La costosa sopravvivenza del Cnel, che tutti (a parole) volevano abolire
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Il Cnel è una corte dei miracoli con una pletora di dipendenti pagati con soldi pubblici che potrebbero essere utilizzati per strade e scuole. E i 240 mila euro lordi al presidente-pensionato Brunetta ripropongono il tema della sua utilità ed esistenza.
C’era una volta la spending review, che nell’immaginario collettivo viene associata soprattutto al governo Monti, subentrato al governo Berlusconi nel novembre 2011 «per salvare l’Italia dal default» (così raccontarono agli italiani). In realtà le sforbiciate alla spesa pubblica decise in quei mesi da Palazzo Chigi e dalla schiera di tecnici al servizio di Mario Monti e del suo esecutivo non incisero più di tanto sulle finanze dello Stato italiano, anche perché molti proclami non ebbero alcun effetto pratico.
Tra i tagli che tutti i partiti invocano da anni e che invece non si fanno mai c’è quello del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), di cui la quasi totalità dei cittadini ignora l’esistenza e che è riuscito a riguadagnare le prime pagine dei giornali per l’impiego discutibile di soldi pubblici dei quali si è reso protagonista anche ultimamente. La riforma proposta da Matteo Renzi e che fu bocciata dal referendum popolare del 4 dicembre 2016 ne prevedeva l’abolizione. In realtà dalla Lega al Pd fino ad arrivare al Movimento Cinque Stelle sono stati tutti concordi in questi anni nel ritenere il Cnel un carrozzone costoso e inutile.
Si legge all’art.99 della Costituzione che «il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa. È organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Ha l'iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge».
Tutte funzioni che storicamente sono state esercitate in maniera assai discontinua e che di certo non hanno giovato più di tanto alla qualità del processo legislativo. E allora, consultando sul sito ufficiale del Cnel l’elenco delle spese per dipendenti e consulenti a libro paga di quell’“organo ausiliario” (così viene qualificato nel diritto costituzionale) una domanda sorge spontanea: con quale coraggio si chiedono sacrifici agli italiani se poi si destina denaro pubblico a carrozzoni simili?
Il Cnel somiglia sempre più a una corte dei miracoli con una pletora di dipendenti, consiglieri e consulenti pagati con soldi pubblici che potrebbero essere utilizzati per sistemare strade e scuole, potenziare i servizi sanitari, assicurare migliori servizi a chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese. Eppure in più occasioni gli avevano intonato il provvidenziale de profundis, con spostamento alla Corte dei Conti dei suoi dipendenti e cessione al Consiglio superiore della magistratura della sua prestigiosa sede, Villa Lubin, nel cuore di Villa Borghese.
240.000 euro lordi è il compenso del presidente Renato Brunetta, ex ministro ed ex parlamentare che percepisce anche una lauta pensione, ma che nei mesi scorsi ha preteso di introdurre l’emolumento per il vertice dell’ente cioè per se stesso, pur essendo pensionato. 900.000 euro sono stati stanziati per la variazione al bilancio del 2024 e per quest’anno il conto sarà più elevato (1,8 milioni di euro), tanto che è stato dato il via libera all’assunzione di dirigenti, funzionari e stipendiati. I dettagli sono imbarazzanti: incremento di 30.000 euro delle spese di viaggio, di 70.000 euro per la partecipazione ai lavori del consiglio, di circa 200.000 per le spese di comunicazione, di oltre 65.000 per i collaboratori del presidente, che ha una segreteria che costa già oltre 300.000 euro.
Ciliegina sulla torta gli esperti, circa 40 (!!!), per i quali il Cnel spende tra i 250 e i 300mila euro all’anno. Tra loro anche il giornalista Alessandro Barbano, tornato a maggio scorso alla corte di Caltagirone come direttore del Messaggero e rimosso dopo appena un mese (un primato che difficilmente qualcuno riuscirà a togliergli) senza neppure un saluto dell’editore. Per Barbano, anch’egli pensionato, 25.000 euro all’anno di soldi pubblici come “esperto dell’unità tecnica di supporto del Segretariato permanente per l’inclusione economica, sociale e lavorativa delle persone private della libertà personale - area comunicazione istituzionale e relazioni con i media”. Per Emilio Albertario, marito della senatrice leghista Simonetta Matone, altri 25.000 euro all’anno come “esperto del servizio per il cerimoniale e la comunicazione del Segretariato generale del Cnel”. Nell’ultima infornata di nomine stabilite il 23 dicembre, col panettone già pronto per essere tagliato, ci sono poi esperti in benessere, lavoro, sport e made in Italy, tutti con compensi tra i 10.000 e i 25.000 euro. Arduo comprendere come tutti questi esperti pagati con i soldi dei cittadini possano contribuire al benessere collettivo. Sarebbe opportuno che qualcuno lo spiegasse, anche per giustificare spese che altrimenti in molti non capiscono.
In ogni caso, sia ben chiaro, non c’è nulla di illegale in quello che fa il Cnel. Qui si discute dell’opportunità di tenerlo in vita in uno Stato come l’Italia così tanto indebitato in cui si chiedono sacrifici a tutti tranne a quelli che sarebbero tenuti a farli e dovrebbero avere la dignità di farli. La verità è che i governi sembrano in generale più inclini a proporre riforme funzionali al consolidamento del consenso che non al miglioramento della vita dei cittadini. Il Cnel, in questo senso, è lo specchio di un Paese che non riesce ad autoriformarsi.