La poesia del Novecento al cospetto della Croce
Qual è il vero significato del segno di croce? È un impegno di vita alla sequela del Cristo povero e crocifisso. I poeti del Novecento, anche se atei, si interrogano. E ne nasce la poesia di Jorge Luis Borges Cristo in Croce, l'illuminazione di Alda Merini Poema della Croce e la folgorazione di Paul Claudel, Il cammino della Croce
- CANTO DELLA CROCE VITTORIOSA di A. Porfiri
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, almeno una volta nella vita abbiamo fatto tutti il segno della croce. C’è chi si segna con questo gesto appena sveglio, chi uscendo di casa, chi entrando in chiesa, chi davanti a un’immagine sacra e chi solamente all’atto della benedizione del sacerdote. Nella vita del cristiano, la Croce è un segno distintivo, di riconoscimento. Si fa con la mano destra, segnandosi la fronte, il petto e le spalle. Un gesto semplice, ma di fondamentale importanza. E’ un sigillo sul cuore. Ma qual è il vero significato del segno di croce? Di che cosa è segno? È il segno concreto di una devozione cristiana, ma soprattutto un impegno di vita alla sequela del Cristo povero e crocifisso. E’ un signum d’amore senza condizioni, un amore fino alla fine, un amore gratuito disposto a dare la vita per gli altri.
Alla fine - si sa - anche gli atei, forse, sono affascinati dal mistero della Croce, dal suo significato profondamente umano, tanto da spingerli alla domanda: perché un uomo “qualsiasi” si fa crocifiggere subendo una lenta agonia? E a questo quesito, forse, risponde lo scrittore e poeta Jorge Luis Borges, “il teologo ateo” con questo ossimoro lo definiva Leonardo Sciascia. Solo la sua cecità lo porterà a vedere quell'Uomo in croce che per tutta la vita aveva inseguito. “E' un volto duro, ebreo. Non lo vedo e insisterò a cercarlo fino al giorno dei miei ultimi passi sulla terra”, così scrive nella sua opera poetica più inquieta Cristo in Croce. Borges affronta il Cristo tragico della Croce, non certo quello della Resurrezione. Tra citazioni bibliche del passato e del futuro, le strofe hanno un ritmo incalzante, il pathos della agonia compare e scompare, per cercare di rispondere alla domanda: a cosa serve la sofferenza di quel Crocifisso? “A cosa può servirmi che quell'uomo / abbia sofferto, se io soffro ora?”, si domanda. Il Cristo di Borges è un uomo con i piedi per terra, altra visione di quello Celeste ma presente nel quotidiano. Borges contrasta con i Vangeli, con la iconografia e con la cristologia. Come ad avvertire: il mio Cristo non è quello dei Vangeli, dei pittori, e dei teologi. “Quando sarò innalzato attirerò tutti a me”, dice Gesù in Giovanni 12, 32. La Croce, nel poeta Borges, è quella dell'umanità incredula che si interroga - comunque - su Cristo. In fondo, riesce a darci una lettura che facilmente si potrebbe “riscontrare” in quegli atei che alla fine - anche se molto alla fine - sono attratti da quel Mistero che per ogni credente non finisce lì, su quel legno, ma va al di là dei giorni, del sole e della notte: la Risurrezione che è “nascosta” in quella Croce, la Luce dopo la morte. Per Borges, in quest’opera, sembra esserci spazio solo all’orizzonte terreno della sofferenza, del dolore. Un Cristo profondamente, esistenziale. Comunque rimane un dato di fatto: in fondo, da questo, comincia - per lui - il cammino di ricerca. Un po’ come alcuni non proprio vicino alla fede. In fondo, già è un inizio.
Umanità e Croce: dialogo profondo e che apre sempre la mente e il cuore a delle riflessioni, a delle meditazioni e - nel caso della poesia - a dei versi. Prorompenti e netti, profondamente umani e - al contempo - divini, sono quelli che la poetessa Alda Merini vive nel suo Poema della Croce. Opera dei primi anni del Duemila letterario italiano, il testo - nato dalla “martoriata” pelle dell’autrice - che, partendo comunque dall’umanità arriva a portare il verso segni di speranza e di presenza amorevole del Padre per il Figlio, del Padre verso tutti i figli. Noi. “Ecco il Padre amorevole/ che corre in aiuto del Figlio/ e squarcia tutte le nuvole/ e fa piovere dal cielo/ quella manciata di rose/ che noi umani chiamiamo cristianesimo./ “Perché risorgo, Padre?/ Perché il tuo nome è stato/ il mio pane quotidiano […]”
Illuminazioni più che versi. Sembrano sfociare dalla bellezza della luce che viene sprigionata al momento della Risurrezione, quando la pietra e la Luce prorompe. Con dolcezza, però. I versi travalicano, con la loro forza mistica, il mondo terreno e sembrano davvero giungere dal cielo, come in un’estasi. Si proiettano nell’autrice per poi giungere a noi, lettori. Il Cristianesimo diviene “manciata di rosa”, immagine sublime. Le nuvole vengono squarciate, la Croce non ha potere sul mondo. Per questo, giustamente, deve essere celebrata, “esaltata”.
Due legni, un martello e dei chiodi. Questi gli strumenti che servono per crocifiggere i condannati a morte. Questo “Il cammino della Croce”, “Le chemin de la Croix” di Paul Claudel, ateo prima fino a quando non viene folgorato dalla Vergine Maria. Claudel, singolare protagonista della letteratura e della cultura cattolica del Novecento. Claudel ha sete dell’Essere, da sempre. Diviene, allora, un uomo in ricerca. Eppure quell’Essere tanto cercato, non riesce a trovarlo in nessuna delle filosofie e delle mode letterarie del suo tempo come il positivismo, il naturalismo, il parnassianesimo. Solo questa sua sete di verità lo porterà ad incontrare la Croce e, di conseguenza, Lui, il Cristo. Il canto del suo “chemin” diventa sempre più forte nella “Seconda stazione” della sua opera dedicata alla Via Crucis: "«Salve, o Croce», dice Gesù, «o Croce, che ho a lungo desiderata!» E tu, cristiano, guarda e fremi! È troppo solenne l'ora, quando il Cristo accetta – è la prima volta –,la Croce eterna!”
E’ l’esaltazione della Croce.