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ONU

La Giornata della pace e le quarantun guerre dimenticate

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Solo di due conflitti si parla regolarmente: Ucraina e Gaza. Ma sono solo due di 41 conflitti in corso, di cui 6 con più di 10mila morti nell'ultimo anno. Vediamoli tutti.

Esteri 21_09_2024
Myanmar, uno dei conflitti dimenticati (La Presse)

Lo sviluppo di relazioni amichevoli tra le nazioni, la loro cooperazione, la pace e la sicurezza mondiali sono tra i principali obiettivi delle Nazioni Unite. Per questo nel 1981 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha deciso di dedicare una giornata alla pace, dapprima celebrata ogni terzo giovedì di settembre e, dal 2001, sempre il 21 settembre.

Da allora la Giornata internazionale della pace ogni anno è occasione di eventi intesi a sensibilizzare sul problema della guerra e della violenza, sul contributo che ciascuno di noi può dare alla costruzione di un mondo in cui libertà e giustizia siano garantite a tutti gli esseri umani. Il tema scelto per quest’anno, Coltivare una cultura di pace, vuole sottolineare l’importanza di costruire società basate sul dialogo, l’empatia e il rispetto dei diritti umani. «La guerra inizia nella mente degli uomini e perciò è nella loro mente che si devono costruire le difese della pace». Il tema si è ispirato a questa convinzione che condusse alla creazione nel 1945 dell’Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura).

A partire dal 2001, almeno nelle intenzioni dei promotori, dovrebbe essere anche un giorno di tregua durante il quale i contendenti depongono le armi, in cui concordano, seppure per poche ore, un cessate il fuoco. Quest’anno sarebbe quanto mai necessario perché decine di milioni di persone nel mondo sono allo stremo delle forze e con loro le decine di migliaia di operatori umanitari che tentano di soccorrerli e di assisterli.

La distrazione dei mass media e una visione ideologicamente orientata fanno sì che molti, forse la maggior parte della gente, pensino che siano due le guerre in corso in questo momento nel mondo: quella iniziata nel 2022 con l’invasione militare dell’Ucraina da parte della Russia e quella originata dall’attacco di Hamas alla popolazione civile israeliana il 7 ottobre 2023. Su entrambe si concentra l’attenzione con notizie quotidiane, analisi, reportage. Invece attualmente nel mondo si contano 41 conflitti armati: sei, tra i quali i due già citati, più cruenti e devastanti, con oltre 10mila morti tra militari e civili dall’inizio del 2023 e 35 “minori”, alcuni dei quali classificabili come a bassa intensità, con meno di 10mila morti nello stesso arco di tempo. Esistono poi altre 15 aree di tensione nelle quali si verificano sporadici scontri, per lo più con poche vittime: ad esempio, quelli che tuttora scoppiano tra Corea del Nord e Corea del Sud e che hanno causato 12 morti nel 2023 e 30 dall’inizio del 2024, residuo di una guerra che però ha provocato tre milioni di morti. O quelli nell’ovest della Repubblica democratica del Congo, dove le vittime sono state 44 nel 2023 e 78 dall’inizio del 2024.

Quello in Sudan, tra due generali e i loro eserciti, è uno dei sei conflitti ritenuti più sanguinosi. La guerra è scoppiata nell’aprile del 2023. La ferocia dei contendenti è responsabile della più grande crisi umanitaria del mondo: oltre ai civili morti stimati, per difetto, in circa 25mila, 25 milioni di persone, metà della popolazione, bisognose di aiuto, 12 milioni di profughi, denutrizione endemica e la previsione che entro la fine dell’anno potrebbero morire di fame 2,5 milioni di persone. Della guerra in Sudan si parla poco. Si hanno ancora meno notizie su un’altra guerra, quella in Myanmar tra le forze governative e i movimenti popolari di resistenza. È incominciata nel 2021 quando i militari hanno preso il potere con un colpo di Stato. I morti dall’inizio del 2023 sono circa 30mila, le persone in difficoltà bisognose di assistenza sono quasi 18 milioni su un totale di 54 milioni di abitanti, i profughi superano i 2,6 milioni.

Si stimano in almeno 25mila anche le vittime del jihad, la guerra santa islamica, nel Maghreb e nel Sahel, uccisi da gruppi affiliati ad al Qaeda e all’Isis. I profughi sono milioni, impossibile un conto esatto, e ben 16 i paesi colpiti. Infine, del tutto ignorato dai mass media e dalle associazioni che organizzano le marce e le altre iniziative per la pace è il sesto conflitto, violentissimo, con quasi 20mila vittime in meno di due anni: quello contro i narcotrafficanti e tra i diversi cartelli della droga in Messico. Per il modo in cui la guerra è condotta, si contano inoltre decine di migliaia di dispersi, persone scomparse senza lasciare traccia.   

Etiopia e Somalia sono tra i paesi in cui la guerra ha ucciso poco meno di 10mila persone dall’inizio del 2023. In Etiopia gli scontri sono tra esercito governativo e milizie etniche, al momento quelle Amara. Prima a sfidare il governo erano stati i Tigrini che nel 2020 hanno tentato di riprendere il potere. La guerra è durata due anni e ha fatto da 500 a 600mila morti. Invece la Somalia ha un non invidiabile primato, quello della guerra più lunga: è iniziata nel 1987 con la rivolta contro il dittatore Siad Barre e dopo la sua sconfitta si è trasformata in guerra tra clan, alcuni dei quali circa 20 anni fa hanno scelto di affiliarsi ad al Qaeda. Sudan, Myanmar, Etiopia, Somalia: sono conflitti interni, tra fazioni per il controllo dello Stato, per il potere, e per questo si chiamano “guerre civili”. Civili, inermi, sono gli uomini, le donne, i bambini che costituiscono la maggior parte delle vittime.

Nella Giornata internazionale della pace si vorrebbe ovunque una tregua, ma non succede mai. Anche quest’anno nessuno ha accettato di deporre le armi.