Il PUNTO
La lezione di Tangentopoli
Se a 20 anni da Mani Pulite Milano la corruzione dilaga più di prima significa a una domanda vera fu la risposta sbagliata. L'inizio della Quaresima
ci ricorda dov'è quella giusta.
Editoriali
21_02_2012
Certo, basterebbe guardare il politico Antonio Di Pietro per capire a cosa è servita Tangentopoli. E basterebbe riprendersi in mano le cifre fornite la scorsa settimana dalla Corte dei Conti (corruzione in Italia stimata a 60 miliardi di euro, il 50% dell’intera Unione Europea) per capire a cosa non è servita. Perché a venti anni esatti di distanza la corruzione è ancora tutti lì, anzi la situazione è peggiorata. In compenso quelle inchieste hanno aperto la porta del successo a magistrati, avvocati, politici e giornalisti che a diverso titolo hanno beneficiato di Tangentopoli.
Proprio le cifre allarmanti diffuse dalla Corte dei Conti ci rendono inevitabile una riflessione, ma a partire dall’esperienza della gente comune, quella che venti anni fa osannava i giudici di Milano, tirava monetine a Bettino Craxi, ed esultava per ogni politico ammanettato. Quella gente comune che credeva – gli era stato fatto credere – che bastassero un po’ di processi e soggiorni nelle patrie galere per ripristinare la legalità.
Vent’anni dopo veniamo invece a sapere che la corruzione è addirittura peggiorata. A essere proprio sinceri non era necessaria la Corte dei Conti: basterebbe vedere i tempi biblici necessari per terminare una qualsiasi opera pubblica, o mettere a confronto l’altissimo livello raggiunto dalle tasse con l’infimo livello dei servizi erogati per capire che la corruzione è un fenomeno del presente e non del passato.
Per Di Pietro dipende dal fatto che nel frattempo sono state approvate leggi per facilitare i corrotti ed è così diventato più difficile beccarli. Ma non è questo il punto. Il problema è che davanti a un male evidente e ingiustificabile, per combatterlo si è posta la speranza in qualcosa di inadeguato. Abbiamo vissuto l’ossessione dei ladri, ha giustamente detto Giuliano Ferrara su Il Foglio del 20 febbraio. Il ladro come capro espiatorio, il colpevole che permette di allontanare da noi ogni responsabilità; e il giudice come soluzione, il giustiziere che rimette le cose a posto senza che a noi sia chiesto di implicarci con la realtà. E basta vedere come ancora oggi si applaude ai blitz della Finanza nelle località più note e frequentate dai vip per capire che non è cambiato nulla. E’ il solito scarico di responsabilità che punta sempre al di fuori di noi per individuare il colpevole, anche delle nostre debolezze.
E’ per questo che il problema della corruzione non è mai stato affrontato adeguatamente e il nostro paese sprofonda. La corruzione economica è figlia della corruzione morale, e riguarda tutta la società, riguarda ognuno di noi. E non sarà certo un progetto di educazione alla legalità che potrà cambiare il corso degli eventi. Ce lo ricorda provvidenzialmente il tempo di Quaresima che inizia domani: soltanto il cambiamento del nostro cuore è una risposta adeguata alla domanda di giustizia che ci portiamo dentro.