La "Germania" di Tacito e il mito della razza ariana
Nella sua opera Germania, Tacito presenta l’aspetto fisico e i costumi dei popoli germanici come conseguenza dei luoghi in cui abitano. Questa è «gente senza astuzia né malizia», secondo lo storico latino, che però non cade nell’idealizzazione dei Germani. Tuttavia, Hitler scorgerà in questo scritto una ‘prova’ della superiorità e purezza della razza ariana.
È forse il più importante storico del mondo latino, intenzionato a raccontare con scrupolo, obiettività e imparzialità (sine ira et studio) le vicende romane sia dell’età dei Flavi (dal 68 al 96 d.C.) nelle Historiae che dell’età Giulio-Claudia (dal 14 al 68 d.C.) negli Annales.
Tacito (55 circa d.C. - 117 circa d.C.) si orienta spesso alla registrazione di tutte le versioni di un fatto, comprese i rumores, al moralismo espresso attraverso severi giudizi di condanna e la tendenza a sospettare dei falsi motivi ideali. La storia da lui raccontata ha al centro alcuni grandi personaggi (dall’imperatore ai letterati, dal comandante alle donne di corte) con una profonda e acuta analisi psicologica.
La narrazione è drammatizzata tramite i discorsi diretti e indiretti o l’accentuazione degli elementi patetici. Il focus dello scrittore non è tanto sugli eventi militari, come accade in altre grandi opere storiche, ma sullo scadimento del senato, sugli intrighi di corte, sulle lotte per il potere in un contesto storico in cui sono ormai sotto gli occhi di tutti l’ineluttabilità del principato e la decadenza della classe dirigente.
Particolarmente interessante è l’attenzione riservata da Tacito alle popolazioni straniere. Se nelle Historiae vi è un lungo excursus etnografico sul popolo ebreo, mentre lo storico sta affrontando le vicende della Guerra giudaica, nella Germania e nell’Agricola l’intera opera è riservata alla presentazione di popoli stranieri, con un’attenzione del tutto nuova per chi è lontano ed estraneo a Roma. Già precedentemente, Cesare nel De bello gallico (libro VI) e Sallustio nelle Historiae (libro III) avevano scritto lunghe digressioni sulle popolazioni germaniche. Plinio il Vecchio aveva scritto il saggio Bella Germanica, ma purtroppo l’opera è andata perduta. La Germania è l’unica monografia dedicata a popolazioni straniere a esserci giunta integrale. Nei 46 capitoli Tacito si sofferma su popoli che avevano così tanto spaventato i Romani nella battaglia di Teutoburgo da bloccare ulteriori azioni di conquista del territorio al di là del Reno.
Che cosa era accaduto nelle foreste vicino a Teutoburgo nel 9 d.C.? Tre legioni romane (la diciassettesima, la diciottesima, la diciannovesima) affidate a Quintilio Varo, il proconsole della Germania, e 10.000 tra civili e alleati erano stati trucidati dalla popolazione dei Cherusci (in tutto 3.000 uomini). I Romani si erano fidati del capo di questa popolazione germanica che aveva loro suggerito una scorciatoia attraverso i boschi, ove era poi avvenuta l’imboscata.
Tacito si documenta sulle opere De bello gallico di Cesare (direttamente citato da Tacito: «Validiores olim Gallorum res fuisse summus auctorum Divus Iulius tradit» ovvero «il divino Giulio, il maggiore degli storici, tramanda che la potenza dei Galli fu un tempo superiore») e Bella Germanica di Plinio il Vecchio. Probabilmente lo storico ha anche raccolto osservazioni direttamente quando ha ricoperto incarichi nella parte settentrionale dell’Impero, ma di quegli anni della sua vita conosciamo poco.
I 46 capitoli complessivi offrono una descrizione fisica ed etnografica dei territori (luoghi, costumi, caratteri della vita pubblica e privata, eccetera, nei capitoli 1-26) per poi presentare le differenti popolazioni germaniche (capitoli 27-46), sia quelle che abitano a est del Reno sia quelle che si sono trasferite in Gallia.
Ispiratosi al determinismo ambientale che si sviluppa in Grecia nel V secolo a.C., Tacito presenta l’aspetto fisico e i costumi dei popoli germanici come conseguenza dei luoghi in cui quelle popolazioni abitano. Il clima freddo e umido della Germania richiede la prestanza fisica degli abitanti, mentre il clima temperato mediterraneo è la condizione migliore per lo sviluppo di società in cui si educhino sia la forza che l’intelligenza. Così, nel capitolo XX, Tacito scrive:
In ogni casa (i Germani) crescono nudi e sporchi, per poi svilupparsi in quelle membra e in quei corpi che tanto ammiriamo. Ogni madre allatta al seno i propri figli e non li affida ad ancelle o nutrici. Impossibile distinguere il padrone o il servo da cure particolari nell’educazione. Vivono tra il medesimo bestiame e sullo stesso terreno, finché l’età separa i giovani nati liberi e il valore li fa conoscere tali.
E ancora nel capitolo XXII lo storico annota:
Appena usciti dal sonno, che in genere protraggono fino a giorno inoltrato, si lavano, per lo più con acqua calda, come è naturale in un paese dove l’inverno occupa tanta parte dell’anno. Finito di lavarsi, mangiano. Ciascuno ha un posto e un piatto separato a tavola. Poi, armati, vanno alle loro occupazioni e, non meno spesso, a dei banchetti.
La loro alimentazione è semplice: «Frutti di campo, selvaggina fresca, latte cagliato». I Germani non indulgono a raffinatezze culinarie. Le popolazioni germaniche sono lontane dalla corruzione, dal decadimento morale, dalla perdita degli antichi valori che caratterizza ormai l’Impero romano. Tra quei popoli «i vizi non fanno sorridere e l’essere corrotti non si chiama moda» (capitolo 19). Inoltre:
i rapporti sessuali non sono precoci e quindi la loro virilità è inesauribile. Non c’è fretta di far sposare le giovani; identico ai maschi è il vigore giovanile, simile la statura: si maritano quando hanno prestanza e robustezza pari al loro compagno e i figli rinnovano la forza dei genitori (capitolo 22).
I Germani hanno uno spiccato senso della convivialità e dell’ospitalità:
Tutti accolgono l’ospite alla propria tavola, imbandita secondo i propri mezzi. Finita la disponibilità di cibo, chi aveva offerto l’ospitalità gli indica un’altra casa e ve lo accompagna; pur senza invito, entrano nella casa vicina, e non c’è differenza: vengono accolti con lo stesso riguardo. In fatto d’ospitalità nessuno fa distinzione tra persona conosciuta o sconosciuta. Quando l’ospite parte, è usanza concedergli ciò che chiede, e la franchezza nel chiedere è altrettanta. I doni sono per loro una gioia, né chi dona si sente in credito, né chi riceve in obbligo (capitolo XXI)
Per Tacito questa è «gente senza astuzia né malizia». Nonostante descriva queste note positive, Tacito non cade nell’idealizzazione dei Germani e non si scorda di annotare i loro difetti:
non costituisce vergogna passare il giorno e la notte bevendo. Le risse, frequenti, come suole tra avvinazzati, raramente finiscono con semplici insulti, più spesso con morti e feriti (capitolo XXII).
La loro bevanda preferita è «un liquido, ricavato dall’orzo o dal frumento, fermentato pressappoco come il vino». Si tratta della birra. Soltanto le persone più vicine ai fiumi comprano il vino. Un altro difetto è l’inclinazione al gioco. L’accanimento all’azzardo induce i Germani a rischiare tutti i propri beni, venuti meno i quali
pongono come posta la loro libertà personale. Chi perde, accetta volontariamente la schiavitù: può anche essere più giovane e robusto del vincitore, ma si lascia legare e mettere in vendita. Si tratta di una deplorevole ostinazione, ma la chiamano una prova di lealtà. Gli schiavi di questo tipo li vendono, per liberare anche se stessi dalla vergogna di aver vinto (capitolo XXIV).
Tacito è convinto che queste popolazioni possano essere vinte «coi vizi meglio che con le armi» (capitolo XXIII). Il Codice Aesinas, che conteneva la Germania di Tacito e che era in possesso della famiglia Baldeschi-Balleani di Jesi, diventò oggetto del desiderio di Hitler, che vedeva nell’opera la prova della razza pura e ariana germanica. Nel capitolo IV, infatti, Tacito scrive:
inclino verso l’opinione di quanti ritengono che i popoli della Germania non siano contaminati da incroci con gente di altra stirpe e che si siano mantenuti una razza a sé, indipendente, con caratteri propri. Per questo anche il tipo fisico, benché così numerosa sia la popolazione, è eguale in tutti: occhi azzurri d’intensa fierezza, chiome rossicce, corporature gigantesche, adatte solo all’assalto.
Nel II capitolo Tacito propende, poi, per il carattere autoctono dei Germani non legati a mescolanze «dovute a immigrazioni o contatti amichevoli». Nessuno, infatti, sostiene Tacito, vorrebbe lasciare l’Asia, l’Africa o l’Italia «per portarsi in Germania tra paesaggi desolati, in un clima rigido, in una terra triste da vedere e da starci se non per chi vi sia nato». Le considerazioni dello storico verranno rilette in chiave ideologica nazista per rafforzare il mito dei Germani.
Tacito è, invece, senz’altro convinto della superiorità della cultura e della civiltà del popolo romano, infiacchito ora dal benessere e dalla corruzione, in confronto a quelle di questi popoli. Lo storico è persuaso che i Romani non possono essere superati dai popoli germanici, primitivi e divisi tra loro.
Il conte Guglielmo Baldeschi-Balleani riuscì a nascondere il Codice Aesinas, che non finì nelle mani dei nazisti. Trasferito più tardi a Firenze, il Codice venne danneggiato dall’alluvione del 1966. Restaurato, venne infine portato a Roma, dove tutt’oggi si trova presso la Biblioteca Nazionale.