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LETTERE IN REDAZIONE

La morte moderna

Caso Ivanisovich ed eutanasia per generosità: vale la pena citare un libro scritto più di trenta anni fa e che prefigura la situazione attuale.

Gentili redattori,

ho letto con molto piacere l'ottimo articolo odierno di Riccardo Cascioli sul caso Ivanisovich e sulla spinta sociale alla morte “generosa”.
C'è un libro sull’argomento che merita essere ricordato, come piccolo antidoto alla barbarie incombente, perché si è ormai dimostrato profetico (è stato scritto nel 1978 e pubblicato in Italia soltanto nel 2008): La morte moderna, dello svedese Carl-Henning Wijkmark.

Si tratta della descrizione di un simposio a porte chiuse organizzato dal futuristico FATER (Comitato per la Fase Terminale della Vita Umana) in cui burocrati, economisti, sociologi e teologi si interrogano su come far accettare alla gente l’unico modo possibile per uscire dalla crisi finanziaria del welfare state svedese: morire. Pensionati, ammalati, bambini handicappati, tutti questi mangiatori inutili devono essere pietosamente tolti di mezzo.
Ci si interroga sulle strategie comunicative, sulle possibili forme giuridiche; sull’aiuto che potrà dare il disciplinato clero luterano, sempre pronto a esortare all’obbedienza allo Stato nel nome di un dio remoto; sul modo più conveniente per far dimenticare una buona volta lo scomodo ricordo di Hitler con la sua “gnadentod”, e come farla finita con il ridicolo sospetto che la democrazia moderna, dopo aver sconfitto il nazismo, si stia trasformando sottopelle nella sua versione 2.0.
 
Quel che appare dalla lettura del libro di Wijkmark è che l’ideale in nome del quale gli inutili muoiono è come il gatto di Mao, quello di cui non importa il colore purché acchiappi i topi.
Poco importa se sia meglio imporre per legge la morte ai 70 anni per tutti (tranne che per “le persone importanti”, categoria in cui - naturalmente - i relatori si ritengono compresi), oppure fare leva sulla “generosità” dell’individuo improduttivo, manipolandolo e facendolo sentire in colpa perché continua a vivere; poco importa se sia meglio arrivare al traguardo per via collettiva, cioè insistendo sulla prevalenza dell’interesse della società su quello dell’individuo ormai privo di valore sociale, oppure per via individuale (che poi è quella sponsorizzata da Repubblica e compagni), cioè presentando la morte come un atto di libertà individuale contro una società totalitaria che vuole imporre la vita.

Le verità è che queste strategie sociopolitiche, freddamente comparate dai funzionari del FATER, sono di per sé indifferenti, sono soltanto mezzi alternativi e funzionali all’identico fine: non importa se gli inutili moriranno per esemplare obbedienza all’obbligo statale o per libero esercizio della loro autodeterminazione “adeguatamente stimolata”, l’importante è che muoiano.
 
Si tratta insomma di un libro che trent’anni fa poteva sembrare fantasociologia, ma che adesso è drammaticamente realtà. L’ultima frase del testo, l’espressione con cui l’untuoso Moderatore del simposio congeda i suoi partecipanti, è a suo modo agghiacciante: “Avrete presto nostre notizie”. Mi pare che le abbiamo avute, considerato quello che scrive David Brooks (come riporta l’articolo di Cascioli); probabilmente dobbiamo aspettarci davvero, per il prossimo futuro. degli appelli alla nostra “generosità” per far risparmiare all’erario la nostra pensione.
Già immagino la plausibile campagna pubblicitaria: quel cartello dello Zio Sam, che punta l’indice verso chi legge e dice “I want you”, con sotto una piccola aggiunta di una sola parola, “Dead”.

Claudio Schettino