La "democrazia diretta" esce dal Movimento 5 Stelle
Lo strumento per eccellenza della democrazia diretta del Movimento 5 Stelle, la Piattaforma Rousseau, è in piena crisi perché il Movimento non le versa i contributi, quindi sta divorziando dalla direzione politica. Ma i vertici del Movimento pretendono che consegni tutti i dati dei militanti e simpatizzanti. Ridottosi il potere, iniziano le liti.
Pretendevano di insegnare agli altri partiti la democrazia diretta. Promettevano di aprire il Parlamento come una scatola di tonno. Rivendicavano una purezza morale che nessuno ha mai percepito. Ora si spaccano sui soldi e sul controllo dei dati degli iscritti.
La squallida scissione tra Movimento Cinque Stelle e Piattaforma Rousseau presenta contorni penosi e offre uno spettacolo davvero indecoroso. Non avviene sui programmi, sulle scelte politiche, sulle alleanze da fare. Le votazioni su quei punti hanno sempre avuto un esito scontato. In questo caso il big bang avviene sulla restituzione delle somme che i parlamentari grillini avrebbero dovuto riconoscere alla piattaforma della famiglia Casaleggio e sul controllo dei dati degli iscritti a quella piattaforma, che rappresentano il popolo pentastellato.
Quando c’è un divorzio si litiga sempre sulla separazione dei beni. Anche questa volta è così. Perfino Giuseppe Conte si è fatto trascinare nella diatriba e ieri con un post sulla sua bacheca Facebook ha detto chiaro e tondo che Davide Casaleggio deve restituire al Movimento 5 Stelle, quindi soprattutto a lui che sta per diventarne il capo, il database contenente tutte le informazioni dei simpatizzanti e dei militanti grillini.
Quei dati sono il petrolio della propaganda, il tesoretto che l’ex premier dovrà utilizzare per fidelizzare il popolo grillino e tenerlo unito in vista dei prossimi appuntamenti elettorali. Non solo. Si tratta di dati sensibili che rivelano l’identità ma anche la formazione, le opinioni, le abitudini, i gusti, le preferenze di chi ha seguito in questi anni i Cinque Stelle, dunque rappresentano uno strumento formidabile di profilazione per far passare messaggi di ogni tipo, non solo di natura politica. In linea teorica è giusto che una piattaforma privata come la Rousseau restituisca quei dati. Si tratta di informazioni che attengono all’attività di aggregazione politica e, se un Movimento decide di cambiare piattaforma, è giusto che possa recuperarli per affidarli ad un’altra piattaforma in grado di svolgere gli stessi compiti sulla base di accordi scritti. Ma nel caso di Rousseau, piattaforma sommersa dai debiti e che si è vista costretta a mettere in cassa integrazione i suoi dipendenti a causa del venir meno dei contributi che i parlamentari grillini avrebbero dovuto versarle e da tempo non le versano più, il discorso è diverso.
La piattaforma Rousseau è in qualche modo consustanziale al Movimento. Tra Beppe Grillo, la famiglia Casaleggio, Luigi Di Maio e gli altri vertici grillini c’è sempre stata un’osmosi totale. Tutte le scelte politiche che i pentastellati hanno fatto negli ultimi anni sono passati per le votazioni su quella piattaforma e i leader hanno sempre parlato all’unisono o almeno hanno dato in pubblico questa impressione. I primi scricchiolii si sono registrati quando Alessandro Di Battista, attualmente fuori dal Parlamento, ha deciso di mettersi di traverso e di contestare la linea troppo filo-establishment di Di Maio, Grillo, Crimi. Ora la scissione si è determinata soprattutto perché non c’è più il governo Conte, che aveva contribuito a congelare le lotte intestine nella galassia grillina. Si sa che il potere è il migliore collante, soprattutto tra persone che non hanno quasi mai lavorato e che si sentono dei miracolati quando pensano allo stipendio che prendono e al ruolo che occupano. Diminuito il potere, con la nascita del governo Draghi, le contese su soldi e dati sono esplose e hanno toccato l’acme nelle ultime ore.
Le strade del Movimento 5 Stelle e di Rousseau si sono divise, ma non consensualmente. Non sono esclusi strascichi a suon di carte bollate. Davide Casaleggio ha annunciato la nascita di un nuovo progetto civico, alternativo a quello che Conte porterà avanti con il M5s. Pescheranno nello stesso bacino elettorale? I maliziosi insinuano che in realtà sia tutto uno stratagemma architettato dalla vecchia guardia grillina per aggirare l’ostacolo dei due mandati, che costringerebbe i vari Vito Crimi, Luigi Di Maio, Roberto Fico a uscire di scena e a non ricandidarsi. Ma su questo pesa l’incognita Grillo. L’ex comico ha escluso una deroga al divieto di terzo mandato e quindi dovrà essere Conte a sbrogliare la matassa, per evitare che i leader storici del Movimento gli sbarrino la strada o si creino un altro contenitore per poter continuare a fare politica.
La disintegrazione del mondo grillino è comunque una buona notizia per la democrazia, perché diminuisce il potere contrattuale di una forza politica figlia della patologia del sistema e pericolosa per un’Italia che ha bisogno di ripartire dal merito, dalle competenze e dalle istituzioni rappresentative.