La guerra nel centrodestra per il controllo dei media
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Il disegno di legge sull'intelligenza artificiale è ancora impantanato. Fratelli d'Italia vuole giocarsi in autonomia la battaglia per il controllo delle nuove tecnologie e si scontra con Forza Italia che invece punta ad avere una golden share sulle tv. E la Lega rimane fuori dai giochi.
Il disegno di legge sull'intelligenza artificiale (IA o, nell'acronimo inglese, AI), presentato il 23 aprile scorso, quindi oltre sette mesi fa, è ancora impantanato nelle secche delle discussioni parlamentari e non se ne intravvede una rapida approvazione. Invece l'innovazione tecnologica galoppa e le sterili diatribe tra i partiti rischiano di portare all'approvazione di quel testo di legge quando già sarà cambiato tutto e quelle disposizioni diventeranno inapplicabili.
Infatti il digitale corre come una lepre e il diritto è in affanno e fa fatica a rimanere nella sua scia. Ma la verità è che Fratelli d'Italia, partito di maggioranza relativa, vuole giocarsi in autonomia la battaglia per il controllo dell'intelligenza artificiale senza coinvolgere più di tanto gli alleati. C'è una sorta di tacito accordo tra il partito della Meloni, che vuol essere magna pars nella partita sull'AI, e Forza Italia, che invece vuole avere la golden share sul dossier tv, anche per gli interessi di Mediaset.
Gli attori principali in queste due partite sono Alessio Butti, sottosegretario all'innovazione digitale e uomo di fiducia di Giorgia Meloni, Adolfo Urso, ministro delle imprese e del made in Italy, che si contendono, non senza frizioni, le competenze sui diversi ambiti della Rete, e Alberto Barachini, sottosegretario all'editoria, forzista della prima ora oltre che ex giornalista proprio delle reti berlusconiane, che presidia l’ambito dei mezzi di informazione. La Lega, invece, non tocca palla e questo rischia di innervosire ancora di più gli uomini di Salvini, che nell'ambito dei media devono accontentarsi delle briciole in termini di potere e di controllo.
Questa situazione, in cui l’iter legislativo rimane bloccato mentre il dibattito politico si infiamma su chi debba avere la leadership in un settore strategico come quello dell’intelligenza artificiale, evidenzia alcune criticità strutturali del sistema decisionale italiano. L’ambizione di Fratelli d’Italia di diventare il punto di riferimento sul tema dell’intelligenza artificiale appare evidente. Per il partito della Meloni, l’intelligenza artificiale non è solo un tema di innovazione, ma anche una questione di sovranità tecnologica: avere voce in capitolo sul controllo e la regolamentazione di queste tecnologie significa gestire il potenziale impatto sull’economia, sull’occupazione e persino sulla sicurezza nazionale, e vigilare in qualche modo sulla circolazione dei dati, vero petrolio dell’economia digitale.
Il sottosegretario Alessio Butti, uomo di fiducia della premier, è il fulcro di questa strategia. Il suo ruolo nell’innovazione digitale è cruciale per indirizzare l’agenda tecnologica del governo, e il suo impegno su dossier delicati, come quello sull’AI, si inserisce in una visione di lungo periodo che mira a posizionare l’Italia tra i leader europei nella gestione delle tecnologie emergenti.
Dall’altro lato, Forza Italia non sembra intenzionata a cedere terreno sul fronte televisivo e mediatico, un ambito che da sempre rappresenta un asset fondamentale per il partito fondato da Silvio Berlusconi. La posizione di Alberto Barachini come sottosegretario all’editoria è un chiaro segnale della volontà di Forza Italia di mantenere salda la propria golden share su questo dossier, anche in virtù degli interessi economici legati a Mediaset.
Dunque, se da un lato Fratelli d’Italia vuole plasmare il futuro tecnologico del Paese, Forza Italia punta a rafforzare il controllo su uno dei settori tradizionali del potere mediatico, consapevole che le televisioni, nonostante l’avvento del digitale, rimangono uno strumento fondamentale per l’influenza politica e culturale.
E la Lega? In questa partita, il partito di Matteo Salvini, come detto, sembra essere relegato al ruolo di comprimario. Nonostante l’ampio consenso elettorale di cui gode ancora in molte regioni del Nord, la Lega non riesce a imporsi nei tavoli decisionali sui dossier strategici della digitalizzazione e dell’informazione.
Questo isolamento rischia di alimentare tensioni all’interno della coalizione, soprattutto considerando che la Lega, tradizionalmente, ha sempre rivendicato un ruolo di primo piano nei settori chiave dello sviluppo economico. I malumori interni sono palpabili. Gli uomini di Salvini vedono sfumare la possibilità di incidere in settori cruciali, dovendosi accontentare di ruoli marginali rispetto agli alleati. Questo potrebbe tradursi, in futuro, in tensioni politiche capaci di mettere a rischio l’equilibrio della maggioranza di governo.
In questo contesto, il vero pericolo è che l’Italia perda un’occasione irripetibile per posizionarsi come leader in un settore decisivo per il futuro globale. La regolamentazione dell’intelligenza artificiale, se affrontata con visione e tempestività, potrebbe consentire al Paese di colmare parte del gap tecnologico che lo separa dai principali competitor europei e mondiali.
Tuttavia, le diatribe politiche e la lentezza del processo legislativo rischiano di rendere inutile ogni sforzo. Se la legge sull’AI arriverà quando il panorama tecnologico sarà già cambiato, l’Italia si troverà a rincorrere anziché guidare. È necessario un cambio di passo: i partiti devono abbandonare le lotte di potere e concentrarsi sulla costruzione di un quadro normativo efficace, che garantisca innovazione, tutela dei diritti e competitività internazionale. La lepre digitale non aspetta. L’Italia saprà starle dietro o sarà destinata a rimanere al palo?