La fine del lungo isolamento di Teheran
Per un quarantennio, l'Iran è stato isolato a causa della sua rivoluzione, della destabilizzazione del Medio Oriente e del suo programma nucleare. Ma ora, l'attuale crisi dell'Iraq e l'emergere dell'Isis hanno spinto la comunità internazionale a chiudere col passato. E' soprattutto questo il significato degli accordi sul nucleare.
La produzione di armi nucleari effettivamente impiegabili in un moderno teatro di guerra è possibile soltanto a Paesi ad economia industriale molto avanzata. Spendendo in modo sproporzionato alle loro risorse, e quindi riducendo il loro tasso di crescita complessiva, Paesi a sviluppo intermedio come l’Iran possono al massimo arrivare a produrre mine nucleari da posizionare e poi fare esplodere in un loro poligono. Tutto il resto del mondo non può fare né una cosa né l’altra. Questo è il quadro in cui si situa l’accordo raggiunto l’altro ieri a Losanna tra l’Iran e il gruppo dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina) e la Germania, alla presenza dell’Alto rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera, Federica Mogherini.
Con una popolazione di oltre 77 milioni di abitanti e un reddito pro capite annuo di circa 13 mila dollari (l’uno è l’altro inferiori di poco a quelli della vicina Turchia), l’Iran era diplomaticamente isolato da oltre 35 anni: da quando cioè un regime teocratico nazionalista rivoluzionario aveva preso il posto del regime monarchico filo-occidentale che fino ad allora lo aveva governato. Fallito il tentativo di farlo cadere a viva forza, gli Stati Uniti avevano aggiunto all’isolamento diplomatico dell’Iran anche un embargo economico, solo in parte condiviso dai Paesi dell’Unione Europea ma comunque sufficiente per rallentarne e distorcerne lo sviluppo. Paese di cruciale rilevanza geopolitica nel Vicino e Medio Oriente grazie al numero e alla collocazione degli stati con cui confina il suo vasto territorio (Afghanistan, Armenia, Azerbaigian, Iraq, Pakistan,Turkmenistan e Turchia) a questo assedio l’Iran aveva risposto fomentando instabilità nel Vicino Oriente, e in particolare nel Libano.
Frattanto investiva grandi energie in programmi di produzione di uranio arricchito a suo dire allo scopo di dotarsi di centrali nucleari per la produzione di energia elettrica; secondo invece gli Usa e Israele con l’obiettivo di giungere a disporre di bombe nucleari. Di qui un ulteriore inasprimento dell’embargo di Usa e alleati con conseguenti ulteriori distorsioni della sua economia. Basti dire ad esempio che, pur essendo uno dei maggiori produttori di petrolio greggio del mondo, l’Iran deve importare dall’estero benzina e altri prodotti raffinati essendo la sua capacità di raffinamento inferiore alle necessità del suo mercato interno. Quando poi nel 2011 è scoppiata la crisi siriana, Teheran è intervenuta a sostegno dell’amico regime di Assad dando così un contributo indiretto ma efficace al fallimento del tentativo Usa di farlo cadere.
Combinandosi con la persistente instabilità e fragilità dell’Iraq del dopo-Saddam Hussein, l’incancrenirsi della crisi siriana ha provocato un vuoto in cui, come è noto, si è inserito il cosiddetto Stato islamico: un fenomeno a cavallo tra politica e semplice banditismo, che irresponsabilmente la Turchia vede di buon occhio quale possibile grimaldello di un suo ritorno sulla scena come potenza regionale. A questo punto, dal momento che occorre spegnere al più presto il focolaio di instabilità costituito dallo Stato Islamico, gli Stati Uniti non possono più permettersi di lasciare l’Iran fuori dalla porta. Perciò, anche a costo di irritare Israele, gli hanno offerto la fine dell’embargo in cambio di uno stretto controllo internazionale sulla sua industria nucleare, che comunque è in fin dei conti una “tigre di carta” per i motivi che si dicevano.
E’ un disgelo che gioca a favore sia dell’Iran, la cui economia è boccheggiante, sia dell’Occidente che dalla riapertura del grande mercato iraniano spera venga una spinta importante all’attuale timido avvio del processo di uscita dalla crisi globale in corso. Ecco in sintesi le novità che, in tema di dislocamento e di rapporti di forze si stanno delineando alla ribalta del Vicino e Medio Oriente. Che cosa dentro tale quadro è possibile fare di concreto per far procedere la causa della libertà, della pace e dello sviluppo reale in quella cruciale regione del mondo? La risposta sta nell’impegno tenace e vigilante di tutte le persone di buona volontà e di tutte le parti bona fide che sono in causa.