La pillola abortiva uccide due donne: data pure a chi non vuole la pancia in bikini
Continuano a saltare sul carro del Covid-19 i promotori dell’aborto che sperano che le maglie delle norme a favore dell’omicidio dei figli si allarghino. Ma mentre ha luogo la battaglia legale giocata nei tribunali dei paesi che hanno permesso l’aborto fai-da-te in seguito al lockdown, due donne muoiono e diverse vengono ricoverate. Si capisce poi che per il "servizio" che da anni si spaccia come civile il bambino vale quanto una vacanza al mare.
Continuano a saltare sul carro del Covid-19 i promotori dell’aborto che sperano che le maglie delle norme a favore dell’omicidio dei figli in grembo si allarghino. Ma mentre cresce la richiesta della pillola abortiva (Ru486), ingerita in casa con la scusa della pandemia, e mentre ha luogo la battaglia legale giocata nei tribunali dei paesi che hanno permesso l’aborto fai-da-te in seguito al lockdown, emerge sempre di più la realtà nascosta di un servizio che da anni si spaccia come civile, a favore della libertà e del benessere della donna.
Mentre infatti è in corso la revisione giuridica della decisione del governo di annullare i limiti legali che prevedono l'uso ospedaliero della pillola abortiva non oltre le 10 settimane di gravidanza, Kevin Duffy, abortista ed ex direttore di una clinica della Marie Stopes International ha presentato al tribunale d'appello le prove (l'email di una capo sala ostetrica operante nel Servizio sanitario nazionale) della morte di due donne e del ricovero di molte altre, dovuti alla somministrazione casalinga della Ru486, ancor più pericolosa se assunta oltre la decima settimana gestazionale.
Inoltre, un'inchiesta del Christian Concern (organizzazione evangelica pro life) inglese ha svelato quanto avviene da anni nei consultori e nelle cliniche della morte, proprio grazie al fatto che ora basta una telefonata per comprendere l’illegalità (che però si avvale della legge) con cui si muovono i "servizi" abortivi: in un video dell’inchiesta compare una donna che telefona al British Pregnancy Advisory Service (Bpas), incaricato di vagliare le domande di spedizione della pillola, spiegando di aver programmato una vacanza al mare in cui non vuole mostrarsi incinta mentre indossa il costume da bagno. La dipendente del Bpas risponde che «mi pare che le ragioni personali che stai dando dipendono dal fatto che non sei emotivamente pronta per una gravidanza in questo momento». Ma la ragazza risponde che in realtà «finora è andato tutto bene, ho avuto un po' di nausea la mattina, ma non voglio proprio occuparmi di tutto questo adesso». A quel punto l’operatrice ammette: «Non voglio metterti in bocca le parole ma devo collegare ciò che mi dici a una ragione legale (per abortire, ndr)», perché sebbene «qualsiasi motivo, diverso dal sesso del bambino, per noi è un motivo valido, dobbiamo comunque fornire una ragione legale…come il fatto che tu non sei preparata emotivamente». La ragazza accetta quindi che sia scritta questa come ragione e poco dopo riceve a casa la Ru486.
Andrea Williams, amministratore delegato di Christian Concern, ha commentato il video così: «Questo è ciò che l'industria dell'aborto vuole», che «la vita del nascituro valga meno di un selfie in bikini». E in effetti la cosa agghiacciante non è solo che il Bpas sostenga che qualsiasi motivo per abortire (al di là del sesso de nascituro) a loro vada bene nonostante la legge dica altro e nemmeno che proprio grazie alle disposizioni d'applicazione della norma sia tutto permesso. L’aspetto più inquietante è infatti la tranquillità con cui la motivazione della donna viene accolta dalla dipendente del Bpas, perché dimostra quanto siano comunemente normali le richieste di aborto per ragioni banalissime.
Perciò Williams ha ribadito che «il servizio deve essere immediatamente interrotto e deve essere svolta un'indagine approfondita sulla legalità e le pratiche dei due principali fornitori di aborti nel Regno Unito». L’inchiesta è cominciata dopo che a maggio era stata rifiutata la domanda del Christian Concern di revisionare le norme sull’aborto casalingo previste in nome dell’emergenza sanitaria. L’ organizzazione a ha però ottenuto in appello un’udienza pubblica, iniziata in questi giorni, dove sono emerse le morti delle due donne, per determinare se il Ministero della Salute ha oltrepassato i limiti dei suoi poteri introducendo l’aborto fai-da-te senza passare dal parlamento.
Una battaglia legale simile è in corso anche in alcuni Stati americani. Al contrario però della Gran Bretagna il caso vede gli abortisti in guerra con lo stato federale. La Food & Drug Administration (Fda) ha infatti stabilito che la donna che vuole abortire debba sempre sostenere un colloquio faccia a faccia con il medico, anche in caso di pandemia, motivo per cui il mondo abortista della Civil Liberties Union (Aclu) e l'American College of Obstetricians & Gynecologists (Acog) ha denunciato la Fda. Il tribunale federale di primo grado ha dato ragione ai sostenitori dell’aborto fai-da-te, ma la Fda ha voluto ricorrere in appello facendo notare che l’industria abortista parla di «vicinanza alle donne» mentre il suo intento è di «ridurre la relazione…con i loro pazienti».
La Fda ha anche fatto notare la pericolosità della pillola abortiva, ricordando che il colloquio è necessario per «garantire che: 1) al momento dell’erogazione, la paziente abbia l'opportunità di ricevere consulenza in merito al rischio di gravi complicanze associate al Mifepristone e a cosa fare in caso di insorgenza delle stesse; 2) che nella ricezione del Mifepristone non vi sia alcun ritardo che possa aumentare i rischi di emorragie gravi o di infezioni».
Ma diversi gruppi pro life non si sono accontentati, ricordando alla Fda la pericolosità di una pillola che secondo i dati della stessa Fda ha provocato la morte di almeno 24 donne in 8 anni, il ricovero urgente di 1.000 donne e 4.000 eventi avversi. A ricordarlo è stato un rapporto sulla Ru486 pubblicato in questi giorni da Live Action in cui si parla della «vera storia alle spalle della pillola» al suo «finanziamento, alla spinta per la sua diffusione, nonché al futuro legato a ciò che l'industria dell'aborto vuole fare con la pillola». Perciò Live Action, insieme a diversi gruppi pro life, ha chiesto alla Fda di bandire l'aborto in pastiglie, classificandolo «come un pericolo imminente per la salute pubblica».
Anche in Italia il Covid è stato usato per richiedere nuovamente la modifica delle linee guida sull’uso ospedaliero della Ru486, ovviamente nel nome del miglior interesse della donna. Non solo per sbarazzarsi ipocritamente delle conseguenze deprimenti dell’aborto che affliggono oltre che la madre il personale ospedaliero, ma anche banalizzando maggiormente la vita del bambino (dei cui diritti e della cui morte non si parla mai) che così verrebbe sempre più a contare quanto un viaggio al mare. Da scegliere o meno secondo le proprie "adulte" voglie.