La “nuova” etica della PAV non distingue più tra bene e male
Prima sessione di studi e dibattito in risposta al "golpe" dottrinale su vita e famiglia. Nel suo intervento mons. Livio Melina evidenzia un cambiamento del linguaggio proprio della morale, che prescinde dall’idea di peccato e dall’opera della grazia. Il ribaltamento di valori auspicato da Nietzsche rischia oggi di infiltrarsi nella Chiesa.
Non ha deluso le aspettative la prima giornata del convegno romano A Response to Pontifical Academy for Life, che nella giornata di ieri ha esordito con l’intervento di mons. Melina (di cui abbiamo proposto la sintesi), toccando i punti nevralgici del Testo Base (TB) della Pontificia Accademia per la Vita. Mons. Melina è stato anche il principale interlocutore del dibattito che ha chiuso la mattinata.
L’ex preside dell’istituto Giovanni Paolo II ha risposto ad una domanda sulla differenza tra il dibattito ai tempi della commissione che doveva aiutare Paolo VI a prendere una posizione sulla natura morale del ricorso alla pillola contraccettiva e quello attuale. All’epoca, il punto era capire come valutare moralmente un atto che materialmente sembrava mantenere integro l’atto coniugale, a differenza di altre pratiche contraccettive conosciute. Il Magistero interpretò la tradizionale condanna della contraccezione in un senso di approfondimento nella continuità, portando la valutazione morale sull’atto intenzionale e non solo su quello meramente materiale.
La posizione “assolutrice” di oggi, al contrario, non è più giustificata, perché nel frattempo vi sono stati i pronunciamenti di Humanae Vitae e di Veritatis Splendor, che ha confermato l’enciclica di Paolo VI e ne ha dato un ulteriore approfondimento. Per questo, la modalità con cui il Testo Base si propone di reinterpretare HV, va in realtà contro il senso di quest’ultima, perché nega l’oggetto intenzionale della contraccezione; ed ancor più si oppone frontalmente a VS, che appare come il vero obiettivo finito nel mirino del “nuovo paradigma”.
Mons. Melina ha altresì ravvisato nel TB una sopravvalutazione della coscienza, che da semplice riflessione sul giudizio della ragion pratica, è divenuta coestensiva alla persona stessa, trasformandola in un «soggetto senza corpo». Questo modo di intendere la coscienza esaurisce la realtà morale, perdendo così il dinamismo dell’azione morale, ed impedisce che possa esservi la possibilità che qualcosa di esterno istruisca e illumini la coscienza stessa. Non si dà, in questo modo, verità se non all’interno della coscienza stessa, esito in ambito morale del soggettivismo contemporaneo.
Un altro elemento evidente nel TB, secondo Melina, è il cambiamento del linguaggio proprio della morale. Svaniscono i termini di bene, male, peccato, per far spazio ad espressioni equivoche, come “mentalità contraccettiva” o “bene come ideale”. L’enfasi sulla mentalità permette di evitare di parlare di atti moralmente cattivi. È per questo che si è arrivati all’assurdo di valutare come sbagliata la fecondazione artificiale eterologa, ammettendo invece la liceità di quella omologa; una soluzione che però è basata sul nulla, lasciando solo al fattore tempo di condurre alla conclusione della liceità anche dell’eterologa. Il “nuovo paradigma” non lascia così più nulla che sia normativo, proprio perché esclude la possibilità di fondare il discorso etico sul bene e sul male, lasciando che una non ben intesa misericordia finisca per escludere l’idea stessa del peccato.
L’intervento di Mons. Piotr Mazurkiewicz, professore di Scienze Politiche e Dottrina sociale cattolica all’Università Cardinal Stefan Wyszynski di Varsavia, ha esordito con la constatazione che un cambio di paradigma si era già verificato nel passaggio dal mondo pagano a quello cristiano. La predicazione dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, agli albori del cristianesimo, ha comportato una reale inversione dei valori, che ha riguardato anche la ridefinizione della famiglia, della dignità della donna e dei bambini, la proibizione dell’aborto e dell’adulterio. Nietzsche è stato il “profeta” di un nuovo cambio di paradigma all’indietro, con la sua chiamata alla trasvalutazione di tutti i valori (Umwertung aller Werte) e il rovesciamento della morale giudeo-cristiana.
Ora, si sta tentando l’operazione di far entrare questa trasvalutazione dentro la Chiesa, per creare una Brave New Church, con richiamo esplicito al titolo del romanzo distopico di Huxley. Mazurkiewicz ha poi esaminato il discorso che il Cardinale Blase Cupich tenne all’inizio del 2018 al St Edmund’s College di Cambridge (Pope Francis’ Revolution of Mercy: Amoris Laetitia as a New Paradigma of Catholicity), nel quale appunto salutava copn accenti entusiastici il nuovo paradigma e la rivoluzione della misericordia inaugurata da Amoris Laetitia.
Questo cambiamento di paradigma non si sostanzia però con motivazioni teologiche; si configura invece come una “necessaria” risposta alle acquisizioni delle scienze sociali, che vengono da un lato valutate in modo ingenuo e recepite in modo quasi fideistico, riconoscendone implicitamente la superiorità rispetto alla Rivelazione; dall’altro non si tiene conto che esse non svolgono un semplice ruolo descrittivo, ma performativo: mirano cioè a plasmare il mondo, secondo degli assunti ben precisi. In sostanza, il nuovo paradigma si presenta come un’evangelizzazione senza croce: ciò che viene considerato stolto agli occhi umani viene rimosso, mentre viene adottata acriticamente la “sapienza” del mondo.
Il professor Fulvio Di Blasi, già noto ai lettori della Bussola, ha dimostrato come il nuovo paradigma presentato nel TB base sia in realtà una summa degli errori esplicitamente condannati da Veritatis Splendor. L’enciclica bollava verbatim le idee chiave del TB; per esempio, al n. 56, si prendono le distanze da quella posizione morale che, «tenendo conto delle circostanze e della situazione, potrebbe legittimamente fondare delle eccezioni alla regola generale e permettere così di compiere praticamente, con buona coscienza, ciò che è qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale».
Si separa così il precetto universale dalla norma particolare, alla ricerca di «soluzioni cosiddette “pastorali” contrarie all’insegnamento del Magistero e di giustificare un’ermeneutica “creatrice”, secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un precetto negativo particolare». Un altro esempio è il n. 79, che respinge la tesi secondo la quale «sarebbe impossibile qualificare come moralmente cattiva secondo la sua specie […] la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati prescindendo dall’intenzione per cui la scelta viene fatta». Non ultimo, il n. 80 che indica la contraccezione come atto intrinsecamente cattivo.
Non si deve pensare che VS non tenesse in considerazione la debolezza umana; la fragilità strutturale dell’uomo le è ben presente, ma le è presenta anche la grazia di Dio, che ci viene data proprio perché possiamo compiere vivere i comandamenti. Una prospettiva che invece scompare nel “nuovo paradigma”. Così come svanisce il legame tra la persona e i suoi atti, dal momento che a specificare moralmente un atto resta solo l’intenzione soggettiva. Il n. 70 di VS respinge «la dissociazione tra opzione fondamentale e scelte deliberate di comportamenti determinati – disordinati in se stessi o nelle circostanze – che non la metterebbero in causa», e ricorda che «l’orientamento fondamentale può essere radicalmente modificato da atti particolari».
L’aspetto più dimenticato, enfatizzato da Di Blasi, è proprio la connessione tra l’oggettiva specie morale dell’atto e la volontà: a prescindere da ulteriori intenzioni, nel momento in cui si sceglie quell’atto, si aderisce alla moralità/immoralità dell’atto. VS 72 così spiega la dinamica della moralità degli atti umani: «Se l’oggetto dell’azione concreta non è in sintonia con il bene vero della persona, la scelta di tale azione rende la nostra volontà e noi stessi moralmente cattivi e, quindi, ci mette in contrasto con il nostro fine ultimo, il bene supremo, cioè Dio stesso».