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RIFLESSIONE

La coscienza di Newman

Per il beato inglese la coscienza non va intesa in senso soggettivistico ma come obbedienza alla verità oggettiva.

Attualità 20_12_2010

Il discorso del 20 dicembre di Benedetto XVI alla Curia Romana è stato presentato ai lettori della Bussola da par suo da Andrea Tornielli nella sua parte centrale, dedicata ai preti pedofili. Io vorrei commentare la terza parte di tale discorso dove il Papa, ricordando il viaggio dello scorso settembre in Gran Bretagna, torna sulla nozione di coscienza nel pensiero del beato Newman. La materia è evidentemente collegata alla denuncia di quel relativismo morale in cui il Papa vede una delle radici del dramma della pedofilia.

È facile, ha affermato Benedetto XVI, confondere la nozione di coscienza del beato Newman con quella relativista moderna. «Per poter asserire l’identità tra il concetto che Newman aveva della coscienza e la moderna comprensione soggettiva della coscienza, si ama far riferimento alla sua parola secondo cui egli – nel caso avesse dovuto fare un brindisi – avrebbe brindato prima alla coscienza e poi al Papa. Ma in questa affermazione, "coscienza" non significa l’ultima obbligatorietà dell’intuizione soggettiva. È espressione dell’accessibilità e della forza vincolante della verità: in ciò si fonda il suo primato. Al Papa può essere dedicato il secondo brindisi, perché è compito suo esigere l’obbedienza nei confronti della verità».

Il Papa fa riferimento a un brano della «Lettera al Duca di Norfolk» dove il beato Newman scrive che «se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al Papa». In un discorso  del 1991 il cardinale Ratzinger commentava che la frase va inquadrata nel complessivo pensiero di Newman e nella sua fedeltà alla «tradizione medioevale [che] giustamente aveva individuato due livelli del concetto di coscienza, che si devono distinguere accuratamente, ma anche mettere sempre in rapporto l’uno con l’altro. Molte tesi inaccettabili sul problema della coscienza mi sembrano dipendere dal fatto che si è trascurata o la distinzione o la correlazione tra i due elementi».

Il Medioevo parlava di sinderesi e coscienza
; il cardinale Ratzinger precisa questi due termini come «anamnesi della creazione» e «anamnesi della fede».La prima, l’anamnesi della creazione, deriva dal fatto che con la creazione «è stato infuso in noi qualcosa di simile ad una originaria memoria del bene e del vero». La seconda, l’anamnesi della fede, nasce dalla redenzione a opera di Gesù Cristo «il cui raggio a partire dal Logos redentore si estende oltre il dono della correlazione la cui memoria è custodita dalla Chiesa e, nella Chiesa, dal Papa». Cronologicamente, l’anamnesi della creazione viene prima: «si identifica col fondamento stesso della nostra esistenza»  e fonda la possibilità anche dell’anamnesi della fede. Come la creazione precede storicamente la redenzione, così perché ci sia una coscienza formata e illuminata dalla Chiesa e dal Papa occorre prima che ci sia una coscienza. In questo senso «siamo ora in grado di comprendere correttamente il brindisi di Newman prima per la coscienza e solo dopo per il Papa». I due brindisi stanno in sequenza, non in contrapposizione.

Se invece si ritiene che l’appello alla coscienza sia solo una giustificazione per seguire il proprio arbitrio – «Fai ciò che vuoi sarà tutta la legge», secondo la celebre formula dell’esoterista inglese Aleister Crowley (1875-1947), il quale non solo dava a questa proposizione un fondamento specificamente magico, ma in essa catturava l’essenza stessa della magia come primato del potere – il passaggio successivo non può che essere l’abolizione della coscienza. Per fare quel che si vuole non c’è bisogno della legge, né della coscienza. Il relativismo liberale evolve così naturalmente verso il relativismo aggressivo delle ideologie del secolo XX fino all’affermazione del gerarca nazional-socialista Hermann Göring (1893-1946), citata dal cardinale Ratzinger: «Io non ho nessuna coscienza! La mia coscienza è Adolf Hitler [1889-1945]».

La nozione relativista della coscienza porta ultimamente all’eliminazione della coscienza.
Il cattolico, notava Il cardinale Ratzinger, non adotta certamente la formula di Göring mettendo il Papa al posto di Hitler. Questa sarebbe una versione caricaturale del cattolicesimo. Il cattolico dirà al contrario di avere una coscienza, e di trovare in essa una memoria del bene originario e l’apertura alla «possibilità»  di una rivelazione di Dio, che di quel bene è fondamento. Nel momento in cui accetta per fede che Dio si è rivelato in Gesù Cristo, è pronto ad accogliere la tesi che il Papa è «garante della memoria» della rivelazione cristiana. Il Magistero del Papa entra così nella coscienza dal suo interno.

Per il beato Newman la via della coscienza è tutt’altro che una via della soggettività che afferma se stessa: è invece una via dell’obbedienza alla verità oggettiva. Brindare alla coscienza e poi al Papa non costruisce un'opposizione ma una cronologia. Fede e ragione s'incontrano nel primato della verità.