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La crisi della Tunisia e il compito dell'Italia
La crisi del Maghreb ha fatto la prima vittima illustre: il presidente tunisino Abdin Ben Alì si è dimesso e ha lasciato il paese a bordo di un aereo...
Prisma
17_01_2011
La crisi del Maghreb ha fatto la prima vittima illustre: il presidente tunisino Abdin Ben Alì si è dimesso e ha lasciato il paese a bordo di un aereo arrivando in nottata a Gedda, in Arabia Saudita. Notizia confermata dal regime saudita dopo che per alcune ore si erano fatte diverse ipotesi sulla reale destinazione del presidente tunisino. Ben Alì era al potere da circa 24 anni, da quando nel 1987 manu militari aveva deposto “per senilità”, dopo trent’anni di governo, il suo predecessore Habib Bourghiba, il padre dell’indipendenza della Tunisia dalla Francia.
Già da diversi giorni le città algerine e tunisine sono sconvolte da manifestazioni popolari di protesta contro il rincaro di generi di prima necessità come pane, farina e olio. Mentre in Algeria, dove l’ordine costituito è più forte, per il momento il governo tiene, in Tunisia la crisi ha dato il colpo finale a un regime già da tempo in declino; anche in questo caso, si potrebbe dire, “per senilità”. Mentre scriviamo in Tunisia è notte come da noi. Nel giorno che seguirà si potrà cominciare a capire se il passaggio da Ben Alì al suo successore sarà rapido e incruento come fu quello da Bourghiba a lui.
Frattanto però è il caso di guardare all’orizzonte complessivo del Maghreb entro cui questa crisi si inscrive. La prima cosa da osservare è che la Tunisia, l’Algeria e anche il Marocco sono dei nostri vicini di casa, più vicini a noi, e tanto più alla Sicilia e alla Sardegna, della maggior parte degli altri Stati membri dell’Unione Europea. L’Algeria è uno dei nostri principali fornitori di idrocarburi tramite oleodotti e gasdotti che prima di procedere sul fondo del mare attraversano il territorio della Tunisia, dove peraltro ha sede un numero assai consistente di aziende e di stabilimenti italiani.
La distanza che è minima dal punto di vista geografico è però enorme dal punto di vista della ricchezza. Al nostro reddito pro capite pari a quasi 32 mila dollari annui fanno in riscontro i 3825 dollari dell’Algeria e i circa 3.400 della Tunisia. Mentre poi da noi il grosso della popolazione è adulta o anziana, in questi Paesi i giovani sono in maggioranza (nel caso dell’Algeria si calcola siano circa il 70 per cento); e si tratta di persone per lo più disoccupate. Anche grazie ai pittoreschi comportamenti del colonnello Gheddafi in Italia si parla molto della Libia. Questa però ha solo circa 5 milioni e mezzo di abitanti, enormi risorse petrolifere in rapporto alla popolazione e un reddito pro capite di quasi 9.400 dollari. Con un reddito pari a meno della metà di quello libico l’Algeria ha 34 milioni e mezzo di abitanti e la Tunisia oltre 10 milioni.
Al di là degli sviluppi della crisi politica che in Tunisia ha portato alla caduta di Ben Alì, e augurandosi beninteso che non siano catastrofici, c’è comunque un problema del quale il nostro Paese deve farsi carico: il Maghreb non è di per sé una bomba a orologeria, ma potrebbe diventarlo se le sue masse oggi giovanili giungeranno all’età adulta senza speranze di un dignitoso futuro. Essendo la seconda economia manifatturiera d’Europa, l’Italia potrebbe e dovrebbe investire ampiamente in questi Paesi per aiutarli a trasformarsi, con comune profitto, in fornitori di manufatti per quei mercati dell’emisfero Sud, innanzitutto l’Africa sub-sahariana, che non possono reggere i nostri prezzi e non sempre hanno davvero bisogno della nostra qualità.