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GIUBILEO

«La gioia della conversione vince tristezza e paura»

In tutto il mondo sono state aperte le Porte Sante per il Giubileo nelle diverse diocesi cattoliche. Papa Francesco ha aperto la Porta Santa della diocesi di Roma a San Giovanni in Laterano, affermando che il Giubileo è una chiamata alla conversione. Oggi «non ci è consentita nessuna forma di tristezza, anche se ne avremmo motivo. La venuta del Signore, però, deve riempire il nostro cuore di gioia».

Ecclesia 13_12_2015
Papa Francesco apre la Porta Santa della basilica di San Giovanni in Laterano

Domenica 13 dicembre 2015 in tutto il mondo sono state aperte le Porte Sante per il Giubileo nelle diverse diocesi cattoliche. Papa Francesco ha aperto la Porta Santa della diocesi di Roma a San Giovanni in Laterano, affermando che il Giubileo è una chiamata alla conversione, che vale anche per i politici, e che sperimentare la conversione è sempre fonte di gioia.

L'Anno Santo, ha detto il Papa, dev'essere per tutti l'anno della gioia. «L’invito rivolto dal profeta all’antica città di Gerusalemme, oggi è indirizzato anche a tutta la Chiesa e a ciascuno di noi: "Rallegrati … esulta!" (Sof 3,14). Il motivo della gioia è espresso con parole che infondono speranza, e permettono di guardare al futuro con serenità. Il Signore ha revocato ogni condanna e ha deciso di vivere in mezzo a noi». È anche la gioia del Natale.

Ma come si può - potrebbe chiedersi qualcuno - parlare di gioia quando nel mondo accadono tante tragedie? «Non possiamo lasciarci prendere dalla stanchezza», ha risposto il Pontefice, «non ci è consentita nessuna forma di tristezza, anche se ne avremmo motivo per le tante preoccupazioni e per le molteplici forme di violenza che feriscono questa nostra umanità». La venuta del Signore «deve riempire il nostro cuore di gioia. Il profeta, che porta inscritto nel suo stesso nome – Sofonia – il contenuto del suo annuncio, apre il nostro cuore alla fiducia». Sofonia, di cui la liturgia della domenica proponeva un brano, significa infatti «Dio protegge».

La missione di Sofonia, ha spiegato il Papa, si svolgeva «in un contesto storico di grandi soprusi e violenze, ad opera soprattutto di uomini di potere, Dio fa sapere che Lui stesso regnerà sul suo popolo, che non lo lascerà più in balìa dell’arroganza dei suoi governanti, e che lo libererà da ogni angoscia». Il profeta esorta anche noi perché «non ci lasciamo cadere le braccia» (Sof 3,16) di fronte ai soprusi dei potenti, che spesso abusano della politica. L’apostolo Paolo riprende con forza l’insegnamento del profeta Sofonia e lo ribadisce: «Il Signore è vicino» (Fil 4,5). Per questo «dobbiamo rallegrarci sempre, e con la nostra affabilità dare a tutti testimonianza della vicinanza e della cura che Dio ha per ogni persona».

Il Vangelo della domenica proponeva la domanda delle folle a San Giovanni Battista: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10). La risposta del Battista, che vale in modo speciale per i governanti, «invita ad agire con giustizia». Ma a noi oggi con l'Anno Santo «viene chiesto un impegno più radicale. Davanti alla Porta Santa che siamo chiamati a varcare, ci viene chiesto di essere strumenti di misericordia, consapevoli che saremo giudicati su questo. Chi è stato battezzato sa di avere un impegno più grande».

All'Angelus, Francesco è tornato sulla domanda rivolta al Battista, «Che cosa dobbiamo fare?». La rivolgono a Giovanni Battista tre gruppi di persone: primo, la folla in genere; secondo, i pubblicani, cioè gli esattori delle tasse; e, terzo, alcuni soldati. «Ognuno di questi gruppi interroga il profeta su quello che deve fare per attuare la conversione che egli sta predicando». Alla folla, cioè a tutti, Giovanni chiede «la condivisione dei beni di prima necessità». Leggiamo nel Vangelo la sua risposta: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Al secondo gruppo, agli esattori delle tasse, dice di «non esigere nulla di più della somma dovuta». «Non fare “tangenti”», commenta Francesco. . E al terzo gruppo, ai soldati, domanda di «non estorcere niente a nessuno ma di accontentarsi delle loro paghe».  Tre risposte «per un identico cammino di conversione, che si manifesta in impegni concreti di giustizia».

Dal discorso del Battista, ha aggiunto il Papa, «comprendiamo quali fossero le tendenze generali di chi in quell’epoca deteneva il potere, sotto forme diverse». Ma oggi «le cose non sono cambiate tanto». Tuttavia, «nessuna categoria di persone è esclusa dal percorrere la strada della conversione per ottenere la salvezza, nemmeno i pubblicani considerati peccatori per definizione: neppure loro sono esclusi dalla salvezza. Dio non preclude a nessuno la possibilità di salvarsi. Egli è – per così dire – ansioso di usare misericordia, usarla verso tutti, e di accogliere ciascuno nel tenero abbraccio della riconciliazione e del perdono».

Sbaglieremmo se pensassimo che la domanda «che cosa dobbiamo fare» sia solo per gli altri, per i politici o per gli esattori delle tasse a rischio di corruzione. Ciascuno di noi deve sentire la domanda come sua. E ascoltare da San Giovanni la risposta : che «occorre convertirsi, bisogna cambiare direzione di marcia e intraprendere la strada della giustizia, della solidarietà, della sobrietà: sono i valori imprescindibili di una esistenza pienamente umana e autenticamente cristiana. Convertitevi! È la sintesi del messaggio del Battista».

La conversione non è in contraddizione con la gioia. «Chi si converte e si avvicina al Signore, sente la gioia». Il Papa sa che «oggi ci vuole coraggio a parlare di gioia, ci vuole soprattutto fede! Il mondo è assillato da tanti problemi, il futuro gravato da incognite e timori. Eppure il cristiano è una persona gioiosa, e la sua gioia non è qualcosa di superficiale ed effimero, ma di profondo e stabile, perché è un dono del Signore che riempie la vita». Alla fine, la nostra gioia «deriva dalla certezza che "il Signore è vicino" (Fil 4,5): è vicino con la sua tenerezza, con la sua misericordia, col suo perdono e il suo amore».