La Russia non si sta ritirando dalla Siria. E negozia con Erdogan
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Non ci sono le prove per parlare di un ritiro del contingente russo in Siria. C'è una riduzione di forze, perché Assad è caduto, ma restano le basi. La Russia non è intervenuta perché convinta dalla Turchia a non farlo. In cambio di cosa?
La Russia «non lascerà la Siria, farà tutto il possibile per restare» ha detto ieri il ministro della Difesa turco, Yasar Guler, commentando il presunto ritiro delle forze russe dalle basi siriane di Hmeimim e Tartus su cui avevano scritto i media statunitensi e tedeschi.
«Non c'è alcun segno che la Russia stia ritirando completamente le sue truppe in Siria. Non credo che se ne andranno», ha affermato Guler. Il ministro turco ha inoltre smentito le notizie secondo cui l'ormai deposto presidente siriano Bashar al Assad sarebbe fuggito in Russia utilizzando lo spazio aereo della Turchia. Un’affermazione che lascia intendere che l’aereo russo decollato da Hmeimim con a bordo il presidente siriano in fuga abbia sorvolato Iraq e Iran prima di entrare nello spazio aereo russo.
Dopo la caduta del regime di Bashar Assad negli Usa e in Europa si erano diffuse voci (e speranze) che i russi potessero lasciare le basi in Siria: quella aerea di Hmeimim (costituita nel 2015 quando le forze di Mosca intervennero in aiuto di Assad nella guerra in Siria) e quella di Tartus, base navale utilizzata dalla flotta di Mosca fin dagli anni ‘70, quando l’Urss aveva stretti rapporti con il regime siriano di Hafez Assad. L’ultimo accordo vigente fra Russia e Siria per le basi, siglato nel 2017, prevede la permanenza delle forze di Mosca per 49 anni da allora, cioè fino al 2066.
In fondo Mosca aveva combattuto al fianco delle forze di Assad e dell’Iran contro quei ribelli jihadisti sunniti che oggi hanno preso il potere a Damasco e che tante perdite hanno subito a causa del fuoco delle armi russe. Nei giorni scorsi alcune immagini satellitari avevano indotto alcuni osservatori a valutare che la Russia avesse iniziato il ritiro delle sue forze militari dalle basi in Siria.
Il 13 dicembre il Washington Post ha scritto che le autorità russe avrebbero iniziato a smantellare e trasferire a bordo di aerei cargo attrezzature e mezzi militari dispiegati nelle basi siriane come dimostrerebbero alcune immagini pubblicate da Maxar Technologies, società specializzata in rilievi satellitari.
Si vedevano due grandi aerei cargo An-124 all’aeroporto di Hmeimim con la parte anteriore della fusoliera aperta, in modo da caricare a bordo attrezzature pesanti, altre immagini mostravano un elicottero da combattimento semi smontato e pronto per l’imbarco sui velivoli cargo insieme a un veicolo lanciatore del sistema di difesa aerea S-400. Michael Kofman, ricercatore senior presso il Carnegie Endowment for International Peace, ha affermato su X «è in corso un ritiro ma non è ancora chiaro se si tratti di un’uscita completa. Ci sono indizi e voci in tal senso, ma è meglio aspettare le prove».
Sempre ieri sono stati visti atterrare alla base di Hmeimim un aereo cargo Ilyushin II-76 e un elicottero Ka-52 Alligator, probabilmente rischierato in precedenza nelle basi russe nell’entroterra siriano che vengono in queste ore abbandonate.
Le immagini di Maxar hanno mostrato anche la base navale di Tartus dove la situazione è rimasta sostanzialmente invariata rispetto alle foto scattate nei giorni precedenti che mostravano le 5 navi e il sottomarino basati in Siria mantenersi qualche chilometro al largo delle coste siriane. Misura di sicurezza dettata forse non dal rischio di attacchi da parte dei miliziani siriani quanto dalla teorica possibilità di finire nel mirino delle forze aeree israeliane che negli ultimi giorni hanno distrutto tutti gli arsenali militari appartenuti alle forze militari siriane, incluse 15 navi della Marina di Damasco affondate dai missili di Israele.
Il Cremlino ha affermato che garantire la sicurezza delle basi militari e delle missioni diplomatiche russe in Siria è “di fondamentale importanza”, sottolineando che Mosca ha mantenuto i contatti con la nuova leadership a Damasco. Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha rifiutato di fornire dettagli sul numero delle truppe russe presenti in Siria o sullo stato delle potenziali evacuazioni.
Ieri l’agenzia Reuters ha riferito che un aereo cargo russo è partito dalla base aerea di Hmeimim per la Libia, citando un funzionario della sicurezza siriana di stanza fuori dall’aeroporto che ha aggiunto che nei prossimi giorni sono previste altre partenze di voli russi. La base libica interessata al rischieramento di forze russe dalla Siria potrebbe essere quella dell'oasi di al-Kufrah, nell'estremo sud-est libico non lontano dal confine col Ciad, controllata dalle truppe russe e dell'Esercito Nazionale Libico del generale Khalifa Haftar, dove viene segnalato l'arrivo di aerei da trasporto pesante russi.
Il 13 dicembre l’agenzia di stampa DPA ha reso noto un documento della Difesa tedesca in cui si evidenzia che la Russia stia facendo tutti i preparativi necessari per l’evacuazione completa delle sue basi militari in Siria. Anche Bild e Der Spiegel riferiscono, citando analisti militari tedeschi, che la Russia si sta preparando a evacuare completamente le sue basi militari dalla Siria. Le garanzie di sicurezza da parte dei nuovi governanti in Siria dopo la caduta di Bashar al-Assad, riportano i media tedeschi, si riferiscono probabilmente solo al ritiro delle forze russe dalle diverse basi sparse sul territorio siriano “e non alla loro presenza permanente”.
Secondo l’analisi riportata dai media tedeschi, la perdita delle basi in Siria influisce negativamente sulla capacità russe di sostenere l’impegno dei suoi contingenti in Africa e sulla possibilità di mantenere una presenza navale costante nel Mediterraneo. Il rapporto afferma inoltre che senza un accordo con i nuovi governanti siriani, la Russia sarà probabilmente in grado di mantenere solo una «limitata presenza marittima nel Mediterraneo».
Al di là di ipotesi tedesche e statunitensi al momento i movimenti in atto indicano che vi sono lunghi convogli militari russi che da diverse aree della Siria meridionale, centrale e orientale (Damasco, Homs e Hasaka) muovono verso le due basi sulla costa siriana poiché la loro missioni di supporto alle forze governative siriane è cessata con la caduta di Assad.
Convogli che muovono scortati dai miliziani di Hayat Tahrir al Sham (HTS), il gruppo che ha guidato la sollevazione armata che ha portato alla caduta del regime dell’ex presidente Bashar al Assad, a conferma che le milizie siriane rispondono direttamente alla Turchia che aveva offerto corridoi sicuri per il rientro alle basi costiere delle truppe russe schierate nell’entroterra siriano.
In Siria si trovano circa 4mila militari russi con 5 navi, un sottomarino, 30 mezzi corazzati, 16 pezzi d’artiglieria, missili antinave e antiaerei, 22 aerei da combattimento e 16 elicotteri. La fine delle operazioni sul territorio siriano ha reso superflua la presenza di una forza così consistente che non dovrà più combattere dopo la fuga di Assad a Mosca. Per questo è plausibile che molti aerei, truppe e mezzi terrestri vengano trasferiti dove sono più utili: a rinforzare le truppe russe in Libia e Africa o a contribuire alle operazioni belliche o in Ucraina.
Quanto alle immagini di Maxar, missili antiaerei ed elicotteri parzialmente smontati per il trasporto non significano necessariamente la riduzione degli assetti russi in Siria poiché potrebbe trattarsi del rimpatrio di armamenti che necessitano di manutenzione o revisione
In futuro, se i russi potranno mantenere le due basi in Siria, queste costituiranno due hub logistici per il traffico militare tra Medio Oriente, Africa e Russia e la presenza nel Mediterraneo. Certo vi sarebbero aerei da caccia e missili per la difesa aerea ma in misura minore rispetto alle esigenze riscontrate fino a ieri.
In ogni caso appare chiaro che la permanenza o meno delle basi in Siria e la consistenza delle forze schierate da Mosca è già stata oggetto di un negoziato e forse di un accordo tra Ankara e Mosca. Sembrano confermarlo le parole del ministro della Difesa turco, Yasar Guler, ma anche quelle del ministro degli Esteri di Ankara, Hakan Fidan, vero artefice del cambio di regime a Damasco.
Fidan ha ammesso il 13 dicembre che la Turchia ha convinto Russia e Iran a non intervenire in Siria in aiuto ad Assad durante l’offensiva dei ribelli. Ma non ha spiegato quali contropartite abbiano incassato in cambio russi e iraniani.