L'ANALISI
La crisi dell'università ha radici culturali
Il Papa agli universitari: tra laicismo e fondamentalismo la strada è quella di coniugare fede e ragione.
Attualità
20_12_2010
Il Papa – che, come La Bussola ha ricordato, aveva trattato in profondità il tema delle università e del loro ruolo nel discorso che, per l’opposizione di alcuni facinorosi, non gli fu permesso di pronunciare all’Università La Sapienza di Roma il 17 gennaio 2008, ma che fu comunque diffuso – continua a occuparsi di università. Fra i vari interventi in tema di cultura, gli studenti in lotta contro la Gelmini dovrebbero leggersi quello che Benedetto XVI ha detto celebrando i Vespri del 16 dicembre nella Basilica Vaticana con gli universitari romani. E ha parlato con molta franchezza della crisi attuale delle università, dove esistono «precomprensioni e pregiudizi che talvolta impediscono lo sviluppo di una cultura autentica».
Per illustrare il significato dell’espressione «cultura autentica», il Papa è partito dall’antico rapporto etimologico fra cultura e agricoltura, commentando un brano della Lettera di San Giacomo: «Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra» (Gc 5,7).«A noi, immersi in una società sempre più dinamica – ha detto il Pontefice – può suonare sorprendente questo invito che fa riferimento al mondo rurale, ritmato dai tempi della natura. Ma il paragone scelto dall’Apostolo ci chiama a volgere lo sguardo al vero ed unico “agricoltore”, il Dio di Gesù Cristo, al suo mistero più profondo che si è rivelato nell’Incarnazione del Figlio. Infatti, il Creatore di tutte le cose non è un despota che ordina e interviene con potenza nella storia, ma piuttosto è come l’agricoltore che semina, fa crescere e fa portare frutto. Anche l’uomo può essere, con Lui, un buon agricoltore, che ama la storia e la costruisce in profondità».
Amare la storia significa sia studiarla – un tema molto caro a Benedetto XVI – sia costruirla, «riconoscendo e contribuendo a far crescere i semi di bene che il Signore ha donato». Ma che cosa significa costruire la storia? «Costruire la propria esistenza, costruire la società – spiega il Papa – non è opera che possa essere realizzata da menti e cuori distratti e superficiali». Vi è oggi un rifiuto della nozione di verità che impedisce nelle università la costruzione di una vera cultura. Questa richiede infatti non un semplice affastellamento di nozioni, che rimane superficiale, ma «un continuo discernimento» che permette di giudicare sulla base di chiare nozioni del vero e del falso.
Vero e falso non sono nozioni soltanto teologiche. Sono anche nozioni filosofiche, accessibili alla retta ragione. Tuttavia una ragione che rifiuti pregiudizialmente il confronto con la fede finisce per perdere la sua sensibilità per la verità. Benedetto XVI richiama allora «quella sintesi tra formazione intellettuale, disciplina morale e impegno religioso che il beato John Henry Newman aveva proposto nella sua “Idea di Università”».
A Roma, osserva il Papa, sono presenti importanti e storiche università secolari e altrettanto gloriose università teologiche. La città potrebbe dunque essere il terreno ideale per una feconda «collaborazione tra la fede cristiana e i diversi saperi». Il programma di questa collaborazione è riassunto da Benedetto XVI in una sorta di slogan, che riassume un tema caratteristico del suo Magistero: «senza confusione e senza separazione». Tra fede e ragione, dunque fra filosofia e teologia, la confusione porta al fondamentalismo e la separazione al laicismo, come il Papa ha appena illustrato nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2011, reso pubblico lo stesso 16 dicembre.
Una falsa cultura, di cui purtroppo l’università contemporanea si fa spesso strumento e che è alle radici della sua crisi, vuole convincerci che fondamentalismo e laicismo – cioè, rispettivamente, confusione e separazione fra ragione e fede – sono le uniche due alternative possibili. Chi non è laicista – si fa credere ai giovani – diventa fatalmente fondamentalista. Non è così, ci assicura Benedetto XVI. La vera alternativa alla confusione fondamentalista tra fede e ragione non è la separazione laicista ma la «collaborazione» armonica, che distingue per unire. È un’alternativa forse oggi poco popolare. Ma è l’unico rimedio alla crisi delle università, che è crisi culturale, di valori e di ideali, prima di essere crisi di finanziamenti e di strutture.
Per illustrare il significato dell’espressione «cultura autentica», il Papa è partito dall’antico rapporto etimologico fra cultura e agricoltura, commentando un brano della Lettera di San Giacomo: «Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra» (Gc 5,7).«A noi, immersi in una società sempre più dinamica – ha detto il Pontefice – può suonare sorprendente questo invito che fa riferimento al mondo rurale, ritmato dai tempi della natura. Ma il paragone scelto dall’Apostolo ci chiama a volgere lo sguardo al vero ed unico “agricoltore”, il Dio di Gesù Cristo, al suo mistero più profondo che si è rivelato nell’Incarnazione del Figlio. Infatti, il Creatore di tutte le cose non è un despota che ordina e interviene con potenza nella storia, ma piuttosto è come l’agricoltore che semina, fa crescere e fa portare frutto. Anche l’uomo può essere, con Lui, un buon agricoltore, che ama la storia e la costruisce in profondità».
Amare la storia significa sia studiarla – un tema molto caro a Benedetto XVI – sia costruirla, «riconoscendo e contribuendo a far crescere i semi di bene che il Signore ha donato». Ma che cosa significa costruire la storia? «Costruire la propria esistenza, costruire la società – spiega il Papa – non è opera che possa essere realizzata da menti e cuori distratti e superficiali». Vi è oggi un rifiuto della nozione di verità che impedisce nelle università la costruzione di una vera cultura. Questa richiede infatti non un semplice affastellamento di nozioni, che rimane superficiale, ma «un continuo discernimento» che permette di giudicare sulla base di chiare nozioni del vero e del falso.
Vero e falso non sono nozioni soltanto teologiche. Sono anche nozioni filosofiche, accessibili alla retta ragione. Tuttavia una ragione che rifiuti pregiudizialmente il confronto con la fede finisce per perdere la sua sensibilità per la verità. Benedetto XVI richiama allora «quella sintesi tra formazione intellettuale, disciplina morale e impegno religioso che il beato John Henry Newman aveva proposto nella sua “Idea di Università”».
A Roma, osserva il Papa, sono presenti importanti e storiche università secolari e altrettanto gloriose università teologiche. La città potrebbe dunque essere il terreno ideale per una feconda «collaborazione tra la fede cristiana e i diversi saperi». Il programma di questa collaborazione è riassunto da Benedetto XVI in una sorta di slogan, che riassume un tema caratteristico del suo Magistero: «senza confusione e senza separazione». Tra fede e ragione, dunque fra filosofia e teologia, la confusione porta al fondamentalismo e la separazione al laicismo, come il Papa ha appena illustrato nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2011, reso pubblico lo stesso 16 dicembre.
Una falsa cultura, di cui purtroppo l’università contemporanea si fa spesso strumento e che è alle radici della sua crisi, vuole convincerci che fondamentalismo e laicismo – cioè, rispettivamente, confusione e separazione fra ragione e fede – sono le uniche due alternative possibili. Chi non è laicista – si fa credere ai giovani – diventa fatalmente fondamentalista. Non è così, ci assicura Benedetto XVI. La vera alternativa alla confusione fondamentalista tra fede e ragione non è la separazione laicista ma la «collaborazione» armonica, che distingue per unire. È un’alternativa forse oggi poco popolare. Ma è l’unico rimedio alla crisi delle università, che è crisi culturale, di valori e di ideali, prima di essere crisi di finanziamenti e di strutture.