La pseudomistica di Philippe e gli abusi, il caso Saint-Jean
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Terza parte della triste vicenda legata ai fratelli domenicani Thomas e Marie-Dominique Philippe: scopriamo il sistema di abusi nella Communauté Saint-Jean, fondata dal secondo. Un sistema anch’esso basato su una falsa mistica, in questo caso stravolgendo il pensiero di san Tommaso.
Concludiamo, con questo articolo, il resoconto sulla storia che sta sconvolgendo la Francia cattolica. Qui e qui le prime due puntate.
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La Communauté Saint-Jean, o Famille Saint-Jean fondata nel 1975 a Friburgo da P. Marie-Dominique Philippe, comprende oggi tre famiglie religiose, una maschile e due femminili, e gli oblati. Ad esse va aggiunta la Congregazione delle Sœurs mariales d'Israël et de Saint-Jean, fondata dall’ex segretaria di P. Marie-Dominique, Tunde Szentes de Madefalna de Kisbaczon; annessa nel 1995 alla Communauté, verrà “misteriosamente” soppressa dal cardinale Philippe Barbarin dieci anni dopo.
A partire dall’anno 2000, la rivista Golias Magazine aveva iniziato a pubblicare articoli che riferivano di abusi e manipolazioni all’interno della Comunità, fino ad una vera e propria inchiesta di oltre quaranta pagine, pubblicata nel n. 105/2005 (scaricabile da qui). Nel maggio 2015, anche l’AVREF, un’associazione d’aiuto alle vittime di movimenti religiosi, pubblicava Le livre noir de la Fraternité Sain Jean (aggiornato nel 2021 e disponibile qui), nel quale, oltre a testimonianze di abusi sessuali e di coscienza, veniva riportata un’inquietante sinossi di fatti estremamente gravi accaduti nella Communauté: da alcuni tragici suicidi (venti casi segnalati) ad abusi sessuali riconosciuti tali per via giudiziaria.
Durante il Capitolo generale del 2013, l’allora priore generale, P. Thomas Joachim, affrontava con i capitolari la parte più dura, emersa solo più di recente, e inviava a tutti gli amici della Comunità una lettera, nella quale ammetteva «testimonianze convergenti e credibili che riferiscono che P. Philippe ha posto talvolta dei gesti contrari alla castità, senza unione sessuale, nei confronti di donne adulte che egli accompagnava». Si trattava di almeno quindici donne coinvolte. Sei anni dopo, il Rapport (scaricabile qui) della commissione «SOS abusi» rivelava un vero e proprio sistema di abusi “mistico”-sessuali nella Comunità: otto casi di abusi su minori (di cui due minori di 15 anni), che coinvolgono sei fratelli della Comunità; 32 casi su persone adulte, in gran parte commessi tra il 2001 e il 2013, compiuti da 27 fratelli (di cui 25 sacerdoti, e 7 con incarichi di formazione o governo all’interno dell’Istituto). Ad essere vittime sono circa una ventina di suore della Comunità; in sei casi si tratta invece di atti di natura omosessuale con fratelli religiosi.
Il dato più significativo riguarda il contesto in cui si sono verificati questi fatti; nell’80% dei casi, infatti, gli abusi sono avvenuti durante l’accompagnamento spirituale. Il Rapport precisa che questi atti di natura sessuale erano accompagnati da una giustificazione ben precisa, ossia il riferimento a «l’amour d’amitié», che P. Marie Dominique aveva posto alla base della spiritualità della Communauté. L’espressione amor amicitiae è tratta dalla Summa Theologiae di san Tommaso d’Aquino e indica l’amore di benevolenza, che cerca il bene proprio dell’altro. Un amore che dunque porta con sé la dedizione per la persona amata e che include manifestazioni di affetto. Questo principio è stato però del tutto stravolto da P. Marie-Dominique e da molti dei suoi “figli spirituali”. Sullo sfondo della falsa “mistica” del fratello, P. Thomas (qui), le manifestazioni di affetto dell’amor amicitiae prevedevano anche atti che coinvolgono la sfera sessuale.
«Molto spesso, gli autori degli abusi, durante il loro confronto con la Commissione», prosegue il Rapport, «hanno detto di essere stati guidati da retta intenzione, come quella di trasmettere tenerezza a persone ferite nella loro affettività, talora dando un contenuto sedicente spirituale, teologico o carismatico a questo approccio». Emerge inoltre che le persone che hanno commesso questi atti non li hanno riconosciuti come «un peccato contro la castità», ma semmai come una mancanza di prudenza.
Da notare infine la testimonianza di una delle vittime, che presenta con chiarezza la concezione completamente deviata del ruolo del sacerdote nell’accompagnamento spirituale. Ella denuncia «questa concezione erronea del sacerdote salvatore, che con la sua direzione spirituale occupa un posto capitale nella vita della persona diretta, ma che di fatto si sostituisce a Dio che salva… Prende parte a tutte le decisioni e indicazioni della sua vita e spesso ha anche un enorme spazio nella sua affettività, servendosi di questa persona per i propri bisogni sessuali, spiegando che si tratta dell’espressione spirituale dell’amore di amicizia che unisce il padre spirituale alla persona che egli guida».
Sophie Ducray aveva deciso di affidare la sua dolorosa storia ad un libro (Étouffée. Récit d’un abus spirituel et sexuel), pubblicato nel settembre 2019 per l’editrice Tallandier. Un libro che ha permesso a tante altre donne di trovare la forza e il coraggio di raccontare anche la loro tragedia. Nel 1989, a soli sedici anni, Sophie incontrava per la prima volta la Comunità, nella quale decise, una volta maggiorenne, di consacrarsi. Il suo “padre spirituale”, Benoît-Emmanuel Peltereau-Villeneuve (nel libro ancora sotto pseudonimo), solo nel dicembre scorso dimesso dallo stato clericale senza possibilità d’appello e di ricorso, aveva iniziato a darle molta confidenza, ad ascoltarla a lungo, a farle credere di essere la prediletta. Per poi passare ad atti più espliciti. Sophie racconta di come il sacerdote giustificasse questi atti prendendo in mano gli scritti di P. Marie-Dominique, di come inquadrasse questi atti di natura sessuale come parte dello «spirito di verginità», in quanto non giungevano a violare carnalmente la persona. La donna, ora sposata con figli, manifesta la sua convinzione che «tutto era dettato dal fondatore», incluso l’insegnamento che «alla Messa tutti i peccati sono perdonati… Si può peccare, ma poi si va alla Messa e i peccati vengono perdonati».
Il Rapport rileva anche le gravi responsabilità di P. Marie-Dominique, non solo per gli atti di natura sessuale da lui compiuti. Risulta infatti che il fondatore abbia «approvato un formatore che ha baciato un fratello sulla bocca, per il fatto che quest’ultimo aveva bisogno di tenerezza». Nessuna condanna di questi atti, di cui ebbe notizia da parte di membri della Comunità, ma una semplice raccomandazione alla discrezione. Due fratelli hanno testimoniato di essere stati a loro volta oggetto delle “attenzioni” sessuali di P. Marie-Dominique. Il conto della Communauté Saint-Jean appare salatissimo. Probabilmente le denunce continueranno e altre non verranno mai alla luce. Per alcuni la ferita è troppo profonda, per altri risulta impossibile guardare in faccia alla cruda realtà di un fondatore “canonizzato”, per così dire, troppo precocemente e divenuto unico riferimento indiscutibile dei religiosi e dei laici vicini alla Comunità.
Siamo partiti dagli anni Cinquanta, da denunce già allora estremamente gravi a carico di P. Thomas Philippe, dalla complicità e approvazione del fratello Marie-Dominique e della sorella. Dopo un’insufficiente sanzione, l’incredibile riabilitazione di entrambi, che ha permesso al delirio mistico-sessuale di diffondersi, radicarsi nel segreto e riversarsi ne L’Arche di Jean Vanier e nella Communauté Saint-Jean. Al segreto degli iniziati della «setta pseudomistica» si sono aggiunti i silenzi di chi sapeva, la mancanza di consapevolezza della gravità della situazione, soprattutto per l’impianto mistico-teologico gnostico; ancora, l’incapacità delle istituzioni preposte di fare giustizia, la volontà di “salvare” la faccia della Chiesa, come se la Chiesa avesse bisogno di essere salvata, e proprio dalla complicità con il male. Oggi ci troviamo di fronte a persone distrutte psicologicamente e spiritualmente, a sacerdoti e religiosi in totale crisi d’identità, per essere stati profondamente ingannati dal loro fondatore, alla messa in discussione radicale della credibilità della Chiesa cattolica, della bontà del celibato e dello stesso sacerdozio. Settant’anni di errori, che stiamo pagando a caro prezzo e che, guardando al caso Rupnik, pare non abbiano insegnato nulla.
3. Fine