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GERMANIA

La mamma dice no al sesso a scuola: va in prigione

Accade alle elementari di Salzkotten, dove i cristiani battisti sfidano un ordinamento scolastico immorale.

Attualità 22_02_2011
Sex education

 

I cristiani vengono perseguitati. Dove? Nella libera e democratica Germania, dove chi disobbedisce ai diktat scolastici finisce in galera. Recentissimo è il caso di una mamma di dodici figli trascinata in carcere nientemeno che per sei settimane per essersi rifiutata di sottoporre tre dei suoi piccoli alle lezioni di educazione sessuale volute dall’ordinamento scolastico di Stato. E non è la prima volta.

Nel settembre 2010 una mamma di quattro figli si è fatta cinque giorni di prigione e nell’agosto precedente un papà di 12 figli ne ha scontati 40 per gli stessi motivi. Identica sorte incombe peraltro ora sul capo di un’altra mamma (di nove bimbi, il maggiore di 14 anni e il più piccolo di 10 mesi) che potrebbe farsi 21 giorni di galera, come già il marito. Accade tutto nella medesima cittadina, nella medesima scuola, per le medesime ragioni. Cioè a Salzkotten, nel land del Nord Reno-Westfalia, nella Germania centrale, dove ha sede la scuola elementare Liborius a cui sono iscritti i figli di molte famiglie di fede cristiana battista indignate di quanto viene loro ammannito. La cosa più scioccante però è che la Liborius è pure una scuola cattolica. Ma in Germania è così: nessuno può sottrarsi, nemmeno le scuole private, ai programmi scolastici decisi dallo Stato nei quali dal 1970 è contemplata anche quell’educazione sessuale che dal 1992 è divenuta insegnamento obbligatorio per tutti, oggi con tanto di “pratica”.

L’avviamento scolastico alla sessualità prevede, infatti, maratone di più giorni di cui sono parte integrante anche certi spettacolini teatrali a cui i giovanissimi studenti sono tenuti a partecipare in prima persona. Del resto la Germania è il Paese dove nel luglio 2007 scoppiò la bomba del Bundeszentrale für gesundheitliche Aufklärung (il Centro federale tedesco di educazione alla salute), ovvero una sussidiaria del ministero per gli Affari familiari che diffuse nel Paese due libriccini con cui si invitava in modo diciamo disinvolto i genitori a “giocare al dottore” con i propri bimbi (si trattava di due libretti predisposti accuratamente per altrettante fasce di età: 12-36 mesi e 4-6 anni) e su cui piovvero subito le accuse di “pedofilia di Stato”.

Ora, a Salzkotten accade che diverse famiglie battiste stiano da anni praticando un braccio di ferro con la Liborius, ma in realtà con lo Stato tedesco, giudicando contrarie al proprio credo religioso le lezioni di educazione sessuale predisposte (dal 2005) dalla scuola e quindi praticando una resistenza passiva fondata sull’obiezione di coscienza. Meglio, dicono, affrontare il delicato argomento fra le mura domestiche. E però dal 2006 la legislazione tedesca vieta senza la minima eccezione e reprime duramente ogni concetto e pratica di home-schooling, quel fenomeno invece legalissimo e diffusissimo per esempio negli Stati Uniti d’America dove a garantire sia la scolarizzazione sia l’educazione dei ragazzi sono i genitori, le associazioni di genitori e i tutor ingaggiati ad hoc.

È stato così che poche settimane fa a Salzkotten è arrivata la polizia, ha stilato il verbale per sottrazione di minore dall’obbligo scolastico ai danni di una mamma, questa non ha pagato la multa comminata e la vicenda si è conclusa con 43 giorni di sole a scacchi per la signora. Del resto le famiglie incriminate non hanno violato la legge tedesca sull’home-schooling: mai hanno avuto intenzione di togliere completamente i figli dalla scuola per educarli privatamente, semplicemente li hanno sottratti a un insegnamento della sessualità che in coscienza, come il diritto internazionale consente ai genitori di fare, hanno ritenuto moralmente inaccettabile.

Alla base di tutto vi sono peraltro due casi “madre”, risalenti al febbraio 2007. Willi e Anna Dojan sono genitori di 8 figli, Eduard ed Elisabeth Eischeidt ne hanno invece tre. Entrambe le famiglie sono cristiane battiste, entrambe le famiglie avevano al tempo una ragazza undicenne, rispettivamente Lilli e Franziska, entrambe le famiglie all’epoca avrebbero per volere della scuola dovuto sottoporle a un corso di 4 giorni di educazione sessuale comprendente pure una performance interattiva e obbligatoria nello spettacolo Mein Körper gehört mir, ossia “Il mio corpo mi appartiene”. Provare, insomma, per imparare… Mamma e papà si sono allora guardati diritti negli occhi e hanno pensato che le loro ragazze meritassero qualcosa d’altro. Mica immaginavano che sarebbe finito tutto in tribunale.

L’Alliance Defense Fund (ADF), una organizzazione statunitense nata nel 1994 per riunire associazioni e avvocati a difesa della libertà religiosa a livello internazionale, ha portato i casi dei Dojan e degli Eischeidt davanti alla Corte Europea dei diritti umani. Il legale dell’ADF che li difende, l’avvocato Roger Kiska di Bratislava, ritiene infatti essere un diritto sacrosanto delle famiglie in questo caso tedesche quello di potersi in piena coscienza opporre a un insegnamento che palesemente cozza con la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (1950), per la precisione l’art. 2 del Protocollo addizionale approvato il 20 marzo 1952 il quale sancisce: «Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di assicurare tale educazione e tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche».

Complessivamente, l’ADF sta difendendo oggi ben cinque famiglie che si trovano a dover in coscienza resistere a una situazione grave che quando, poche settimana fa, l’ha apertamente denunciata Papa Benedetto XVI tutti si sono sentiti in dovere di canzonarlo.
Torniamo a Salzkotten, con il caso dell’ultima mamma incarcerata che gira sul web oramai da qualche giorno, ma con un’avarizia di notizie che lascia a bocca spalancata. Che nel nostro mondo annegato dall’informazione una mamma che vive nel cuore del mondo civile, a un tiro di schioppo dalle nostre telecamere sempre guardone e dai nostri giornali sempre voyeur, si faccia un mese e mezzo di galera per resistenza a pubblico programma scolastico e che la cosa sia ignorata dai giornali è quantomeno sconcertante.