La necessità della grazia (III parte) – Il testo del video
Per fare il bene ed evitare il peccato, l’uomo ha bisogno – oltre alla grazia abituale – di una grazia aggiuntiva. Similmente, ne ha bisogno per la perseveranza finale, «il dono per eccellenza», come lo chiama padre Pio. La spiegazione di san Tommaso. E il perché del Padre nostro.
Oggi concludiamo il commento alla quæstio 109 della I-II della Somma Teologica sulla necessità della grazia. Vi riassumo rapidamente il percorso delle due Ore di dottrina precedenti. Nella prima dedicata a questa questione, abbiamo trattato della necessità della grazia quanto alla possibilità di compiere atti proporzionati alla natura.
Nel primo articolo che abbiamo commentato ci si chiedeva se l’uomo abbia bisogno della grazia per conoscere la verità. Nel secondo articolo ci siamo chiesti se l’uomo possa compiere il bene senza la grazia. Nel terzo, se l’uomo possa amare Dio sopra tutte le cose senza la grazia, cioè solo mediante la sua natura. E infine, nell’articolo 4, se l’uomo senza la grazia possa adempiere i precetti della legge naturale. Questo è stato il primo blocco.
Nel secondo blocco, nella scorsa puntata, abbiamo visto il rapporto della grazia con gli atti soprannaturali. E dunque abbiamo visto, all’art. 5, se l’uomo possa meritare la vita eterna senza la grazia. Abbiamo visto chiaramente la risposta negativa. Art. 6: l’uomo può prepararsi, disporsi alla grazia senza l’aiuto della grazia stessa? E abbiamo visto la distinzione tra la grazia abituale e la grazia attuale, che è necessaria. Poi abbiamo visto l’art. 7, se l’uomo possa sollevarsi dal peccato, convertirsi senza l’aiuto della grazia. E infine l’art. 8, se l’uomo possa non peccare senza l’aiuto della grazia.
Ora, vediamo gli ultimi due articoli di questa questione, il 9 e il 10, che si portano su un altro tema e cioè se l’uomo che è già in grazia, che ha già la grazia abituale, è già inabitato dallo Spirito Santo, possa fare il bene ed evitare il peccato (art. 9) senza l’aiuto di una grazia sopraggiunta: gli è sufficiente la grazia abituale o ha bisogno di una grazia sopraggiunta? E poi, art. 10, se l’uomo che è già in grazia abbia bisogno o meno di un’altra grazia per perseverare in grazia. Queste due questioni si focalizzano sull’uomo che già è inabitato dalla grazia. E si pongono questa domanda: è necessaria un’ulteriore grazia per questi due aspetti?
Cominciamo dall’art. 9; cerchiamo di essere molto aderenti al testo, facendo quasi un commentario perché è veramente un altro dei gioielli di questa parte della Somma Teologica. San Tommaso presenta due obiezioni sostanziali, per cui si potrebbe dire: “se c’è già la grazia non dovrebbe servire altro”.
La prima obiezione è questa: se la grazia che è data non raggiunge il fine allora è inutile; cioè, se la grazia abituale non raggiunge l’effetto per cui viene data – ossia l’effetto di evitare il peccato per rimanere in grazia – allora sembrerebbe inutile; ma siccome non è inutile, allora non serve una grazia aggiuntiva. Questa è la prima obiezione che sembrerebbe rendere ragione del fatto che non c’è bisogno di una grazia ulteriore, posta già la grazia abituale. La seconda obiezione è che se la grazia abituale è l’inabitazione dello Spirito Santo, della terza persona della Santissima Trinità, allora si potrebbe dire: “Lo Spirito Santo è onnipotente, perché dovrebbe servire altro?”.
Leggiamo il sed contra, cioè quella parte che ci dice che in realtà le cose stanno diversamente. È tratto da un’opera di sant’Agostino, De natura et gratia, un’opera importantissima che introduce un esempio chiarificatore: «Come un occhio corporeo del tutto sano non può vedere se non è aiutato dal fulgore della luce, così l’uomo, anche pienamente giustificato, non può vivere rettamente se non è soccorso da Dio con l’eterna luce della giustizia».
Analizziamo l’esempio. Con l’occhio malato il problema non si pone: o non vede o vede male. Ma l’occhio sano vede, dunque, uno potrebbe dire: “non c’è bisogno di altro”. In realtà sappiamo che non è così perché, se si toglie la luce, l’occhio sano non vede. L’occhio sano, nonostante la sua sanità, ha bisogno della luce per vedere. Analogamente, ci dice sant’Agostino, ripreso da san Tommaso, un uomo che è stato risanato dalla grazia abituale, un uomo giustificato dalla grazia di Dio, è nella situazione dell’uomo con l’occhio sano. L’occhio è sano e tuttavia ha bisogno della luce per vedere. Dunque, l’uomo sano, cioè “sanificato” nel senso di santificato dalla grazia, ha comunque bisogno di una grazia ulteriore per fare il bene ed evitare il male, il peccato.
Leggiamo l’argomentazione di san Tommaso: «Per vivere rettamente, l’uomo ha bisogno di essere aiutato da Dio in due modi. Primo, mediante il dono di un abito che risani la natura umana corrotta e che la elevi [questa è la grazia santificante, la grazia abituale], anche se risanata, a compiere opere meritorie per la vita eterna, poiché ciò sorpassa le capacità della natura» (I-II, q. 109, a. 9). Questo è un primo aspetto. Il secondo è questo: «Secondo, ha bisogno dell’aiuto della grazia in quanto attende da Dio la mozione ad agire» (ibidem). Dunque, grazia si dice in due modi. Nel primo caso, come abito che risana la natura, come l’occhio risanato, per usare l’esempio di sant’Agostino. Nel secondo, la mozione ad agire secondo questa inabitazione, cioè ad agire compiendo il bene ed evitando il peccato, quindi la “luce”, sempre secondo questo esempio.
Ora, conclude san Tommaso: «Chi è in grazia non ha bisogno di un altro aiuto della grazia che sia, come nel primo caso, di un nuovo abito infuso. Ha però bisogno dell’altro tipo di aiuto gratuito, cioè ha bisogno di essere mosso da Dio a ben operare» (ibidem). Non c’è bisogno di una nuova infusione della grazia, ma c’è bisogno di una nuova mozione della grazia. «E ciò per due motivi. Primo, per un motivo generale: cioè, per il fatto che nessuna realtà creata può emettere un qualsiasi atto se non in forza della mozione divina» (ibidem). Se ricordate, ne abbiamo parlato, sia sul piano naturale che sul piano soprannaturale. Dio è il principio dell’essere della persona e dell’azione, del suo atto, sia dal punto di vista naturale sia, a fortiori, dal punto di vista soprannaturale. Secondo motivo espresso da san Tommaso: «Data la condizione attuale della natura umana», che noi sappiamo essere una natura decaduta, questa natura umana «anche se, quanto alla mente, è risanata dalla grazia, conserva tuttavia la corruzione e l’infezione quanto alla carne, in cui serve alla legge del peccato» (ibidem). Ricordate san Paolo – «non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,19) – cioè la debolezza, la corruzione della carne, la concupiscenza permane. «Inoltre rimane una certa ombra d’ignoranza nell’intelletto, (…) poiché come dice la Scrittura, “i ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni” [Sap 9,14], perciò abbiamo bisogno di essere guidati e protetti da Dio, il quale tutto può e tutto conosce» (ibidem).
Dunque, queste sono le due ragioni legate alla natura nello stato presente. C’è questa corruzione, da una parte, questa ombra d’ignoranza nell’intelletto, dall'altra; vi rimando all’art. 1 dove san Tommaso si chiede se ci sia bisogno della grazia per conoscere ogni verità. Questo non significa che l’uomo privato della grazia non può più conoscere nulla di vero. A fortiori, nel caso in cui l’intelletto naturale è già stato elevato, risanato dalla grazia. Ma anche in questo è necessario che ci sia un aiuto ulteriore. Pensiamo ai doni della sapienza, dell’intelletto, della scienza e del consiglio per la ragione pratica, proprio perché la conoscenza dell’uomo è incerta, è timida. E dunque abbiamo bisogno di un intervento divino che ci dia, anche dal punto di vista della nostra intelligenza, una luce più chiara, che ci orienta con maggiore chiarezza verso il vero.
Vediamo ora come risolvere le due difficoltà di cui abbiamo parlato all’inizio di questa lezione. Alla prima san Tommaso risponde con una frase che è un capolavoro: «Il dono della grazia abituale non ci viene dato perché con esso cessiamo di aver bisogno dell’aiuto di Dio. Qualsiasi creatura infatti ha bisogno di essere conservata da Dio nel bene che da Lui ha ricevuto» (ibidem). Ricordate l’obiezione? L’obiezione era: se ho già la grazia abituale non me ne serve un’altra, altrimenti vuol dire che la prima è inefficace. Qual è la risposta? La risposta di san Tommaso è questa: non è che la grazia abituale ti è data per renderti indipendente da Dio, del tipo “ho la grazia, ringrazio il mio benefattore e lo saluto”. Non funziona in questo modo. La grazia abituale è l’inabitazione della Santissima Trinità nell’anima e dunque ti rende ancora più dipendente da Dio e dipendente dalle sue mozioni. Ma questa è la forza dell’uomo, non è la sua debolezza; dobbiamo rovesciare questa modalità di comprendere il rapporto tra Dio e l’uomo.
Nella nostra logica malata, quanto più siamo indipendenti tanto più siamo forti. Ma questo non ha senso: nei confronti di Dio, non ha senso. Potrebbe avere un certo senso nei confronti di altre persone. Se io cammino da solo, sicuramente sono più indipendente rispetto al fatto di aver bisogno di qualcuno per deambulare. Non c’è dubbio. Ma nei confronti di Dio non vale questo modo di intendere la realtà. Perché? Perché noi siamo radicalmente dipendenti da Dio già per natura e ancor più radicalmente per la grazia. E dunque, per poter vivere pienamente secondo la nostra natura elevata al livello soprannaturale l’uomo ha bisogno di questa dipendenza sempre più intima da Dio, che è la nostra forza e la nostra liberazione. L’emancipazione da Dio è la condanna dell’uomo. La dipendenza da Dio è la forza dell’uomo. È questo che ci consegna san Tommaso in questo articolo molto denso.
La seconda obiezione era: se c’è già lo Spirito Santo, allora a cosa serve la grazia aggiunta? San Tommaso ci dice che «l’azione con cui lo Spirito Santo ci muove e ci protegge, non si limita al dono abituale che causa in noi, ma oltre a ciò Egli ci muove e ci protegge, in unione con il Padre e con il Figlio» (ibidem). Cioè, la presenza dello Spirito Santo in noi mediante la grazia è dinamica: non è “solo” l’inabitazione, ma è l’azione che deriva da questa inabitazione. L’inabitazione non rende Dio “inerte” in noi, ma lo rende principio di ogni nostro atto, mozione di ogni nostro atto. E in questo senso l’uomo si avvicina sempre di più all’infallibilità propria di Dio, man mano che permette a Dio di essere il principio di ogni suo atto, ogni suo pensiero, ogni suo moto interiore, ogni sua azione esterna.
Quanto più l’azione divina non trova ostacoli da parte nostra, tanto più l’uomo si avvicina alla perfezione divina, una sorta di infallibilità. Nessuno è confermato in grazia in questa vita, ma l’approssimarsi a questa conferma è proprio il lasciare che queste mozioni ci guidino. Faccio un inciso, già fatto altre volte: questo non significa che l’uomo diventi una marionetta. La mozione di Dio non si sostituisce alla facoltà dell’uomo, ma la supporta, cioè rende possibile all’uomo di agire in modo soprannaturale e in modo conforme alla sua natura, in modo tale che egli sia realmente il principio dei propri atti, non nonostante la mozione divina, ma grazie alla mozione divina. Questo per quanto riguarda l’art. 9.
Vediamo adesso l’art. 10, il cui tema è se l’uomo che è in grazia, che vive in grazia di Dio, ha bisogno di un aiuto ulteriore della grazia per perseverare. San Tommaso fa una distinzione. C’è un certo tipo di perseveranza che è data all’uomo con la grazia abituale, e qual è? È sostanzialmente il proposito di vivere, di perseverare nel bene e anche la forza di lottare, di rimanere costante nel bene, nonostante le tristezze e gli assalti della vita. Quindi viene dato questo tipo di perseveranza. Ma, attenzione, san Tommaso dice che c’è un’altra perseveranza: «Si chiama perseveranza il continuare nel bene sino alla fine della vita. E per avere questa perseveranza l’uomo in grazia ha bisogno non già di una nuova grazia abituale, ma dell’aiuto di Dio che lo guidi e lo protegga contro gli assalti delle tentazioni (…). E così chi è già santificato dalla grazia ha bisogno di chiedere a Dio questo dono della perseveranza, cioè deve chiedere di essere custodito dal male sino alla fine della vita. Infatti – frase importantissima – la grazia viene data a molti, a cui non è dato di perseverare nella grazia» (I-II, q. 109, a. 10). La grazia viene data, ma non tutti coloro che ricevono la grazia perseverano nella grazia.
Dunque, noi che abbiamo ricevuto il principio della vita della grazia, l’inabitazione della vita della grazia, abbiamo bisogno di domandare costantemente a Dio di perseverare fino alla fine della vita nella grazia; è quello che Padre Pio chiamava «il dono per eccellenza», il dono della perseveranza finale, senza il quale a nulla è valso il bene che abbiamo anche potuto fare in questa vita, o almeno a nulla è valso per noi. È importante questo aspetto: san Tommaso ci dice che bisogna chiedere a Dio questo dono della perseveranza. E come? Chiedendogli di essere custoditi dal male.
È per questo che il Signore stesso e la Chiesa, ammonita dal Signore, ci chiedono di pregare quotidianamente, ripetutamente, il Padre nostro, il quale termina con una duplice invocazione, che potremmo definire anche “il sinonimo della richiesta della grazia finale”. E qual è? «Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male». È pregnante questa espressione – et ne nos inducas… – cioè non farci “cadere dentro”, perché cadere dentro (inducere) vuol dire appunto acconsentire al peccato e quindi perdere la grazia. E dall’altra parte, essere liberati, custoditi dal male e dal maligno. Queste sono le due petizioni che custodiscono, come uno scudo, il cristiano e sono l’espressione di questa richiesta della perseveranza finale. Che, ripeto, san Tommaso ci dice che dobbiamo chiedere incessantemente. È il più importante dei doni.
Abbiamo terminato il commento della quæstio 109. Vediamo di fare un riassunto di questa questione, non ripercorrendola articolo per articolo, ma tirandone un po’ le fila.
1. Prima di tutto abbiamo visto che abbiamo bisogno della grazia per restaurare la natura. Cioè, anche quegli atti che sono conformi alla nostra natura, per essere compiuti hanno bisogno della grazia, non totalmente, come dice san Tommaso. Abbiamo visto che l’intelligenza, senza la grazia, non è del tutto incapace di cogliere il vero. Tuttavia, la sua debolezza la rende facile a perdersi, a disorientarsi, a prendere fischi per fiaschi. E dunque la grazia diventa importantissima nel supportare la ricerca della ragione naturale, del vero, di quel vero che gli è proporzionato. Questo non significa che per l’uomo, senza la grazia, è del tutto impossibile cogliere alcune verità pratiche o anche verità importanti come la conoscenza dell’esistenza di Dio, la conoscenza di una legge naturale: questo non è impossibile all’uomo senza la grazia; è tuttavia difficile, data la condizione dell’uomo. La grazia arriva a rendere facile ciò che per l’uomo sarebbe invece difficile. Questo ci permette – attenzione – di non cassare qualsiasi tipo di dialogo a livello naturale con gli altri uomini che non hanno la fede, perché ci sono questi punti comuni; ma dall’altra parte, non bisogna avere l’ingenua pretesa che ci si capisca tranquillamente. Non ci si capisce tranquillamente proprio per questa ragione, perché comunque nell’intelligenza permangono delle ombre, anche dopo l’illuminazione della fede; se anche l’uomo che ha ricevuto il dono della fede ha bisogno di ulteriori luci divine, figuriamoci l’uomo che non ha ricevuto questo risanamento della sua intelligenza.
2. Abbiamo bisogno della grazia strutturalmente per essere elevati e “proporzionati” a Dio. E questo aspetto, mentre il primo non valeva per la condizione di natura integra, ma solo per quella di natura decaduta, vale per entrambe le situazioni; l’uomo non è naturalmente proporzionato a Dio: solo un dono di Dio lo può prendere, per così dire, ed elevare alle Sue altezze e portarlo addirittura a una relazione di amicizia con Lui.
Cos’è la relazione di amicizia? L’amicizia si ha tra pari. Sebbene a volte venga usato questo termine, non posso avere l’amicizia con un gatto; posso semmai avere un rapporto di affetto. L’amicizia implica una parità di natura: l’uomo non può essere amico di Dio naturalmente, ma ha bisogno della grazia, che lo eleva e lo rende proporzionato a Dio e al rapporto con Dio.
3. Abbiamo bisogno della grazia per essere mossi negli atti soprannaturali. Dunque, non solo ne abbiamo bisogno per essere strutturalmente elevati, con l’inabitazione, con la grazia abituale, ma anche per essere mossi in ciascuno degli atti soprannaturali. Dio come principio degli atti.
Capite che in questo quadro, nella visione di san Tommaso, abbiamo una chiarissima sproporzione – sproporzione in senso lato – della grazia rispetto alla natura, ma non nel senso che la natura venga meno o che la natura venga distrutta o che non venga considerata. Ma data la condizione presente, l’enfasi fondamentale deve essere posta sulla grazia. Senza che questo significhi, ripeto, che allora qualunque cosa l’uomo pensi sia un errore o che qualunque cosa faccia sia un peccato. Abbiamo visto che non è così, altrimenti dovremmo ritenere, secondo una certa concezione luterana, che la natura è distrutta. La natura non è distrutta: è ferita, è indebolita. Ricordiamo l’esempio del malato. Non è che il malato non può più far niente o non è più un uomo. Non può più fare certe cose e altre le può fare ma con grande difficoltà. La grazia risana, questa è la concezione.
L’enfasi maggiore è proprio posta sul versante della grazia, la quale – così chiudiamo il cerchio – è la grande alleata dell’uomo. Un vero umanesimo non può che essere un umanesimo cristiano, ma non per cancellare tutto ciò che non ha, per così dire, il marchio di cristiano: il vero è sempre vero anche se è in bocca a qualcuno che non vive la fede; un atto buono è un atto buono anche se lo compie una persona che non è battezzata; quindi non stiamo eliminando questo aspetto. Anzi, sempre bisogna favorire la conoscenza del vero, la crescita nella virtù anche quando non c’è ancora la grazia, quando non ha ancora fatto breccia nel cuore e nella mente di un nostro fratello. Questo è fondamentale capirlo. E tuttavia questo non significa rinunciare o sminuire la grande missione della Chiesa, che è proprio quella del distribuire la grazia di Dio, del chiamare alla conversione, dell’illuminare le menti con la luce della fede, dell’amministrare la grazia, ottenerla con la sua preghiera. L’enfasi è qui. E in questo senso la Chiesa è la più grande alleata dell’uomo, precisamente perché la grazia è la più grande alleata della natura. Nello stesso tempo, la grazia non deve essere ridotta alla natura, la Chiesa non deve essere ridotta a una società naturale; ma è un aiuto dell’uomo in quanto è la Chiesa, non in quanto io la riduco e la riconduco a una dimensione naturale, ma in quanto permetto alla Chiesa e alla grazia di essere quello che sono.
Il movimento non è quello di “abbassare” la grazia, abbassare la fede nei limiti della natura umana; una natura umana che poi concretamente è una natura debole, facilmente preda dell’errore e del peccato. Ma il movimento è il contrario: permettere alla grazia di raggiungere la natura, sanarla ed elevarla. Questo è il quadro dei rapporti complessi tra natura e grazia, tra vita, società civile e Chiesa: è importante avere le idee chiare da questo punto di vista. Se c’è chiaramente qualcosa che abbiamo perso da un po’ di tempo è proprio quanto sia fondamentale l’azione della Chiesa, di riverbero anche sulla società umana, ma non – attenzione – nella logica della Chiesa che aiuta i poveri, gli emarginati… che non vuol dire che non si possa fare, ma non è questa la missione della Chiesa. La missione della Chiesa, che va a risanare anche questo tipo di storture della società civile, è proprio quella di diffondere la luce della fede e la forza della grazia. Se la Chiesa rinuncia a questo, non fa più questo, se i pastori e noi cristiani sminuiamo e portiamo tutto a un livello naturale, sociale, è finita: si perdono tutte e due le realtà.
La Chiesa risana la natura, in tutte le sue dimensioni, rimanendo quella che è e rimanendo fedele alla missione che Dio le ha dato, che è una missione eminentemente soprannaturale. Non dobbiamo invertire l’ordine delle cose, non dobbiamo scambiarle e arrivare a riduzionismi che diventano devastanti anche proprio per l’uomo. Perché l’uomo non ha altra possibilità di essere salvato ed elevato all’amicizia divina, se non attraverso l’opera della grazia, mediante il ministero della Chiesa – Cristo ha voluto così – e mediante chiaramente poi tutte quelle mozioni che Dio stesso dà all’anima che vive abitualmente nella grazia.
La prossima volta proseguiamo guardando più da vicino l’essenza della grazia, che cos’è la grazia.
La necessità della grazia (III parte)
Per fare il bene ed evitare il peccato, l’uomo ha bisogno – oltre alla grazia abituale – di una grazia aggiuntiva. Similmente, ne ha bisogno per la perseveranza finale, «il dono per eccellenza», come lo chiama padre Pio. La spiegazione di san Tommaso. E il perché del Padre nostro.
La necessità della grazia (II parte) – Il testo del video
«L’uomo non può meritare la vita eterna senza la grazia», spiega san Tommaso. La grazia eleva l’uomo, che comunque deve disporsi a riceverla. Grazia abituale e grazia attuale. Con la grazia di Dio tutto è possibile. Grazia vs peccato.
La necessità della grazia – Il testo del video
La grazia è necessaria in rapporto ai beni naturali? Vediamo come risponde san Tommaso e come sono cambiate le cose per l’uomo nel passaggio dallo stato originario (prima del peccato) allo stato decaduto. L’esempio del malato e la grazia sanante.