La riforma fiscale di Trump, lezioni per l'Italia
Pagare meno, pagare tutti. Soprattutto: pagare meno per ciò che guadagno, avere più soldi per spendere dove voglio, senza necessariamente chiedere sconti alla collettività. La riforma fiscale voluta da Donald Trump negli Usa può essere di esempio al fisco italiano. Vediamo come.
Da cosa si distinguono i Repubblicani dai Democratici? Su tutto c’è dibattito, ma su un punto la distinzione è sempre stata netta, almeno dal secondo dopoguerra ad oggi: le tasse. Trump ha promesso un drastico taglio delle tasse. Dalla settimana scorsa, i Repubblicani del Congresso hanno iniziato a discutere la legge per metterlo in pratica. Il risultato, almeno per ora, può dare lezioni anche alla politica italiana.
Senza scendere nei dettagli più tecnici, i Repubblicani propongono un piano di riduzione della fiscalità generale pari a 5.900 miliardi di dollari. Per cercare di colmare il vuoto che si crea da questo minor gettito, propongono di far pagare le tasse a più persone, eliminando una serie di deduzioni fiscali finora accettate, prevedendo di raccogliere 4.500 miliardi di dollari in più. Il piano è dunque sempre in deficit, perché 5.900 miliardi di dollari di minor gettito fiscale meno 4.500 miliardi di dollari in più dovuti alle deduzioni cancellate, danno comunque un disavanzo di 1.400 miliardi. Il piano è decennale, dunque tutte queste cifre astronomiche vanno lette nel medio periodo: spalmate da qui al 2027.
Per colmare il disavanzo, i Repubblicani promettono di tagliare la spesa pubblica. Il primo di questi tagli, presentato in Congresso assieme alla legge di riforma fiscale, è la cancellazione dell’obbligatorietà di assicurazione sanitaria che era stata introdotta (fra mille polemiche) con l’Obamacare, la riforma sanitaria voluta da Obama. La fine dell’obbligatorietà, in sé, non genererà un risparmio dello Stato, ma, indirettamente, potrebbe portare a un minor ricorso, da parte degli utenti, di assicurazioni sussidiate e pubbliche: più di 300 miliardi di dollari. Non sufficienti per colmare il deficit dovuto al minor gettito fiscale. Dunque i Repubblicani al Congresso stanno pensando anche ad altri tagli, fra cui diversi sussidi, ma si preparano a sostenere un aumento del debito pubblico fino a 1500 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. Questo modo di procedere, come possiamo ben vedere, è l’opposto rispetto a quello seguito nella cosiddetta “austerity” italiana: nel nostro caso, il taglio delle tasse non viene neppure preso in considerazione, finché non viene coperto da un analogo taglio della spesa. Visto che, in Italia, la spesa pubblica continua ad aumentare, anche negli anni di “austerity”, per pareggiare il bilancio aumentano le tasse. I Repubblicani, al contrario, si apprestano a tagliare le tasse, prima di tutto. Il taglio delle tasse stesso dovrebbe incoraggiare tagli più seri, perché a molti programmi statali verrebbe a mancare l’ossigeno. E’ il modo di “affamare la bestia” (il governo) come si diceva ai tempi di Ronald Reagan.
Detto questo, dove si taglia di più? Le aliquote per i redditi personali saranno quattro: 12% (per un reddito annuale fino a 45mila dollari), 25% (da 45mila a 200mila), 35% (da 200mila a 500mila) e 39,6% (sopra i 500mila dollari annui). Ad oggi le aliquote sono otto (il doppio) e penalizzano maggiormente le fasce media e medio-bassa della società americana, perché, ad esempio, chi ha un reddito superiore ai 9mila dollari all’anno, già subisce uno scatto di aliquota al 15%, mentre nella fascia media, chi ha un reddito superiore a 92mila dollari annui paga il 28%. Con la riforma della tassa sui redditi, si otterrà un taglio delle tasse pari a 4.100 miliardi di dollari in dieci anni. Al reddito da dichiarare, gli americani hanno già oggi diritto a una deduzione standard. Attualmente la deduzione standard è pari a 6.350 dollari, con la riforma verrebbe quasi raddoppiata a 12.200 dollari. A questo si aggiungerà un credito di imposta speciale per chi ha famiglia pari a 300 dollari e il credito di imposta per i figli verrà aumentato (per la prima volta dal 2001) da 1.000 a 1.600 dollari. L’impresa sarà la maggior beneficiaria della riforma, perché la tassa sugli utili sarà portata al 20% (rispetto all’attuale 35%), pari a un taglio di 1.500 miliardi di dollari. Questa è un’altra lezione per il fisco italiano: meno aliquote ci avvicinerebbero alla logica della tassa piatta (unica aliquota uguale per tutti) e incoraggiano chi guadagna di più. Chi ha famiglia non viene penalizzato dal fisco, come in Italia, ma incoraggiato.
Chi sarà penalizzato da questa riforma? Come abbiamo visto prima, la riforma compensa, parzialmente, il minor gettito previsto riducendo le esenzioni. Il maggior cambiamento sarà l’abolizione della “esenzione personale” (compensata ampiamente, comunque, dal raddoppio della deduzione standard). L’esenzione personale, attualmente pari a 4.050 dollari da dedurre dal proprio reddito da dichiarare, si basa sul calcolo del “minimo necessario per vivere”, adeguato di volta in volta al costo della vita. Ad essere interrotte, poi, saranno anche una serie di deduzioni motivate da scelte personali, che vanno dalla deduzione delle imposte locali, a quelle sul mutuo, quelle sulla proprietà della casa e quelle per le spese mediche. In pratica, se vivi in uno Stato dove paghi tasse alte, questa è una tua scelta e non puoi scaricare le tasse locali dal reddito a spese della fiscalità generale. E’ un modo per responsabilizzare i singoli governi statali di fronte ai loro contribuenti. Stessa cosa vale per gli interessi sui mutui e quelle per la tassa sulla proprietà della casa: non saranno più dedotte. Molto più problematica sarà invece la fine della deduzione per le spese mediche, a cui ricorrono soprattutto molti americani della classe media. Sarà una riforma molto impopolare (anche se i Repubblicani assicurano che riguardi “solo” 8 milioni di cittadini) e anche ingiustamente penalizzante per chi intraprende spese che non ha certamente voluto.
In ogni caso, anche qui si può trarre una lezione molto chiara: pagare meno, pagare tutti. Soprattutto: pagare meno per ciò che guadagno, avere più soldi per spendere dove voglio, senza necessariamente chiedere sconti alla collettività. Tutto questo sembra assolutamente alieno alla mentalità del nostro paese e c’è da scommettere che, non appena il dibattito entrerà nel vivo, i nostri commentatori economici si stracceranno le vesti contro una riforma “che punisce i poveri per aiutare i ricchi”. Mentre è una riforma che mira a incoraggiare chi genera: chi genera reddito, utile e vita. Una filosofia economica che, quanto meno, dovremmo rispettare.