La "questione cattolica"
Dal Triennio giacobino all'Opera dei Congressi, storia di un nodo irrisolto che ancora molto condiziona la condivisione della memoria.
Oggi, sabato 12 febbraio, nella Sala della Promoteca capitolina a Roma, con inizio alle 10,00 si svolge il convegno 1861-2011. A centocinquant'annni dall'Unità d'Italia. Quale identità?, organizzato da Alleanza Cattolica. Intervengono l'on. Gianni Alemanno, Attilio Tamburrini, Marco Invernizzi, Mauro Ronco, Francesco Pappalardo, Marina Valensise, Giovanni Formicola, mons. Luigi Negri, gli onn. Alfredo Mantovano, Alessandro Pagano e Massimo Polledri, quindi Massimo Introvigne e Giovanni Cantoni. Una omonima raccolta di saggi storici e intepretativi, curata da Oscar Sanguinetti e Francesco Pappalardo (Cantagalli, Siena) viene presentata nell'occasione così come un manifesto, sintetizzato nello slogan «Unità sì, Risorgimento no», con cui si chiede di non dimenticare il senso autentico dell'identità italiana imperniata sulla fede cattolica affinché sia possibile operare efficacemente per una "memoria condivisa" che non rinunci alla verità. Quello che segue è il testo di una delle relazioni presentate al convegno.
La questione cattolica nel Risorgimento italiano
Si è soliti sovrapporre la “questione cattolica” e la “questione romana” a proposito del Risorgimento. In realtà i due problemi hanno storie ed esiti diversi. La questione romana esplode nel 1870 e si conclude dal punto di vista giuridico e politico nel 1929, mentre la questione cattolica, che è soprattutto un problema culturale, rimane aperta durante tutti i regimi politici che si succedono in Italia, il liberale, il fascista, il repubblicano.
La Guerra delle Alpi
Mi vorrei occupare soltanto di quest’ultima e cercarne le origini in quello che ormai quasi tutti gli storici chiamano il “lungo Risorgimento”, che comincia con l’invasione francese del 1792 dando vita alla Guerra delle Alpi. Si cercano spesso motivi di identità, oggi, a sostegno di un patriottismo che stenta a crescere e ci si dimentica completamente, nelle scuole come nella letteratura, di questa lunga guerra combattuta sulle montagne del Piemonte e della Liguria, che vide tanti italiani morire per difendere il Regno di Sardegna, che tanta parte avrebbe avuto nel fare l’Italia, dall’esercito della Francia rivoluzionaria.
Durante la Guerra delle Alpi comparvero nuovi combattenti accanto alle truppe regolari: sono gli insorgenti, ossia quegli uomini e quelle donne che scelgono di combattere contro lo straniero, non per le sue diverse origini, ma per la sua visione del mondo incompatibile con quella praticata nei Paesi d’Italia dove s’insedieranno nel ventennio napoleonico, fino al Congresso di Vienna, prima le repubbliche giacobine nel Triennio 1796-1799, poi il regime propriamente napoleonico, fino alla sconfitta del 1814.
La questione cattolica comincia qui ed assume subito, con evidenza, una caratteristica esplicitamente culturale, nel senso che questi strani italiani che avevano convissuto con spagnoli e austriaci, insorgono invece di fronte ai nuovi padroni che cercano di cambiare il loro modo di vivere, mettendo in discussione i fondamenti della vita civile, introducendo la leva di massa, aumentando le imposte, vietando le processioni e il suono delle campane, e spesso chiudendo le chiese come ancora oggi si può facilmente notare leggendo le storie di molte chiese fra le innumerevoli che coprono la penisola.
La Restaurazione
Il regime francese in Italia scompare, ritornano al potere quasi tutti i sovrani spodestati, con l’eccezione di Genova e di Venezia. Ma nel periodo napoleonico è avvenuta una cosa importante, la fine del Sacro Romano Impero, nel 1806, quando Napoleone diventa imperatore dei francesi e Francesco d’Asburgo degli austriaci.
Certo, rimane l’impero austriaco, poi austro-ungarico, che riunisce tante nazioni e popoli diversi all’interno dei propri confini. Ma l’ideologia nazionalista penetra anche all’interno di quest’ultimo e lo mina dall’interno penetrando così in tutta Europa, sulla scia della Rivoluzione francese, ma anche della reazione romantica all’illuminismo che era stata, più o meno consapevolmente, una delle basi culturali della resistenza a Napoleone. Il nazionalismo infatti non scompare con la sconfitta del tiranno córso. E’ l’ideologia protagonista dell’800. Di fronte alla Restaurazione e soprattutto alla Santa Alleanza con cui gli Stati cristiani si impegnano a difendersi reciprocamente dalla Rivoluzione, il nazionalismo “entra in clandestinità” come si sarebbe detto in un’altra stagione, cioè costituisce la base ideologica principale di quelle società segrete che sulla scia della massoneria, divenuta impresentabile in Italia dopo l’appoggio fornito a Napoleone, operano nei diversi Paesi della penisola: la Carboneria, anzitutto nel Meridione, i Sublimi Maestri Perfetti di Filippo Buonarroti, il rivoluzionario di professione, i federati di Federico Confalonieri in Lomfbardia, con Silvio Pellico e Pietro Maroncelli.
Il cristianesimo è ancora la cultura dominante per la gran parte delle popolazioni, viene professato dai governanti che spesso “usano” la Chiesa in un’ottica giurisdizionalista e sostanzialmente nazionalista, così come nelle Chiese stesse si diffondono idee antiromane ostili al Pontefice, e prendono corpo il gallicanesimo in Francia, il febronianesimo in Austria, in Toscana, a Napoli, in Portogallo, mentre i cattolici francesi che guardano a Roma cominciano ad essere chiamati ultramontani. Un cattolico controrivoluzionario come Joseph de Maistre scrive un libro sul Papa che verrà adottato in molti seminari “papisti” e in qualche modo intuisce che la battaglia culturale in corso, oltre che contro le società segrete e le idee esplicitamente sovversive, si deve combattere anche all’interno dei governi della Restaurazione, dove appunto permangono tante idee rivoluzionarie sia di di impostazione illuministica sia di impostazione romantica.
La questione cattolica in Italia prima del Quarantotto
La questione cattolica durante gli anni successivi alla Restaurazione, in Italia, apparentemente non esiste. Il Magistero pontificio e l’azione diplomatica della Santa Sede sono orientati esplicitamente contro l’opera delle società segrete, contro il razionalismo illuminista e contro lo stesso nazionalismo romantico. Tuttavia i governi della Restaurazione, come accennato, non sono su questa linea e guardano con diffidenza, se non con ostilità, ai cattolici ultramontani o controrivoluzionari. L’esempio del Principe di Canosa è emblematico. L’impressione, che andrebbe verificata e approfondita, è che i cattolici in generale siano in ritardo di fronte ai mezzi che la Rivoluzione usa da tempo per penetrare nell'opinione pubblica con strumenti come libri e giornali.
Iniziative ne nascono, certamente, come i giornali controrivoluzionari di Torino, Modena e Napoli, le cui vicissitudini sono raccontate nell’antico ma prezioso libro di Sandro Fontana sulla controrivoluzione cattolica in Italia. Ma questi giornali devono guardarsi dagli stessi regimi della Restaurazione, così come l’associazione controrivoluzionaria più all’avanguardia in questo settore, l’Amicizia cristiana (Amicizia cattolica dopo il 1815) del ven. Pio Bruno Lanteri, chehh viene sacrificata, cioè condannata all’estinzione, nel 1827, dallo stesso governo piemontese. Fontana sostiene la tesi che la cultura controrivoluzionaria italiana di questo periodo è soprattutto debitrice di quella proveniente dalla Francia, dove con la fine di Napoleone si sviluppa un fiorente e fecondo ambiente di controrivoluzionari, che producono diverse opere poi tradotte nel resto d’Europa: Lamennais, De Bonald, il già ricordato de Maistre. Infatti, in Italia la cultura controrivoluzionaria non riesce a emergere, nonostante importanti figure di intellettuali e uomini di governo, fra cui Clemente Solaro della Margarita, mons. Baraldi, Monaldo Leopardi, padre Ventura, il già ricordato principe di Canosa. Insomma tira una brutta aria per i cattolici militanti, se posso esprimermi in questo modo. Qualcuno, come il beato Antonio Rosmini, tenta una strada diversa, dopo avere frequentato e condiviso gli stessi ideali delle Amicizie.
Rosmini ritiene sostanzialmente inguaribile l’Impero austriaco di cui è suddito, essendo nativo di Rovereto, perché lo ritiene malato di un giurisdizionalismo che soffoca e compromette l’azione della Chiesa, privata della sua libertà e avvolta in catene, apparentemente d’oro, ma sempre ostili alla libertas Ecclesiae. Di conseguenza crede che il desiderio di indipendenza e di libertà che muove i popoli nel corso del XIX secolo non sia necessariamente incompatibile con il cristianesimo ma che, al contrario, quest’ultimo potrebbe riempire di contenuti positivi i movimenti popolari che agitano la vita nazionale. Questa strada diversa sembra trovare una conferma con l’elezione pontificia del beato Pio IX, anche lui come Rosmini molto favorevole a che i cattolici si pongano alla testa del movimento nazionale. Nasce così il tentativo neo-guelfo, come è stato successivamente ricordato dagli storici, di mettere i cattolici e il Papa alla guida del processo di unificazione della Penisola, in una prospettiva federalista che avrebbe rispettato le peculiarità dei popoli ma anche le differenze fra gli Stati italiani.
Oltre a Rosmini, che dedica alcuni libri al tema e viene inviato nel 1848 dal governo piemontese al Papa per cercare di fare decollare l’iniziativa neo-guelfa, il principale punto di riferimento del neoguelfismo è un altro prete, seppure su posizioni dottrinalmente molto diverse e di dubbia ortodossia, Vincenzo Gioberti, che diventa per un breve periodo capo del governo piemontese e soprattutto è importante per le sue opere, in particolare Del Primato morale e civile degli italiani del 1843, che ha una straordinaria diffusione. Ma l’illusione dura meno di due anni, fino all’allocuzione del 29 aprile 1848, con la quale il Pontefice rifiuta il proprio assenso a che le truppe pontificie entrino in guerra contro l’Austria. Immediatamente le grida “viva Pio IX” che tutti i settari avevano urlato per due anni, si rivoltano contro Papa Mastai che diventa, e con lui la Chiesa, il principale nemico dell’unificazione.
L’alleanza con l’impero austriaco
Il Papa spiegherà ripetutamente che l’ostilità della Santa Sede all’unificazione non è di principio, ma nel modo in cui si sta attuando. Ricorderà pure che un potere temporale è necessario perché la Chiesa possa svolgere liberamente la sua missione spirituale, ma che l’entità del territorio è discutibile, così come si comprenderà dopo il Trattato e il Concordato con lo Stato italiano del 1929. Ma ormai, dopo il 1848, lo scontro fra la Chiesa e il movimento nazionale è nelle cose. E la Chiesa si trova di fatto alleata con l’impero guidato dal giovane imperatore Francesco Giuseppe, anch’esso diviso in almeno tre componenti culturali diverse, delle quali soltanto una favorevole a instaurare un rapporto con la Chiesa che restituisca a quest’ultima la libertà che il giurisdizionalismo le aveva sottratto.
Sono i circoli culturali e politici che si ispiravano all’opera evangelizzatrice del santo redentorista ceco san Clemente Maria Hofbauer, che morirà a Vienna (1750-1820), a influenzare positivamente una politica imperiale favorevole a una effettiva conciliazione con la Chiesa, che culmina nel Concordato del 1855, nel quale cadono molte delle restrizioni alla libertas Ecclesiae del precedente giurisdizionalismo. Ma questa politica imperiale filo cattolica non durerà e negli anni successivi Vienna ritornerà all’antico giurisdizionalismo, pur mantenendosi sempre formalmente alleata alla Santa Sede. Così i cattolici italiani dovranno entrare nell’ordine di idee di fare da soli.
E così faranno, lentamente, in modo sotterraneo fino al 1861, ancora di fronte alla difficoltà dovuta all’esistenza di Stati diversi, in parte estranei, in parte anche ostili, come accennato. Sempre più legati al Papa, al quale guarderanno come all’unico punto di riferimento destinato a sopravvivere nel clima di profondi mutamenti rivoluzionari in corso, i cattolici italiani getteranno le basi di ciò che nascerà dopo l’unificazione, la Società della gioventù cattolica italiana fondata da Mario Fani e Giovanni Acquaderni nel 1868, e quindi l’Opera dei Congressi nel 1874.