La prima legge europea sull'AI è italiana, ma ancora non c'è
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Una normativa così veloce che è ancora tutta da scrivere. Siamo i primi in Europa a legiferare sull'intelligenza artificiale ma le disposizioni concrete sono rinviate a futuri provvedimenti governativi. Un "traguardo storico" al prezzo dell'inefficacia.

Il 17 settembre 2025 l'Italia è diventata il primo Paese dell'Unione Europea ad approvare una legge nazionale sull'intelligenza artificiale. Il Senato ha dato il via libera definitivo al Ddl 1146/2024 dal titolo Disposizioni e deleghe al Governo sull'intelligenza artificiale, una normativa che il governo di destra di Giorgia Meloni presenta come un “traguardo storico”. Dietro i titoli trionfalistici, però, si nasconde una realtà più complessa: quella di una legge che, pur vantando il primato europeo, scarica quasi tutto sui decreti attuativi, sollevando dubbi sulla sua reale utilità pratica.
La legge italiana introduce alcuni nuovi e innovativi elementi rispetto al panorama europeo. Il più significativo riguarda le sanzioni penali – che vanno da 1 a 5 anni di reclusione – per chi crea o diffonde contenuti dannosi prodotti tramite Intelligenza Artificiale, in particolare deepfake utilizzati per frodi o danni alla reputazione. Questo è il primo esempio in Europa di criminalizzazione diretta dell'uso improprio dell'intelligenza artificiale.
Altri aspetti distintivi includono l'obbligo di consenso genitoriale per l'accesso ai servizi AI da parte di minori sotto i 14 anni – una protezione che va oltre i requisiti dell'AI Act europeo – e la previsione di una supervisione umana obbligatoria. La normativa copre settori strategici come sanità, giustizia, pubblica amministrazione, istruzione e lavoro. In ambito sanitario, stabilisce che i medici mantengano sempre l'autorità finale su diagnosi e trattamenti, mentre nel sistema giudiziario vieta esplicitamente ai giudici di delegare decisioni all'AI. Inoltre, la nuova legge istituisce un Osservatorio nazionale presso il Ministero del Lavoro sull’evoluzione dell’intelligenza artificiale e la sua ricaduta sul mercato del lavoro.
Ma non è tutto oro quel che luccica. L'aspetto più problematico della legge risiede proprio nella sua struttura. Gran parte delle disposizioni concrete viene rimandata a decreti attuativi che il governo dovrà emanare entro 12 mesi. Questo significa che, pur potendo vantare il primato di "prima legge europea sull'AI", l'Italia ha di fatto approvato principalmente una cornice vuota.
Le definizioni tecniche, i parametri di rischio, le procedure di valutazione, i meccanismi di controllo e persino molte delle sanzioni amministrative sono tutti rinviati a futuri provvedimenti governativi. In pratica, il Parlamento ha delegato al governo la scrittura della vera normativa operativa, limitandosi ad approvare principi generali e alcune disposizioni penali.
Questa scelta solleva interrogativi legittimi sull'efficacia immediata della norma. Mentre il governo celebra il primato temporale, le imprese che operano nel settore AI si trovano di fronte a una legge che, pur essendo in vigore, non fornisce ancora gli strumenti concreti per la conformità. AgID e ACN, designate come autorità nazionali competenti, dovranno attendere i decreti per sapere esattamente come svolgere le loro funzioni di controllo.
La legge si propone di integrare l'AI Act europeo, che entrerà pienamente in vigore ad agosto 2026. Questa tempistica dovrebbe rappresentare un vantaggio competitivo per l'Italia, consentendo alle aziende nazionali di adeguarsi prima dei concorrenti europei. Tuttavia, il rinvio ai decreti attuativi rischia di vanificare questo vantaggio temporale.
Mentre altri Paesi europei stanno preparando normative nazionali con contenuti immediatamente operativi, l'Italia ha scelto la strada della delega. Il risultato è che, quando i decreti saranno pronti, il vantaggio temporale potrebbe essere già evaporato, e le imprese italiane potrebbero trovarsi a dover affrontare contemporaneamente l'adeguamento alla normativa nazionale e a quella europea.
A supporto della legge, il governo ha stanziato 1 miliardo di euro da un fondo di venture capital statale per sostenere startup e PMI nei settori AI, cybersicurezza, quantistico e telecomunicazioni. Una cifra che, pur significativa nel contesto italiano, appare modesta se confrontata con gli investimenti di Stati Uniti e Cina nel settore.
L'interrogativo è se questa dotazione finanziaria sia sufficiente a trasformare l'Italia in un hub europeo dell'AI, come ambisce il governo. La concorrenza internazionale è feroce, e Paesi come Francia e Germania stanno mobilitando risorse ben superiori per conquistare la leadership europea nel settore.
In ogni caso, la questione è di metodo. L'ossessione per i "primati" – essere primi, più veloci, più innovativi – rischia di produrre norme affrettate e incomplete. La politica del comunicato stampa prevale sulla sostanza normativa, con il risultato di leggi che fanno titoli ma non risolvono problemi concreti.
Il vero test per questa normativa sarà nei prossimi mesi, quando dovranno emergere i decreti attuativi. Solo allora si capirà se l'Italia ha davvero costruito un framework all'avanguardia o si è limitata a una operazione di marketing istituzionale. Nel frattempo, le imprese del settore continuano a navigare nell'incertezza, in attesa di conoscere le regole effettive del gioco.
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