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Ora di dottrina / 120 – La trascrizione

La necessità della grazia (II parte) – Il testo del video

«L’uomo non può meritare la vita eterna senza la grazia», spiega san Tommaso. La grazia eleva l’uomo, che comunque deve disporsi a riceverla. Grazia abituale e grazia attuale. Con la grazia di Dio tutto è possibile. Grazia vs peccato.

Catechismo 16_06_2024

Proseguiamo i nostri incontri sulla grazia. Abbiamo iniziato due domeniche fa, con un’introduzione generale sui principi; e domenica scorsa abbiamo visto un primo gruppo di articoli (1-4) di san Tommaso, della quæstio 109 della I-II della Somma Teologica; articoli che rispondono a una domanda fondamentale, in filigrana, cioè se la grazia – in rapporto alla natura, alla conoscenza naturale, all’agire secondo la legge di natura – sia necessaria. E abbiamo introdotto l’idea importantissima della gratia sanans, cioè la grazia che – una volta entrati nello stato di natura decaduta, dunque non più la natura integra come era uscita dalle mani di Dio – diventa necessaria anche per riparare, per risanare le fragilità e le storture della natura.

Oggi vediamo un altro gruppo di questioni che riguardano invece la necessità della grazia in riferimento ai beni soprannaturali. Vedremo quattro articoli, dal quinto all’ottavo, e lasceremo gli ultimi due per la prossima lezione. Mentre gli articoli 5-8 riguardano l’uomo in generale, gli ultimi due riguardano l’uomo già in grazia, dunque se l’uomo già in grazia abbia bisogno di un'ulteriore grazia per evitare il peccato (art. 9) e per perseverare (art. 10).

Entriamo nella prima grande domanda che san Tommaso si pone nell’art. 5 e cioè se l’uomo possa meritare la vita eterna senza la grazia. Non ci occuperemo in questa Ora di dottrina del grande tema del merito. Ci basti comprendere in questo momento che cosa intendiamo per meritare la vita eterna. Intendiamo questo meritare come una proporzione tra l’atto meritorio e ciò che viene meritato. In sostanza ci stiamo chiedendo: c’è una proporzione tra gli atti propri della natura umana e il premio meritato della vita eterna? O meglio, questo premio della vita eterna è meritato dagli atti umani, puramente umani? Dunque, sottintendiamo un rapporto di proporzione o di giustizia? Gli atti umani sono allo stesso livello della vita soprannaturale, eterna? Sono proporzionati ad essa al punto che questi atti possano, per giustizia, meritare la vita eterna?

Se io compio un atto nei confronti di una persona posso dire di meritare, per giustizia, da quella persona una restituzione. Se io le vendo qualcosa di un certo valore, merito una ricompensa, cioè che mi venga dato un corrispettivo. Possiamo parlare di questo nel rapporto tra la natura e la vita eterna, tra la natura e la vita soprannaturale? Evidentemente no.

San Tommaso dice infatti: «L’uomo non può meritare la vita eterna senza la grazia» (I-II, q. 109, 5). Una frase breve ma che contiene un mondo. Qui entriamo nel senso più proprio della grazia. Mentre gli articoli che abbiamo visto l’altra volta indicano una conseguenza, una ridondanza della grazia (la grazia risana la natura), qui, invece, abbiamo qualcosa di proprio. Cosa fa la grazia nella vita della persona? Crea una proporzione. Ora, la proporzione tra l’uomo e la vita eterna io la posso “creare” in due modi: 1) o perché abbasso la vita eterna e dunque sminuisco la vita eterna e ritengo che gli atti umani la possano meritare, perché in realtà non si tratta della vita eterna, ma dio un suo surrogato, di un prolungamento della vita naturale dell’uomo (si tratta di un livellamento verso il basso, per giustificare questa proporzionalità); 2) oppure, ed è la realtà, la vita eterna viene partecipata all’uomo che viene elevato. Ed ecco che dunque si crea una proporzione. Ma è una proporzione che non è data dalla natura in sé stessa, ma dalla sua elevazione. Usiamo un’immagine biblica: il povero viene elevato e invitato a sedere, a condividere la vita regale, la vita del re. Pensate –per capirci – a tante storie dove c’è una giovane povera di cui il principe azzurro si invaghisce e la invita, la eleva a una vita più elevata rispetto alla sua condizione originale.

La grazia è questo, cioè la grazia abituale crea nell’anima una sorta di proporzione. L’uomo viene elevato a un rapporto di amicizia con Dio e si crea una proporzione con Dio. Dunque, gli atti umani, gli atti dell’uomo inabitato dalla grazia generano un merito. Ma su questo dedicheremo un incontro a parte, perché qui si apre tutto un mondo in conflitto con un certo filone del mondo protestante, che ci chiede di rispondere alla domanda: se la grazia è gratuita dov’è il merito? Intanto, a noi basta quello che abbiamo detto.

Nell’articolo successivo, il n. 6, san Tommaso si chiede se l’uomo possa prepararsi da solo alla grazia, cioè se l’uomo possa disporsi, prepararsi all’inabitazione della grazia, a questa elevazione del suo essere, portato in amicizia con Dio, se lo possa fare senza l’aiuto della grazia stessa. Questa è la domanda.

Allora, sembrerebbe a prima vista di sì. E ci sono un paio di presunte ragioni che san Tommaso riassume in questo articolo.

1) Egli cita il profeta Zaccaria (1,3): «Convertitevi a me e io mi volgerò a voi». Dunque, l’uomo è in grado di convertirsi (Dio dice convertitevi e io mi convertirò). L’uomo può convertirsi e Dio: sembrerebbe che il primo moto dell’uomo che si converte a Dio, che si volge a Dio, avvenga senza la grazia, che viene data dopo. Sembrerebbe…

2) Poi, potremmo dire che se l’uomo, per esempio, compie quanto sta in lui, Dio gli concede la grazia. Questo lo si dice spesso. Ora, l’uomo che compie quanto sta in lui lo potremmo intendere nella sua dimensione puramente naturale; se lui fa quello che gli è naturale, Dio gli dà la grazia. Dunque, sembrerebbe che l’uomo possa disporsi alla grazia senza la grazia.

Ma nel sed contra – cioè quel brevissimo paragrafo “in contrario” dove san Tommaso, come ho detto altre volte, riporta una citazione autorevole, di solito della Sacra Scrittura o dei Padri – riporta un passo-chiave del Vangelo di san Giovanni (6,44) che dice: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato». Dunque, il Signore ci sta dicendo che se non c’è l’azione attrattiva del Padre «nessuno può venire a me», nessuno può volgersi a Lui, nessuno può disporsi a ricevere la grazia.

Ora, è chiaro che per ottenere, per ricevere il dono della grazia, la volontà umana deve disporsi. Dio non dà la grazia a uno, per capirci, che guarda dall’altra parte. E questo è vero: disporsi a ricevere la grazia, è reale atto dell’uomo, non è fittizio: l’abbiamo visto tante volte: l’uomo non è una marionetta o un utensile nelle mani di Dio, cosicché a Dio competa tutto e cosicché Dio abbia la responsabilità di ogni cosa che fa l’uomo. Realmente questo atto di volgersi a Dio compete all’uomo, ma necessita di una mozione superiore, cioè di una grazia apposita che attira l’uomo, attrae la sua volontà senza forzarla. Se questa attrazione della grazia forzasse l’uomo, in realtà l’uomo non si starebbe disponendo alla grazia. L’uomo è chiamato ad accompagnare, con la sua libertà, quella mozione specifica, per cui l’uomo si converte a Dio, si volge, si dispone per ricevere la grazia abituale. Anche questo atto – che è veramente un atto dell’uomo – necessita di una mozione particolare di Dio, che è questo “attrarre” di cui parla il Signore nel Vangelo.

Leggiamo due frasi importanti dell’art. 6 e che lo riassumono. La prima è questa: «È necessario presupporre un aiuto concreto di Dio che muova l’anima interiormente» (I-II, q. 109, 6). È necessaria una mozione particolare di Dio. Ripeto: una mozione non è necessitante, non obbliga l’uomo, non toglie la libertà dell’uomo, non toglie la collaborazione dell’uomo; e tuttavia essa è necessaria.

Seconda frase: «Il volgersi dell’uomo a Dio non può avvenire senza che Dio rivolga l’uomo a Sé» (ibidem). È lo stesso concetto. Quando noi troviamo nelle Sacre Scritture e negli scritti dei Padri che l’uomo deve volgersi a Dio per ricevere la grazia, dobbiamo sempre sottintendere, sempre tenere presenti altri passi delle Scritture, come quello di san Giovanni che abbiamo citato, per cui questo volgersi dell’uomo a Dio non può avvenire senza che Dio rivolga l’uomo a Sé, cioè lo attragga interiormente.

È interessante che, nella risposta alla prima obiezione, san Tommaso citi un passo del profeta Geremia, che parla a Dio: «Fammi ritornare e io ritornerò, perché tu sei il Signore mio Dio». E poi un passo parallelo delle Lamentazioni (5,21): «Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo». Come comprendere queste due espressioni se non con quanto abbiamo detto? Cioè, io ritornerò a te, Dio, ma tu fammi tornare a te, imprimi in me questa mozione, questa attrazione interiore senza la quale non posso volgermi a te. È questo in sostanza il concetto.

Perché l’uomo compia quanto realmente è in suo potere, cioè perché l’uomo possa compiere un atto veramente libero e volontario, è necessaria non solo la mozione naturale – ne abbiamo parlato, se Dio non conservasse tutte le cose nell’essere e non fosse dunque il principio di ogni azione e di ogni ente, nulla esisterebbe, nulla si muoverebbe. Non è solo questo. Perché l’uomo compia quanto è in suo potere nel predisporsi alla grazia, quindi a un livello superiore, non semplicemente a compiere quello che è secondo la sua natura, ha bisogno della grazia: non della grazia abituale, che è quella che riceve, ma di una grazia che possiamo chiamare attuale, cioè di una mozione, un’attrazione.

Questo è un po’ il quadro dei primi due articoli (5-6) di questo blocco. Adesso guardiamo alla grazia in relazione al peccato, soffermandoci su due domande fondamentali che costituiscono l’argomento di due articoli: 1) la prima (art. 7) è se l’uomo possa risorgere dal peccato senza la grazia; 2) la seconda (art. 8) è se l’uomo possa non peccare senza la grazia.

Dunque, vediamo l’art. 7, se l’uomo possa risorgere dal peccato senza l’aiuto della grazia. San Tommaso parte con una risposta chiarissima: «In nessun modo l’uomo può risorgere dal peccato con le sue forze senza l’aiuto della grazia» (I-II, q. 109, a. 7). Questo è il punto fermo. Però ora vediamo l’argomentazione, l’articolazione di questa risposta, perché questo articolo è veramente un piccolo gioiello. San Tommaso ci dice che l’uomo, peccando, subisce tre danni. È importante perché noi non riflettiamo più su che cosa comporti realmente il peccato nella vita dell’uomo, l’abbiamo liquidato come una debolezza, un errore, o addirittura una “variante del bene”: il peccato non è questo.

San Tommaso dice: «L’uomo peccando subisce tre danni: la macchia, la corruzione dei beni di natura e il reato della pena». Adesso spiega i tre danni: «Contrae una macchia in quanto viene privato delle splendore della grazia per la deformità del peccato» (ibidem). Il peccato deforma l’uomo e lo priva della grazia: stiamo parlando del peccato mortale. Il peccato toglie la vita della grazia, toglie lo splendore della grazia.

Secondo danno: «Si corrompono i beni di natura in quanto la natura dell’uomo cade nel disordine quando la volontà umana non è soggetta a Dio: eliminato infatti questo ordine ne segue che tutta la natura dell’uomo in stato di peccato rimane disordinata» (ibidem). Dunque, il peccato, come vedete, ha una seconda conseguenza. La prima essenziale: perdita della grazia. La seconda è che i beni della natura si corrompono, la natura stessa si corrompe perché la volontà dell’uomo – questo è il senso del peccato grave – non si sottomette a Dio. E dunque la sua natura subisce un disordine; la sua volontà porta un disordine, perché l’ordine è che la volontà dell’uomo sia soggetta a Dio, in quanto Dio è il principio di ogni bene e la volontà è fatta per il bene. Quando la volontà si sottrae a Dio, crea un disordine nella natura dell’uomo e dunque tutta la natura dell’uomo subisce un disordine.

Terzo danno: «Il reato della pena consiste nel fatto che l’uomo, peccando mortalmente, merita la dannazione eterna» (ibidem). È un linguaggio che non ci piace ma è così, perché l’uomo si è privato della grazia e dunque, con il peccato, si è sottratto a Dio. Qual è la condizione dell’uomo senza Dio? L’Inferno. L’Inferno non è altro che questa privazione eterna di Dio, del Bene sommo, da cui deriva tutta la pena dell’anima. E dunque il peccato mortale merita la dannazione eterna. È importante questo aspetto.

Prosegue san Tommaso: «Ora, è evidente per tutte e tre queste cose che soltanto Dio può ripararle» (ibidem). Tutte e tre: la macchia, quindi la privazione della grazia, la corruzione della natura, il reato della pena. Tutte e tre, dice san Tommaso, hanno bisogno di Dio per essere riparate, l’uomo non può farlo da solo. E argomenta: «Infatti la bellezza della grazia deriva da un’illuminazione divina, per cui tale bellezza non può tornare in un’anima senza una nuova illuminazione da parte di Dio: e così è necessario quel dono abituale che è la luce della grazia» (ibidem). Cioè, se la grazia abituale è un dono di Dio e io lo perdo, non lo posso recuperare da me, devo chiedere nuovamente a Dio che me lo restituisca. È solo Dio che lo può restituire. Perché? Perché non è proporzionato alle mie facoltà e alle mie capacità.

Se io mi faccio una ferita, è proporzionato alle capacità naturali del mio corpo di ripararla: parte un processo infiammatorio e la ferita si ripara. Ma se è qualcosa che eccede, che oltrepassa la natura, io dipenderò da qualcun altro. E così per recuperare l’illuminazione della grazia, la grazia abituale, ho bisogno di una nuova illuminazione da parte di Dio, una nuova infusione della grazia da parte di Dio.

Secondo. Similmente l’ordine della natura (ricordate che la natura entra nel disordine dopo il peccato), che implica la sottomissione della volontà umana a quella di Dio, non può essere riparato se Dio non trae a Sé la volontà dell’uomo. Ritorniamo a quanto abbiamo detto prima, con l’art. 6. Cioè, per volgersi a Dio, per ritrovare l’ordine, l’uomo ha bisogno che Dio lo attragga.

Terzo. Nessuno all’infuori di Dio può condonare il reato della pena eterna, essendo Egli l’offeso e il giudice degli uomini. È solo Dio che può assolvere dai peccati. E noi sappiamo che lo fa ordinariamente mediante il ministero della Chiesa, attraverso il sacramento della Penitenza. Ma il punto è questo: Lui è l’offeso e Lui è giudice. Dunque, nessuno può essere assolto da quella pena giustamente meritata se non è Dio stesso ad assolverlo. E quindi in tutti e tre questi versanti l’aiuto della grazia è necessario per risorgere dal peccato.

Nell’ottavo e ultimo articolo, per quanto riguarda la lezione di oggi, san Tommaso si domanda se l’uomo senza la grazia possa non peccare. L’uomo può non peccare, da solo, senza l’aiuto della grazia? Qui san Tommaso propone prima di tutto una distinzione tra la natura integra e la natura decaduta, perché è dal loro confronto che in qualche modo la nostra condizione si illumina, si comprende meglio. Egli ci dice che nello stato di natura integra – siccome la natura era integra, non c’era un disordine, la volontà era sottomessa a Dio, tutte le facoltà inferiori erano sottomesse alle superiori – l’uomo poteva non peccare. Non ci sta dicendo che l’uomo non poteva peccare, attenzione. Ci sta dicendo che l’uomo poteva non peccare senza la grazia, avendo l’ordine nello stato di natura integra, avendo l’integrità. Per mantenere questa sua integrità, bastava non peccare. Di nuovo, non era una conferma che l’uomo non potesse peccare, perché la volontà nell’uomo rimane libera; e infatti i nostri progenitori hanno peccato: un peccato tanto più grave, rispetto ai nostri peccati, in quanto quella natura era integra.

Invece, nella natura decaduta l’uomo ha bisogno della grazia che risana, la gratia sanans, per potersi astenere totalmente dal peccato. Sottolineo questo avverbio: totalmente. Perché non significa che l’uomo, senza la grazia, pecchi sempre ogni volta che agisce; san Tommaso non sta affermando questo, perché la natura è sì decaduta, ma non è annientata, è deformata, ma non è del tutto sovvertita. Però ci sta dicendo che, proprio in ragione di questo decadimento e di questo disordine, senza la grazia non si può evitare totalmente il peccato. Che è come dire: prima o poi ci si casca; non necessariamente in ogni azione, ma è impossibile all’uomo senza la grazia permanere in una situazione in cui non pecca.

Questo è il concetto generale della natura decaduta. Ma all’interno san Tommaso fa un’ulteriore distinzione importante tra la situazione in cui nell’uomo le facoltà superiori sono risanate e quella in cui non sono risanate dalla grazia. In sostanza, l’uomo che ha ricevuto la grazia santificante, la grazia abituale, dunque l’illuminazione della fede, l’infusione della carità – quindi le facoltà superiori, l’intelligenza e la volontà, sono state risanate dalla grazia – può astenersi dal peccato mortale senza l’aiuto di una grazia ulteriore, della grazia attuale? Sì, può astenersi dal peccato mortale, ma non da quello veniale, almeno non abitualmente. A motivo di che cosa? «Per la corruzione degli appetiti inferiori» (I-II, q. 109, a. 8). Cioè, il risanamento delle facoltà superiori fa sì che l’intelligenza e la volontà si sottomettano a Dio, “ritornino” in ordine rispetto a Dio. Ma rimane in noi la famosa concupiscenza. E questa concupiscenza si fa sentire con quella lotta che noi avvertiamo, per cui a volte non riusciamo a compiere il bene che pure vogliamo. Abbiamo una certa resistenza, una certa debolezza, una certa lacerazione, una divisione. In sostanza, san Tommaso ci sta dicendo che l’uomo che vive nello stato di grazia ha bisogno di una grazia ulteriore, una grazia attuale, perché non cada neanche nei peccati veniali. La totale immunità dal peccato anche veniale è una grazia meravigliosa che va chiesta, perché appunto è un dono sopraggiunto di Dio.

San Tommaso ci dice poi che, prima che le facoltà superiori vengano sanate dalla grazia abituale, l’uomo non può, senza la grazia, evitare abitualmente il peccato mortale. Di nuovo, è importante l’avverbio: abitualmente. Non vuol dire che ogni azione dell’uomo è un peccato quando non ha la grazia santificante. L’uomo che non è in grazia non è che pecca ogni volta che agisce: la Chiesa non ha mai affermato questo. Però abitualmente non può evitare il peccato mortale. Come già detto, prima o poi ci casca.

Leggiamo due passaggi importanti. Il primo è questo: «Come quando l’appetito inferiore non è pienamente sottoposto alla ragione, sono inevitabili certi moti disordinati dell’appetito sensitivo; così, quando la ragione umana non è del tutto sottoposta a Dio sono inevitabili molteplici disordini negli atti della ragione» (ibidem). San Tommaso ci sta dicendo che quando in sostanza la ragione umana non è soggetta a Dio succede che è assai facile che avvengano dei disordini nell’ambito delle facoltà superiori, così come questi disordini avvengono nelle facoltà inferiori che sono quelle che continuano a essere segnate dalla concupiscenza.

Ancora, l’uomo non sempre ha la possibilità di riflettere, sto parlando dei casi improvvisi, delle situazioni improvvise in cui l’uomo si trova ad agire; «poiché l’uomo non sempre può riflettere in tal modo, non può di conseguenza rimanere a lungo senza agire in conformità alla spinta della sua volontà non orientata verso Dio, a meno che dalla grazia non venga presto ristabilito nel debito ordine» (ibidem). Cioè, l’uomo che non è ristabilito nel debito ordine (con la grazia santificante, la grazia abituale) molto presto tornerà ad agire in modo disordinato anche nelle facoltà superiori.

L’ultimo tema che voglio affrontare è la risposta che san Tommaso dà alla prima obiezione che si pone. Ed ecco la prima obiezione: «Come afferma sant’Agostino, “nessuno pecca facendo ciò che non può evitare”. Se quindi un uomo in peccato mortale non potesse evitare il peccato, peccando non peccherebbe. Il che è assurdo» (ibidem). A noi interessa analizzare questo assunto: nessuno pecca se fa qualcosa che non può evitare, a cui è costretto. Attenzione alla risposta che dà san Tommaso: «L’uomo senza la grazia può evitare i singoli atti del peccato; ma non tutti [non integralmente, non assolutamente, come abbiamo visto]. Siccome però è per sua negligenza che egli non si è preparato a ricevere la grazia, il fatto che non possa evitare la colpa senza la grazia non lo scusa dal peccato» (ibidem). Attenzione a questo passaggio.

Ricordiamo l’obiezione: in situazioni che sembrano inevitabili, e lo sono senza l’aiuto della grazia, uno potrebbe dire “vabbè, se è inevitabile senza l’aiuto della grazia, io che colpa ne ho?”. Ma san Tommaso, attenzione, ci dice: «… è per sua negligenza che egli non si è preparato a ricevere la grazia». Dio dà la grazia per evitare la colpa, e attira anche per ricevere la grazia. L’uomo però può resistere, può essere negligente in questa preparazione a ricevere la grazia, può essere negligente nell’assecondare questa mozione interiore. E dunque, quando questo avviene, quando c’è questa negligenza a monte, il fatto che l’uomo non possa evitare la colpa senza la grazia non lo scusa dal peccato. È vero che non ha la grazia, ma non perché Dio non l’abbia data, non perché Dio non l’abbia attratto, ma perché egli non ha voluto avvalersi di questi mezzi della grazia, perché egli non ha voluto assecondare la grazia.

Questo è importantissimo perché riguarda la mentalità che ha invaso oggi il mondo cattolico: “ah, ma ci sono delle cose che sono impossibili da vivere nella vita cristiana”, pensiamo alla vita coniugale per esempio; “dunque, dov’è la colpa se io in fondo non posso fare a meno di…”. Ma san Tommaso ci sta dicendo che c’è una negligenza dell’uomo a monte. Se dunque l’uomo non si avvale dei mezzi della grazia, se l’uomo non segue la mozione della grazia che lo chiama alla preghiera, alla conversione, se non fa questo, poi è chiaro che non può resistere a una certa tentazione, non può superare il peccato, ma non può perché egli stesso ha escluso la grazia.

Invece, con la grazia di Dio tutto è possibile, anche all’uomo. Questo è importante. Quando noi facciamo dei ragionamenti relativi anche alla colpevolezza dell’uomo, dobbiamo sempre ricordarci questo punto, cioè che un atto non va valutato solo sulla base delle circostanze umane, ma c’è sempre da domandarsi: “La persona ha chiesto aiuto a Dio? ha acconsentito alla grazia? ha acconsentito alla mozione interiore? ha accolto i mezzi che Dio gli ha dato perché avesse la forza per resistere a una certa tentazione che umanamente, da soli, sarebbe impossibile da sostenere, da affrontare?”.

Questa è la grande questione, la grande domanda. Ce la siamo un po’ dimenticata. San Tommaso ci fa il grande favore di ricordarcela. La prossima volta concludiamo questo primo capitolo sulla necessità della grazia.



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