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IL LIBRO DI DELL'ASTA

La "pace russa", dentro la teologia politica di Putin

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Non si comprende l'invasione russa dell'Ucraina, senza conoscere la "teologia politica" di Putin. Che si regge su tre gambe: l'eurasismo, l'impero e il suo ruolo messianico. Il libro di Adriano Dell'Asta fa chiarezza su un mondo ancora sconosciuto. 

Cultura 24_07_2023
Il patriarca Kirill fra gli ufficiali russi

A quasi un anno e mezzo dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina non si intravvedono ancora spiragli per una trattativa di pace. Tutt’altro: il rischio di un allargamento del conflitto che coinvolga la Nato, con l’inevitabile escalation che ciò comporterebbe, sembra farsi di giorno in giorno più concreto. È convinzione condivisibile che tale stallo sia dovuto anche a una lettura parziale di tale avvenimento, vale a dire a una comprensione incapace di considerare tutti i fattori in gioco. Di tale limite soffre anche l’approccio geopolitico, il più diffuso tra i commentatori, per quanto indispensabile esso sia.

In tale prospettiva risulta assai proficua la lettura del volumetto uscito da poco per i tipi di Scholé dal titolo La “Pace russa”. La teologia politica di Putin. L’autore è Adriano Dell’Asta, docente di lingua e letteratura russa all’Università Cattolica di Milano e profondo conoscitore della storia religiosa, letteraria e filosofica.

Dell’Asta lavora sull’ambivalenza dell’espressione russa Russkij mir, la quale può significare “pace russa” ma anche “mondo russo”. La tesi di fondo è che a partire dall’inizio del nuovo millennio l’ideologia politica di Putin abbia gradualmente assunto i tratti di una teologia politica. Ciò ha comportato che le scelte politiche dell’uomo forte del Cremlino sono sempre più state pensate alla luce di una teologia della storia che attribuisce alla Russia un particolare ruolo escatologico e soteriologico, vale a dire un ruolo primario nella lotta metafisica tra Bene e Male. Tale teologia della storia ha diverse fonti, una delle quali, quella più influente, è rappresentata dalla Chiesa ortodossa che fa capo al patriarca di Mosca Kirill.

Mettiamo in ordine i punti più rilevanti della teologia politica del Russkij mir. Il primo è quello dell’eurasismo, il quale, nella sua forma classica, si sviluppa a partire dagli anni Venti del Novecento soprattutto all’interno della cultura dell’emigrazione russa dopo la Rivoluzione bolscevica. Sviluppando alcuni temi precipui degli slavofili, l’eurasismo sostiene la tesi di un’inconciliabilità tra Russia e Occidente a motivo della secolarizzazione di questo e della conseguente crisi spirituale che si rifletterebbe in tutti gli ambiti sociali e che non risparmierebbe neppure la Chiesa di Roma. Nella sua versione odierna l’eurasismo insiste su una tesi apparentemente paradossale: i principi e i valori cristiani che l’Occidente secolarizzato ha tradito sono difesi e portati alla loro piena attuazione proprio in Russia, la quale si presenta quindi come l’unica prospettiva di salvezza della civiltà europea stessa. In tale prospettiva l’invasione dell’Ucraina può essere letta come una sorta di processo di decolonizzazione dall’influsso politico, economico e culturale occidentale che supporterebbe il popolo ucraino nella riscoperta delle proprie autentiche radici storiche e religiose che condivide col popolo russo.

Il secondo punto rilevante è conseguente al primo: la “pace russa” coincide in ultima istanza col “mondo russo” e con la ricostruzione dell’impero. Ma quale sarebbe l’estensione di tale mondo russo? Esso tende a includere non solo il popolo russo ma tutti coloro che parlano russo, finanche quelli che semplicemente lo studiano. Una delimitazione per niente precisa che tende a giustificare ogni forma di espansionismo.

Il terzo punto è relativo alle conseguenze religiose del Russkij mir sulla situazione della Chiesa di Mosca e si può sintetizzare nell’espressione usata in un documento del 13 marzo 2022 assai critico verso il patriarcato di Mosca e sottoscritto da centinaia di teologi appartenenti a diverse istituzioni ortodosse: neo-filetismo. Con filetismo si intende la tendenza a identificare una chiesa autocefala, non con la comunità locale unita dalla medesima fede, ma con un’etnia, una nazione o una lingua. Ai nostri giorni il filetismo — già condannato come eresia dal Concilio panortodosso di Costantinopoli del 1872 — di ripresenta in una versione radicale attraverso l’identificazione della Santa Rus’ col “mondo russo” nel senso suddetto, al quale viene attribuito un ruolo messianico.

A sostegno di tale ideologia politico-religiosa sta una rilettura dei rapporti tra Chiesa e Stato nella storia russa e in particolare sovietica in termini irenici, la quale include anche una certa riabilitazione della stessa figura di Stalin, visto come protagonista della difesa del “mondo russo” nella “grande guerra patriottica” antinazista. La celebrazione della vittoria sui tedeschi e sui loro alleati durante la Seconda guerra mondiale è divenuta negli ultimi anni la celebrazione civile più importante nel Paese proprio perché essa manifesterebbe in modo incontestabile la missione salvifica giocata dalla Russia per la salvezza dell’Europa.

In tutto ciò quale ruolo ha giocato l’Occidente? Nell’ultimo capitolo del suo volumetto Dell’Asta non manca di denunciare il grande errore compiuto durante gli anni che segnarono la fine dell’Unione Sovietica. La fine del comunismo venne pensata in Occidente come il tardivo e graduale allineamento dei popoli dell’Europa centro-orientale e dell’Unione Sovietica agli standard politici ed economici occidentali. Non si comprese che si trattava anche di una formidabile occasione per riproporre la questione relativa all’identità dell’Europa e al legame sociale che unisce i popoli che si riconoscono nell’eredità europea. Una questione che dopo la Prima guerra mondiale aveva assunto in molti intellettuali europei un tono drammatico e in merito alla quale era stato fatto un importante lavoro di riflessione e di ricerca in particolare all’interno della filosofia di stampo fenomenologico.

Dopo il secondo conflitto mondiale tale lavoro si approfondisce soprattutto oltrecortina all’interno del pensiero del Dissenso. Dell’Asta convoca, accanto al grande Aleksandr Solženicyn, i maggiori esponenti della filosofia ceca quali Jan Patočka, Karel Kosík e Václav Havel, i quali mettono in primo piano come l’Europa sia sorta dall’esigenza di fondare la vita umana sulla verità e dalla disponibilità a dar conto di ciò in termini personali sino al rischio della propria vita. Detto in termini esistenzialmente più efficaci, essere europeo significa prendersi cura della propria vita in modo da evitare che si lasci irretire da modelli etici che, per quanto attraenti, la conducono verso l’inautenticità e la dispersione. La responsabilità nei confronti della propria esistenza individuale e sociale è ciò che ha tracciato il sentiero lungo il quale i popoli europei, tra mille errori e tradimenti, si sono comunque sempre infine ritrovati. Ma la società moderna, basata su istituzioni politiche ed economiche caratterizzate da processi burocratici e tecnologici tendenzialmente anonimi, rende l’esercizio della responsabilità personale e la “vita nella verità” sempre più arduo.

Eppure la lotta contro i terribili totalitarismi novecenteschi ha rivelato la testimonianza di tanti uomini e donne che non hanno rinunciato a cercare di vivere nella verità e che sono stati capaci di creare oasi di umanità nei lager di ogni colore. Un’esperienza che ha contribuito a delegittimare moralmente i regimi totalitari sino alla loro fine. La sfida, oggi come sempre, si gioca quindi sul piano personale, sull’esercizio della propria responsabilità che non si inchina di fronte a nessuna prospettiva ideologica — sia essa di stampo edonista e nichilista o di stampo escatologista e soteriologico — che chieda, di fronte a tali false promesse di un paradiso terreno, di accettare di vivere nella menzogna. Una sfida che non riguarda solo i russi e gli ucraini, ma tutti noi.