La rivoluzione "woke" sbarca in Italia. Non sottovalutiamola
Al liceo Zucchi di Monza, i ragazzi vanno in gonna per protesta contro il maschilismo. All'Ulisse Dini di Pisa, occupano il liceo per protesta contro un preside che nega l'identità trans a uno studente. Al liceo Cavour di Torino, invece, il preside introduce l'asterisco gender (*) nel linguaggio scritto. Sono tre episodi che, presi singolarmente, fanno solo costume. Ma se presi assieme sono la prova che la rivoluzione "woke", quella della cancel culture e del politicamente corretto che ha devastato la cultura americana e britannica, sta arrivando in Italia. Non va presa sotto gamba. Culturalmente parlando, è peggio ancora del marxismo.
- "NON SONO BIANCO" di Giuliano Guzzo
"Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”, è un famoso aforisma di Agata Christie. E in questo caso è la prova che il delitto sta per compiersi, l’ingresso della rivoluzione woke anche nel nostro paese, proprio nel punto più nevralgico, la scuola. La ideologia woke, dall’inglese to wake, cioè “risvegliarsi”, intende combattere ogni forma di discriminazione etnica, sessuale, religiosa, e si è diffusa negli Stati Uniti soprattutto con Black Lives Matter, estendendosi poi alle cause di molte altre minoranze. Il problema è cosa tale ideologia intende con “discriminazione” e soprattutto come pensa di combatterla.
Primo indizio. Al Liceo Zucchi di Monza, un gruppo di studenti (maschi) si reca a scuola abbigliandosi con la gonna, per denunciare “sessismo” e “mascolinità tossica”. Secondo indizio. Al Liceo Ulisse Dini di Pisa, un manipolo di studenti protesta e addirittura occupa la scuola perché a uno di loro la direzione ha negato di accedere all'identità trans. Terzo indizio. Al Liceo Cavour di Torino, il preside adotta la scrittura “inclusiva”, quella che prevede l’asterisco al posto di sostantivi e aggettivi connotati dal punto di vista sessuale. In questo caso l’iniziativa non è partita dagli studenti ma da un professore “in fase di transizione” eppure le solite organizzazioni studentesche hanno aderito entusiasticamente.
Sono molte le tristi considerazioni che questi tre fatti conducono con sé. Negli anni Settanta gli studenti occupavano a suon di Contessa del recentemente scomparso Paolo Pietrangeli. Tra gli inviti a “usare il martello” contro i borghesi (puntualmente eseguiti, ma con chiave inglese e spesso contro ragazzi di estrazione proletaria considerati fascisti) e gli studenti con le gonne, qualcuno potrebbe ritenere trattarsi di un progresso. Per noi, non tanto.
L’allucinata e distorta ideologia marxista degli anni Settanta faceva pur parte di un percorso storico, con i suoi legami con il passato. Trasmetteva una sua visione di durezza della vita, che in qualche modo educava i giovani. E, diciamolo pure, il marxismo è stata una religione politica secolarizzata, un'eresia del cristianesimo: nei poveri e rozzi versi di Contessa, ad esempio, è possibile vedere comunque il suo far parte di un orizzonte culturale di questo genere.
Gli studenti con le gonne, gli occupanti in nome di un nome trans, gli asterischi e già che ci siamo le schwa, appartengono invece a un tempo nuovo rispetto a quella storia. Un tempo, diciamolo tutto, post-cristiano, le cui rivendicazioni investono un orizzonte bio-politico, manipolato dalla tecnica, in cui sono saltati i legami con la tradizione, non solo quella storica ma anche quella teologica. E siccome la politica è sempre teologia politica… Inoltre cambia la missione della scuola. Non più formare alla vita, che è roba dura, ma astrarre dalla vita. Tutto questo linguaggio composto da slogan vuoti “inclusività”, “mascolinità tossica” è finalizzato a non “urtare la sensibilità”, altra parola magica del dizionario woke e politicamente corretto. Nel Regno Unito si parla di generazione snowflakes, fiocchi di neve, per identificare giovani fragili psicologicamente, i cui genitori hanno spesso miseramente fallito. Ed è quella dell’autore di queste righe, per cui possiamo davvero amaramente riconoscere con Giorgio Gaber che anche “la mia generazione ha perso”, oltre la sua.
Un’ altra considerazione che lega questi tre casi riguarda il tipo di istituto e la sua collocazione geografica: si tratta di licei molto antichi e prestigiosi di tutte e tre le città, tre capoluoghi di provincia mediamente ricchi. E licei, non istituti tecnici o professionali. Insomma, non vorremmo essere scambiati per marxisti (che è sempre meglio di genderisti però), ma questa è una rivolta della borghesia per i bisogni di una strettissima minoranza: altro che diritti universali. Tutto questo mentre, scrive Repubblica del 22 novembre, gli istituti “cadono a pezzi per allagamenti e infiltrazioni d’acqua. Licei che non hanno aule. Strutture che non hanno laboratori”. Forse non lo Zucchi, il Dini e il Cavour: ma quelli frequentati dai figli dei “poveri” (nel senso di Don Milani) sicuramente si. E qui si potrebbe citare l’ultimo Pasolini sui bisogni indotti, ma preferiamo richiamare Franco Battiato che, nella straordinaria, profetica e celebre Patriot to arms (1980) cantava “le barricate in piazza le fai per conto della borghesia / che crea falsi miti di progresso”.
E un falso mito di progresso è proprio la rivoluzione woke, il delitto più grave che si stia compiendo. Sbagliano, sbagliano enormemente coloro che pensano si tratti di un fenomeno momentaneo, limitato alla sfera anglosassone. Tanto è vero che essa è penetrata subito anche in Francia. Infatti, scrive il saggista Brice Couturier nel suo recente OK, Millennials! Puritanisme, victimisation, identitarisme, censure… L’enquête d’un baby-boomeur sur les mythes de la génération “woke” ("OK Millennial! Puritanesimo, vittimismo, identitarismo, censura. Inchiesta di un boomer sui miti della generazione woke" Éditions de L’Observatoire) è un fenomeno rivoluzionario, e come tale pronto ad estendersi ovunque, almeno in Occidente (difficile che in Cina la facciano passare, per dire…). Mentre per il grande linguista afro americano John McWhorter, il wokismo statunitense, focalizzato più sui neri che su islamici, donne e trans, può essere considerato una religione, molto pericolosa. (Woke Racism. How a new Religion betrayed Black America, "Razzismo woke. Come una nuova religione ha tradito l'America nera". Penguin).
Ora le due diagnosi non sono in contraddizione: tutte le rivoluzioni sono fenomeni religiosi secolarizzati. Solo che quelle del passato, compresa quella bolscevica, stavano all’interno di un orizzonte cristiano. La rivoluzione woke, quella del politicamente corretto, della cancel culture, del “differenzialismo inclusivo”, è la prima rivoluzione post-cristiana: e non a caso possiede molti caratteri dello gnosticismo. Se fosse ancora tra noi Luciano Pellicani, che con queste categorie aveva studiato anche l’ultimo islamismo, chissà come avrebbe interpretato il fenomeno. Che sta arrivando anche da noi.
Non credo che la classe politica possieda gli strumenti per opporsi, se non attraverso post o tweet, lamentosi o peggio invocando provvedimenti punitivi o censori. Le rivoluzioni si frenano con la forza, certo, ma prima di tutto con quella delle idee e delle proposte. Contro la rivoluzione woke serve una reazione rigorosa e lucida: anche se non si vede all’orizzonte alcun De Maistre, nessun Donoso Cortes, nessun Monaldo Leopardi.