La moglie Gemma e Beatrice: in competizione per Dante?
Come quasi tutti i poeti Dante non cantò la moglie in poesia. Non sappiamo se il suo fu un matrimonio felice, ma è certo che nel sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare (capitolo XXVI) si parla di una donna che è tanto più bella quanto più ama. La donna è per lui miracolo, meraviglia, segno stesso del divino per elevare l'uomo verso il cielo.
Desta tanto stupore il fatto che Dante, sommo poeta e versificatore, non abbia riservato un solo verso alla moglie Gemma Donati, cugina di Corso, Forese e Piccarda, tre fratelli collocati rispettivamente all’Inferno, in Purgatorio e in Paradiso dal poeta e che portano quindi il nome della loro famiglia in tutto il mondo dell’aldilà: caso unico in tutta la Commedia.
Forse ci si dimentica troppo spesso la linea della tradizione cortese occidentale: approdata in Italia avrebbe avuto un’influenza decisiva sulla poesia d’amore e lirica fino a Leopardi e oltre. Nei primi decenni della nostra letteratura (sorta pochi anni prima della nascita di Dante con il Cantico delle creature del 1224 scritto da san Francesco d’Assisi) i poeti non composero versi per la moglie: non lo fece Cavalcanti che, sposato con Bice degli Uberti (figlia del famoso personaggio dantesco Farinata degli Uberti), cantò in poesia Monna Vanna (Giovanna, anche lei sposata); neppure Cino da Pistoia, che, sposato con Margherita di Lanfranco degli Ughi, nei versi cantò una donna di nome Selvaggia; e potremmo continuare con il lungo elenco di poeti che, sposati, cantavano in poesia la bellezza di un’altra donna, indicata con un’abbreviazione o un senhal, ma pur sempre facilmente identificabile tra le donne reali ed esistenti nelle città dell’epoca.
Ciò apparteneva alla sfera della finzione letteraria (consacrato dalla tradizione lirica medioevale in volgare precedente) e sarebbe rimasto tipico della nostra tradizione illustre ed alta, da quei primi secoli fino ad oggi. I poeti italiani raramente avrebbero cantato l’amore per la propria moglie (fatte salve le eccezioni di Umberto Saba, di Eugenio Montale e di pochi altri). Avrebbero preferito, per lo più, raccontare o descrivere l’amore lontano, irraggiungibile, impossibile, o tormentato, ostacolato, reso difficile da mille impacci. Avrebbero cantato l’amore per una donna già di altri, trascurando di soffermarsi sull’amore quotidiano per la moglie.
Molto probabilmente, già a dodici anni Dante era fidanzato con Gemma Donati: l’atto, che non ci è mai pervenuto, venne sottoscritto davanti ad un notaio il 9 febbraio 1277. L’alleanza con i Donati era particolarmente prestigiosa per gli Alighieri, anche se il matrimonio non risultava vantaggioso dal punto di vista economico, dal momento che la dote di Gemma era solo di duecento fiorini piccoli. Con Gemma Dante si sposò probabilmente a vent’anni nel 1285. Dal matrimonio nacquero tre o quattro figli (Jacopo, Pietro, Antonia e, forse, Giovanni).
Studi recenti ipotizzano, invece, che la data del matrimonio debba essere posticipata al 1293 (anno dell’indizione sesta trascritta da un notaio). Ma su questa ipotesi qui non ci soffermiamo. Ad ogni modo di questo matrimonio non c’è traccia nei versi giovanili di Dante precedenti l’esilio, né tantomeno nella Commedia. Di Gemma Dante non scrisse negli anni in cui era lontano da Firenze, per venti lunghi anni, dal 1302 al 1321, anno della morte a Ravenna.
Dante rivide la moglie? Com’era il loro matrimonio? Era felice? Nel Trattatello in laude di Dante Boccaccio racconta la biografia del famoso concittadino creando spesso dei miti che sarebbero giunti fino ad oggi. Riguardo a Gemma, Boccaccio sostiene che Dante fu convinto dai parenti a sposarsi dopo la morte di Beatrice per consolarsi del dolore procurato da quel lutto. Non fu però un legame felice, come comproverebbe il fatto che i due non si sarebbero più rivisti per i vent’anni dell’esilio di Dante. Ma anche di questo non vi è alcuna prova. Come non c’è alcuna testimonianza di un matrimonio infelice: quando il poeta attacca l’amico Forese Donati colpendo la moglie Nella non troviamo versi in risposta che facciano riferimenti alla sua vita matrimoniale. Abbiamo, invece, prove che attestano il buon rapporto con i parenti di Gemma nella Commedia (si pensi al canto XXIII del Purgatorio in cui compare Forese o al canto III del Paradiso in cui Dante incontra Piccarda). Della moglie non si scrive in versi, secondo tradizione consolidata. E del resto Gemma sarebbe morta dopo la scomparsa di Dante (che non può quindi incontrarla nell’aldilà): fosse morta prima, chissà quali sorprese avremmo potuto incontrare nella Commedia.
Se di Gemma Dante non scrisse nulla, per Beatrice compose fin dalla sua prima opera, la giovanile Vita nova, fino all’ultima, la terza cantica del Paradiso, compimento della promessa del poeta di scrivere di quella donna quello che mai nessuno aveva scritto. Figlia di Folco Portinari, Dante la conobbe a nove anni (età che ha un valore altamente simbolico e religioso) come raccontato nella Vita nova e poi la incontrò nuovamente nove anni più tardi. Nove e diciotto anni potrebbero essere date reali e, al contempo, simboliche. L’uomo medioevale tende, infatti, a leggere nelle circostanze della realtà i segni della presenza di Dio. È, quindi, possibile che Dante nel rileggere la sua vita si sia sorpreso nel cogliere la presenza di questi numeri (nove e diciotto) e li abbia a posteriori riletti come segno del valore salvifico che per lui aveva avuto l’incontro con Beatrice.
Ancora giovanissimo, Dante dedicò a quella donna dei componimenti che sarebbero poi confluiti nel romanzo della sua storia d’amore, la Vita nova, che non si prefigge di raccontare tutta la giovinezza dell’autore, come avverte Dante nel primo capitolo, ma il significato della sua storia, reso comprensibile grazie all’incontro con quella donna, pressoché coetanea del poeta (era infatti di otto mesi più giovane), morta solo a ventiquattro anni nel 1290, l’8 giugno.
Entrato in una profonda crisi esistenziale e religiosa, Dante frequentò le scuole filosofiche dei Francescani di Santa Croce e dei Domenicani di Santa Maria Novella. Per ricordare Beatrice scrisse la Vita nova tra il 1292 e il 1294 raccogliendo poesie precedenti alla morte e altre realizzate in seguito. Trentun poesie unificate da una prosa la cui funzione era raccontare le vicende fondamentali della storia: il primo e il secondo incontro con lei, le donne schermo di cui si avvalse il poeta per mascherare il suo amore, ecc. Perso il saluto di Beatrice, Dante incontra ad una festa alcune donne gentili che desiderano capire quale sia la natura del suo amore. Il poeta capisce finalmente che fino a quel momento non ha mai celebrato e cantato la bellezza della donna amata, ma si è sempre concentrato sulla propria sofferenza e sul dramma d’amore.
D’ora innanzi, contrito e dispiaciuto, il poeta muta la maniera del poetare scrivendo componimenti improntati all’esaltazione della bellezza dell’amata e chiamati «poesie della loda», abbandonando il magistero dell’amico Guido Cavalcanti, di pochi anni maggiore di lui. Nel sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare (capitolo XXVI) la presenza di Beatrice è una sorprendente epifania, l’apparizione di una donna che è tanto più bella quanto più ama e vuole bene. La sua bellezza è frutto della straripante e incontenibile «bontà d’animo».
La donna è, qui, miracolo, meraviglia, segno stesso del divino nella realtà, possibilità per l’uomo di elevarsi e di andare verso il cielo. Più tardi alcuni segni sono presaghi della morte di Beatrice: la malattia di Dante, la morte del papà dell’amata, la visione del poeta in cui la donna va in Cielo. Dopo questi fatti Beatrice muore davvero.
Una donna gentile che sembra comprendere il dolore di Dante lo distrae dal pensiero e dalla memoria di Beatrice che gli appare in sogno nella gloria del Cielo, richiamandolo al significato dell’incontro con lei, dal quale la sua vita è stata rinnovata. Il poeta allora promette di non scrivere più per quella donna finché non abbia raggiunto la capacità di comporre versi così belli che nessuno ha mai composto per il proprio amore.
Quindi, anche se apprezzabile esito giovanile di un Dante non ancora trentenne, la Vita nova non ha soddisfatto del tutto il poeta. La Commedia è stata così scritta per una donna, per quella Bice di Folco Portinari che, secondo tradizione, sarebbe sepolta nella chiesa di Santa margherita de’ Cerchi (ipotesi che però appare oggi poco plausibile).
Nella Beatrice del Paradiso si compie quanto Dante ha già intravisto in Terra riguardo a quella donna quando aveva scritto il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare nella Vita nova. Nel canto I Dante si trova ancora nell’Eden, di fronte all’amata Beatrice, la quale sta guardando il Sole, come nessuna creatura è in grado di fare.
Guardando negli occhi Beatrice, a sua volta Dante inizia a guardare il Sole come per processo osmotico. L’uomo impara sempre imitando qualcuno che ha già imparato, guardando un altro che sta camminando nella vita. Beatrice, pur se non vede il poeta da dieci anni, non vuole trattenerlo su di sé, ma desidera indirizzarlo verso il Cielo, il bene, la verità, l’assoluto. Una persona che davvero ama non trattiene l’altro su di sé, ma gli indica la strada buona, la verità, la bellezza, la bontà. Questa è la vera educazione. La Beatrice del Paradiso non si comporta come donna amata, ma come maestra che spalanca il cuore di Dante. Spalancare il cuore vuole dire indirizzare al desiderio dell’assoluto. Beatrice educa Dante a perseguire la meta, che c’è. Per questo la realtà è positiva.