La crisi Ucraina è un affare Usa-Russia, Ue al palo
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Il contatto stabilito tra Trump e Putin è una svolta nel conflitto ucraino e certifica l'isolamento dell'Europa vittima del suo globalismo progressista. Il conflitto aperto nel 2022 si avvia a concludersi con una vittoria non completa, ma innegabile, di Putin.
- Telefonata Trump-Putin, i due leader negoziano in proprio, di Gianandrea Gaiani
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Alla fine anche sul fronte della guerra russo-ucraina, come su innumerevoli altri temi, Trump ha messo in atto alla lettera ciò che aveva promesso durante la sua campagna elettorale. Il tycoon ha annunciato infatti di aver parlato a lungo telefonicamente con Valdimir Putin, di aver avviato con lui trattative di pace immediate per porre fine al conflitto in corso dal 2022, e di avere in agenda incontri diretti con lui, a partire dal primo che si svolgerà in Arabia Saudita.
I suoi critici più maligni avevano già cominciato a seminare dubbi sulla effettiva praticabilità del suo impegno a raggiungere la pace tra Mosca e Kiev nel più breve tempo possibile, prefigurando un suo fallimento. Ma, per ora, i fatti li smentiscono clamorosamente. Forse il vecchio/nuovo inquilino della Casa Bianca non riuscirà a terminare il conflitto "in 24 ore", secondo la nota boutade da lui lanciata qualche mese fa. Ma l'impressione è che la telefonata tra lui e il capo del Cremlino sia stata da tempo ben preparata, che si attendesse soltanto il momento giusto per dare notizia urbi et orbi dell'inizio del processo di pace, e che le condizioni di un accordo siano, se non interamente definite, quanto meno già tracciate nelle loro linee essenziali.
In cosa consistano queste linee essenziali è stato reso chiaro non soltanto dall'approccio scelto da Trump e da alcune sue dichiarazioni preventive, ma anche da quanto ha detto il nuovo segretario alla Difesa statunitense, Pete Hegseth, nella conferenza stampa tenuta a Bruxelles in margine alla riunione del gruppo di contatto multinazionale per l'Ucraina. In quella sede Hegseth ha dichiarato con decisione che un ingresso di Kiev nell'Alleanza è da escludere, e che un ritorno dell'Ucraina ai confini precedenti il 2014 è «irrealistico». Non solo. Il capo del Pentagono ha affermato che, una volta perfezionati gli accordi di pace, il loro rispetto e la sicurezza di Kiev non potranno essere garantiti sul territorio da truppe statunitensi, ma da quello di truppe di paesi «europei e non europei»: non però sotto le insegne della Nato, per non dare adito al rischio di un confronto diretto tra l'alleanza occidentale e la Russia.
Se si aggiunge a queste indicazioni molto nette il fatto che Trump ha sentito telefonicamente il presidente ucraino Zelensky soltanto dopo aver delineato la trattativa con Putin, ne risulta un quadro univoco. Innanzitutto, la composizione del conflitto tra Mosca e Kiev viene descritta sostanzialmente come un affare bilaterale tra Stati Uniti e Russia, in cui né l'Ucraina né gli alleati occidentali giocheranno un ruolo fondamentale. Un affare fondato esplicitamente su un do ut des, motivato da ragioni pratiche, e dalla prospettiva di una futura collaborazione che potrà portare reciproci vantaggi.
In secondo luogo, gli Stati Uniti si configureranno come il garante in capo della futura sicurezza dell'Ucraina, e il suo partner economico privilegiato, in nome di un altro do ut des che prevede lo sfruttamento americano dei giacimenti di terre rare presenti nel paese. Ma sul piano pratico l'onere della sicurezza di Kiev ricadrà sugli alleati europei, sia per quanto riguarda le missioni di pace che la fornitura di armi. Il tutto nella prospettiva strategica già più volte evocata da Trump, e specificata ora ulteriormente, impietosamente da Hegseth: quella per cui l'Europa non rappresenta più un fronte prioritario nella politica estera degli Stati Uniti, impegnati invece soprattutto nel confronto globale con la Cina sul fronte del Pacifico, e dunque gli alleati del vecchio continente devono mettere pesantemente mano al portafoglio e provvedere in prima persona alla propria difesa convenzionale.
Insomma, il programma dell'amministrazione Trump spazza via, con nettezza se possibile ancora maggiore di quanto ci si attendeva, tutto l'armamentario strategico portato avanti da Washington e dall'Occidente nel suo complesso durante la presidenza Biden, e al quale si erano allineati pedissequamente il G7, la Nato e l'Unione europea. E spazza via l'ideologia del globalismo progressista, di un presunto ordine mondiale liberale egemonizzato dall'Occidente, sostenuta dalle amministrazioni statunitensi da Bush jr a oggi.
Tutte le ripetute affermazioni, emesse da un lato e dall'altro dell'Atlantico, secondo cui era necessario sostenere militarmente nel conflitto l'Ucraina "fino alla vittoria" o "per tutto il tempo necessario", e le sanzioni e la resistenza ad oltranza avrebbero piegato Putin, e non era possibile nessun accordo di pace senza la volontà e l'assenso di Kiev, si dissolvono come neve al sole, rimanendo oggi agli atti solo come ricordo e monito di una linea politica sciagurata. A tre anni dall'inizio della guerra, viene dimostrato inequivocabilmente come avessero ragione le cassandre inascoltate che ammonivano dell'impossibilità di sconfiggere militarmente la Russia "per procura" senza rischiare di cadere in un apocalittico conflitto mondiale. E come, prima ancora, avesse ragione Samuel Huntington, già nel lontano 1996, a ricordare che l'Ucraina non è la Polonia o la Cecoslovacchia, che la sua storia è molto più direttamente legata a quella della Russia, e che il paese aveva solo due alternative: o avere una leadership amica di Mosca, o scindersi in due parti, una filo-occidentale e una filo-russa.
Ora, salvo possibili inciampi diplomatici e irrigidimenti tattici, il conflitto aperto nel 2022 (o meglio nel 2014) si avvia a concludersi con una vittoria non completa, ma innegabile, di Putin, che potrà "vendere" alla sua opinione pubblica la "riconquista" riconosciuta della Crimea e del Donbass, la neutralità ucraina e una ricostruzione dei rapporti con gli Stati Uniti in grado di impedire la subordinazione totale alla Cina. E con un importante tassello di un ordine politico multipolare, fondato su rapporti bilaterali di mutua convenienza, costruito da Trump.
L'Ucraina, martoriata dalla guerra, non ottiene nemmeno l'"ombrello" Nato, e si riduce a puro, passivo oggetto di egemonia da un lato e dall'altro.
Infine, l'Ue e i membri europei della Nato, dopo aver abbracciato sconsideratamente la linea bellicista bideniana senza se e senza ma, si ritrovano oggi umiliati e con un pugno di mosche in mano. Con le sanzioni a Mosca e l'assistenza militare a Kiev hanno messo in ginocchio le loro economie. Ora scoprono di essere anche pressoché irrilevanti nel processo di pace, e che per di più dovranno probabilmente sobbarcarsi l'impegno e i pericoli del peacekeeping, rimanendo col cerino in mano nel sostanziale disimpegno americano.
Davvero un bel risultato per classi politiche sempre più screditate. Le reazioni stizzite di alcuni loro esponenti all'avvio del processo di pace e le loro rivendicazioni di un ruolo da protagonisti non fanno altro che sottolineare ulteriormente la loro patetica velleitarietà e il loro fallimento.