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La posta di Tucho: la via dell'eresia è lastricata di dubia

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Con l'era Fernández aumenta il  numero di vescovi che pongono quesiti riguardante la fede e la morale. Le risposte vanno tutte nella stessa direzione: a parole non si tocca la dottrina, nella prassi si sdogana il contrario.

Ecclesia 19_12_2023

L’angolo della posta del card. Fernandez, prefetto del Dicastero della Dottrina della Fede, da acuto si fa sempre più ottuso, nel senso che si allarga con il passare delle settimane dato che aumenta il  numero di vescovi che gli pongono quesiti riguardanti la fede e la morale. Questa volta è toccato a mons. Ramón Alfredo de la Cruz Baldera, Vescovo di San Francisco de Macorís (Repubblica Dominicana) il quale denunciava il fatto che alcune madri single «si astengono dalla comunione per paura del rigorismo del clero e dei responsabili delle comunità». Inoltre vi sarebbero sacerdoti che non battezzano i figli nati fuori dal matrimonio. La risposta fornita dal cardinal Fernandez è nella sostanza corretta: se ricevono l’assoluzione sacramentale per i propri peccati, al pari di ogni battezzato, queste donne possono accostarsi alla santa Eucarestia. In merito al  battesimo dei bambini nati fuori dal matrimonio viene citato un passaggio di un discorso dell’allora cardinale Bergoglio in cui si stigmatizzava il comportamento di quei sacerdoti che si rifiutano di amministrare il battesimo a questi bambini.

Vi sono però un paio sbavature. La prima: non si comprende esattamente chi è il soggetto oggetto del quesito (non è riportata la lettera integrale del mittente). Si parla di ragazze single, ossia di ragazze madri che crescono da sole i propri figli, e poi di madri che hanno concepito fuori del matrimonio. Due categorie di persone diverse tra loro. Inoltre si respira un po’ di ambiguità in merito al tema del coraggio nel portare a termine una gravidanza, tema toccato sia da Fernandez che da un intervento del Papa citato da quest’ultimo. Pare che ogni donna che porti a termine una gravidanza non programmata sia un’eroina. Non è così. Molte volte non vi sono pressioni psicologiche invalicabili per le donne, né circostanze di estrema povertà, né difficoltà sociali particolarmente dure che comporterebbero coraggio nel mettere al mondo un bambino. Stante il fatto, ovvio, che nessuna di queste condizioni può comunque legittimare l’aborto.

Accennavamo al fatto che la cassetta delle lettere del card. Fernandez è sempre più piena in questi ultimi tempi. Questa dubiamania appare sospetta. Come è possibile che ante Fernandez i quesiti inviati al Dicastero della Dottrina della Fede erano rari e in genere non ricevevano risposta ed ora invece sono assai più frequenti e tutti degni di una replica? Infatti da luglio di quest’anno ne contiamo ben sei, senza contare la dichiarazione Fiducia supplicans pubblicata giusto ieri. Viene il legittimo sospetto che questi dubia siano imbeccati. In altri termini, viene da pensare che oltre le mura leonine si vogliano affrontare certi temi o mandare alcuni messaggi e così si incarica un tal monsignore di scrivere al Dicastero. Si badi bene: sono solo dubia i nostri, non certezze.

Ma al di là della genesi di questa dubiademia, appare indubbio, tanto per rimanere in tema, che il Magistero ordinario abbia trovato una nuova strategia per interpretare il munus docendi al fine di incrinare la dottrina. E così si insegna una certa disinvoltura nella interpretazione della Rivelazione e nelle benedizioni delle coppie gay a patto che tali benedizioni non portino al fraintendimento del significato del matrimonio (tesi ufficializzata nell’ultimo documento del Dicastero), la Chiesa come realtà essenzialmente sinodale, la sindacabilità del concetto di “definizione definitiva” in merito al sacerdozio femminile, la validità della confessione per alcune persone sebbene non abbiano espresso il loro pentimento a parole ma per comportamento concludente, essendo sufficiente accostarsi al confessionale per esprimerlo, la possibilità per i divorziati risposati di accedere alla comunione, la non intrinseca malizia dell’omosessualità e della transessualità, e la diminuita sacralità delle spoglie mortali. In soli cinque mesi e mezzo di lavoro i risultati sono notevoli.

Il protocollo dubia richiama per struttura i sistemi giuridici di common law. Semplificando moltissimo, potremmo dire che nei sistemi giuridici di civil law il magistrato applica la legge ai casi concreti. In quelli di common law  i casi concreti fanno la legge, nel senso che i precedenti giurisprudenziali su casi specifici creano un orientamento che una volta consolidato fungerà da paradigma per decidere futuri casi analoghi. In breve, non si cerca una norma che riguardi il caso da giudicare, bensì il giudice si rifà ai precedenti. Mons. Fernandez sta imitando questo approccio: se una certa condotta è diffusa, non viene giudicata con lo strumento della dottrina, ma semplicemente viene legittimata. I precedenti presenti nella società vengono riconosciuti per il solo fatto che sono esistenti. E dunque la norma della Chiesa, intesa come dogma o principio definito di fede e di morale, viene scavalcata dalla prassi difforme ad essa. È storicismo o etica fenomenologica.

Lo stratagemma poi è furbo: a parole non si tocca, almeno per ora, la lettera della legge (il matrimonio rimane indissolubile ed esclusivo e non si può parlare di matrimonio omosessuale, le donne non possono diventare sacerdoti, la Chiesa è gerarchica, la verità rivelata è immutabile, etc.), ma nella prassi pastorale indicata dai responsa del Dicastero la dottrina ne esce più che ammaccata.  Così è la casuistica a dettar legge. Il particolare cancella la norma, che ha sempre carattere generale.

Inoltre il protocollo dubia  appare più performante rispetto allo strumento del sinodo: non bisogna aspettare tempi biblici per giungere alla meta, inoltre scavalca il problema dei dissenzienti e quello di trovare una sintesi condivisa. Un dubbio alla volta e arriveremo a nuove eretiche certezze.

 



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