del Papa e dei suoi collaboratori ci sia il desiderio di fare quello che è possibile fare in questo momento. Io non credo che ci sia l’illusione che le cose in Cina vadano bene, non credo che ci sia questo pensiero. Apprezzo che stiano cercando di fare tutto quello che in queste circostanze è possibile fare e mi rammarico gravemente che i risultati non siano stati adeguati alle attese, ma non per mancanza di impegno della Santa Sede, bensì per mancanza di corrispondenza dell’altra parte.