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L'UDIENZA GIUBILARE DEL PAPA

La misericordia svela il vero senso dell'elemosina

Udienza giubilare del Papa del sabato che, nell'Anno Santo, affiancano quelle del mercoledì. La catechesi è stata dedicata al rapporto fra misericordia ed elemosina, che il Pontefice ha invitato a comprendere nella sua vera dimensione, dando al povero che chiede con gioia soffermandosi a parlare con lui.

Ecclesia 09_04_2016
Papa Francesco

Il 9 aprile 2016 Papa Francesco ha proseguito il ciclo di udienze sulla misericordia con  una delle udienze giubilari del sabato che, nell'Anno Santo, affiancano quelle del mercoledì. La catechesi è stata dedicata al rapporto fra misericordia ed elemosina, che il Pontefice ha invitato a comprendere nella sua vera dimensione, dando al povero che chiede con gioia e soffermandosi a parlare con lui, ma insieme distinguendo la legittima richiesta della carità dall'«accattonaggio» dei falsi poveri.

«Può sembrare una cosa semplice fare l’elemosina», ha detto il Papa, «ma dobbiamo fare attenzione a non svuotare questo gesto del grande contenuto che possiede». La stessa parola «elemosina» «deriva dal greco e significa proprio “misericordia”. L’elemosina, quindi, dovrebbe portare con sé tutta la ricchezza della misericordia». Naturalmente ci sono molti modi di fare elemosina, e nella Bibbia stessa se ne parla abbondantemente. Tra gli Ebrei, «il sacrificio e l’elemosina erano due doveri a cui una persona religiosa doveva attenersi. Ci sono pagine importanti nell’Antico Testamento, dove Dio esige un’attenzione particolare per i poveri che, di volta in volta, sono i nullatenenti, gli stranieri, gli orfani e le vedove. E nella Bibbia questo è un ritornello continuo: il bisognoso, la vedova, lo straniero, il forestiero, l’orfano… ». 

Dio ha disposto che nella Scrittura i bisognosi siano «proprio al centro del messaggio: lodare Dio con il sacrificio e lodare Dio con l’elemosina». Nel Deuteronomio leggiamo: «Dai generosamente e, mentre doni, il tuo cuore non si rattristi». È un'indicazione molto profonda. C'insegna che «la carità richiede, anzitutto, un atteggiamento di gioia interiore. Offrire misericordia non può essere un peso o una noia da cui liberarci in fretta». «Dare generosamente» significa anche non giudicare la persona che chiede l'elemosina. «E quanta gente giustifica sé stessa per non dare l’elemosina dicendo: “Ma come sarà questo? Questo a cui io darò, forse andrà a comprare vino per ubriacarsi”. Ma se lui si ubriaca, è perché non ha un’altra strada! E tu, cosa fai di nascosto, che nessuno vede? E tu sei giudice di quel povero uomo che ti chiede una moneta per un bicchiere di vino?». Tobia, nel,libro,omonimo dell'Antico Testamento, istruisce così il figlio: «Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio non distoglierà da te il suo».

Gesù approfondisce ancora questi insegnamenti. Anzitutto, «ci chiede di non fare l’elemosina per essere lodati e ammirati dagli uomini per la nostra generosità: fa’ in modo che la tua mano destra non sappia quello che fa la sinistra (cfr Mt 6,3). Non è l’apparenza che conta, ma la capacità di fermarsi per guardare in faccia la persona che chiede aiuto». Ancora oggi ognuno di noi dovrebbe chiedersi: «Io sono capace di fermarmi e guardare in faccia, guardare negli occhi, la persona che mi sta chiedendo aiuto? Sono capace?». 

Gesù c'insegna a «non identificare l’elemosina con la semplice moneta offerta in fretta e senza guardare la persona e senza fermarsi a parlare per capire di cosa abbia veramente bisogno», anche se certamente e con prudenza «dobbiamo distinguere tra i poveri e le varie forme di accattonaggio che non rendono un buon servizio ai veri poveri». In sintesi, «l’elemosina è un gesto di amore che si rivolge a quanti incontriamo; è un gesto di attenzione sincera a chi si avvicina a noi e chiede il nostro aiuto, fatto nel segreto dove solo Dio vede e comprende il valore dell’atto compiuto».

C'è un elemento in più. «Fare l’elemosina dev’essere per noi anche una cosa che sia un sacrificio. Io ricordo una mamma: aveva tre figli, di sei, cinque e tre anni, più o meno. E sempre insegnava ai figli che si doveva dare l’elemosina a quelle persone che la chiedevano. Erano a pranzo: ognuno stava mangiando una cotoletta alla milanese, come si dice nella mia terra, “impanata”. Bussano alla porta. Il più grande va ad aprire e torna: “Mamma, c’è un povero che chiede da mangiare”. “Cosa facciamo?”, chiede la mamma. “Gli diamo – dicono tutti e – gli diamo!” – “Bene: prendi la metà della tua cotoletta, tu prendi l’altra metà, tu l’altra metà, e ne facciamo due panini” - “Ah no, mamma, no!” - “No? Tu da’ del tuo, dà di quello che ti costa”». Questo è quello che i genitori dovrebbero insegnare ai figli: l'elemosina come sacrificio. 

Educati così da bambini, si sarà pronti ad ascoltare da grandi le parole di San Paolo: «In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavorando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: “Si è più beati nel dare che nel ricevere!”».