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L’ANALISI

La fine di Draghi è la sconfitta del mattarellismo

La fine del Governo Draghi rappresenta la sconfitta di un quadro politico il cui autore principale era Mattarella. Un quadro con contenuti precisi, dalla gestione del Covid ai nuovi diritti, dall’appiattimento sulla linea di Ue e Nato all’ossequio al Grande Reset. Si è permessa la pandemizzazione della democrazia italiana. Ora serve un cambio politico sostanziale.

Editoriali 22_07_2022
Mattarella e Draghi firmano i decreti di convocazione dei comizi elettorali

Le dimissioni di Mario Draghi sono state accettate e il presidente del Consiglio rimane in carica per il disbrigo delle faccende correnti. Si andrà alle elezioni politiche il 25 settembre. La cosa più importante da fare, a questo punto, è di avere idee chiare su tutta questa recente stagione politica vissuta dal nostro Paese.

La caduta di Mario Draghi può essere intesa come la fine di un governo tecnocratico e di emergenza nazionale, qualcosa di simile ad un governo istituzionale: un’ampia maggioranza in parlamento, un presidente stimato per i successi ottenuti in campo finanziario internazionale anche se non eletto, la benedizione del presidente della Repubblica. Vedendo le cose in questo modo, la fine del Governo Draghi potrebbe sembrare priva di un significato politico. E invece ce l’ha. Con lui non finisce solo una serie di tentativi tecnici per affrontare un periodo di emergenza. Ora non si tratta solo di inventarsene altri. La fine di questo governo porta via con sé anche un quadro politico il cui autore principale e titolare del copyright non è tuttavia Draghi, ma Mattarella. La sconfitta in parlamento di Draghi, con quella beffa della fiducia di minoranza, è più la sconfitta di Mattarella che non di Draghi. Sconfitta temporanea? Questo lo si vedrà. Ma intanto è bene non equivocare sui confini tra il tecnico e il politico: Draghi porta via con sé un quadro politico di riferimento che è stato possibile col patrocinio del Quirinale. Questo mi sembra il punto.

Qual era questo quadro politico di riferimento? Sul piano dei contenuti esso era rappresentato prima di tutto dal rendere perenne la cosiddetta pandemia da Covid, continuando a fingere di non vedere i dati emergenti dalla realtà, ossia che i positivi sono soprattutto vaccinati, che gli effetti avversi sono ampiamente documentati, e che la politica di Speranza è stata un lungo errore. Secondariamente, dal non distinguersi in nulla rispetto alla linea politica in vigore nell’Unione europea e dentro l’alleanza atlantica, mettendosi a disposizione per alimentare la tensione bellica con la Russia anziché smorzarla, e per appoggiare la linea dell’attuale Commissione europea che vuole un’Unione più aggressiva: nessun assist a Orban ma solo alla von der Leyen, tanto per capirci.

Nel suddetto quadro, si trattava anche di continuare la politica di non governo delle immigrazioni. Speranza e Lamorgese non sono due ministri casuali dei nostri ultimi governi, compreso il Governo Draghi. In terzo luogo, il proseguimento sulla strada dei nuovi diritti, secondo lo spirito dell’Ue e dell’amministrazione americana, ma non quello della Corte Suprema degli USA. Suicidio assistito e legge Zan sarebbero arrivati per certo, secondo questo progetto. In quarto luogo un ossequio al Grande Reset voluto dai centri di potere globali sia nel campo della transizione ecologica che in quello della transizione digitale. Ciò comporta la visione ideologica, e non realistica, delle politiche ambientali, prive di fondamento nei dati reali, costosissime e creatrici di nuove lacerazioni sociali. Comporta anche l’accelerazione della digitalizzazione integrale delle vite dei cittadini verso un rigido regime di controllo: quando tutti avremo la nostra identità digitale non potremo rifugiarci da nessuna parte.

Sul piano delle dinamiche partitiche, il progetto richiedeva di mantenere in vita il Partito Democratico, nonostante le batoste elettorali degli ultimi dieci anni, di puntare sull’istituzionalizzazione dei Cinque Stelle, di unificare strategicamente queste due forze di sinistra in un’ampia coalizione, di cuocere a fuoco lento la Lega nella compagine di governo fino a farla esplodere al suo interno e buttarla poi nel cestino, di tenere lontano dal governo i partiti di centrodestra non concedendo a nessun costo elezioni anticipate, qualsiasi cosa fosse avvenuta in parlamento, e congelando il parlamento stesso con la motivazione delle emergenze.

Draghi è arrivato solo alla fine di questa lunga storia. Non poteva essere lui il regista. La principale guida politica di tutto questo è stato il presidente Mattarella. Le ultime elezioni politiche avevano dato un certo risultato, che il Colle non poteva non rispettare: crollo del Partito Democratico, boom dei Cinque Stelle, successo, ma senza exploit, della Lega. Quando però Salvini è uscito dal governo giallo-verde, è iniziato il lungo percorso che ha condotto a Draghi. Le note di agenzia dicono che Mattarella avrebbe fatto molte telefonate in questa ultima crisi, per disinnescarla a tutti i costi. Perché era il fallimento di un’intera politica, non perché amasse Draghi, essendosi impegnato per impedire la sua elezione al proprio posto. Chi, se non il presidente della Repubblica, poteva permettere la pandemizzazione della democrazia italiana, la sospensione di fatto delle funzioni parlamentari, lo strapotere del governo sul parlamento, il ripescaggio del Partito Democratico, e infine la nomina preparata con cura di Draghi?

Con le dimissioni di Draghi e la sconfitta di Mattarella, in questo momento c’è la possibilità di un cambio politico sostanziale, e non solo tecnico. E questo cambio, per essere veramente tale, dovrà elaborare un progetto politico evidentemente diverso da (meglio ancora se opposto a) quello adoperato finora. L’esito delle elezioni lo permetterà? L’intelligenza e la volontà politica delle forze di centro-destra saranno all’altezza? Emergeranno figure capaci di incarnarlo? E, soprattutto, il Quirinale lo permetterà?