La corruzione non può essere perdonata
Esiste un pericolo più grande del peccato per un cristiano? Certo, ci dice Papa Francesco, si chiama “corruzione”. Fa rima con decomposizione ed è un processo di morte che non va considerato "accettabile". Anche perché non si perdona, si cura.
Esiste un pericolo più grande del peccato per un cristiano? Certo, ci dice Papa Francesco, si chiama “corruzione”. In un libretto agile, ma denso (Guarire dalla corruzione, ed. Emi), Jorge Mario Bergoglio descrive dettagliatamente l’oggetto da cui vuol mettere in guardia i fedeli.
Corruzione fa rima con decomposizione. È un processo di morte, spesso identificato al peccato, anche se le cose non stanno cosi. Stiamo parlando di due realtà distinte, anche se legate. «Peccatori sì, corrotti no!» invita infatti a ripetere il Santo Padre, in modo da evitare di considerare la corruzione una dimensione “accettabile” della vita e della società e, in definitiva, soltanto un peccato in più. Anche perché, prosegue il Pontefice, per il peccato esiste il perdono, per la corruzione no. Essa dev’essere innanzitutto curata.
Il corrotto si considera autosufficiente e si stanca di chiedere perdono. Il suo cuore è schiavo di un tesoro che lo seduce ed emana il cattivo odore della putrefazione, anche se lui non se ne accorge. Come i “sepolcri imbiancati” di cui parlava Gesù.
Nella maggior parte dei casi, la corruzione si nasconde con le buone maniere, salvando le apparenze. «Il corrotto passa la vita in mezzo alle scorciatoie dell’opportunismo… Ha la faccia “da santarellino” – prosegue il Papa –, si offende dinnanzi a qualunque critica e fa in modo che qualsiasi autorità morale in grado di criticarlo sia eliminata».
Ma c'è anche un altro tratto inconfondibile per riconoscerla: il trionfalismo. Dato che nel mondo, questi atteggiamenti danno ottimi risultati, il corrotto vince le sue battaglie e non aspetta il perdono, come il peccatore: lui ha trionfato.
“Mondanità spirituale” è la categoria di Henri-Marie de Lubac che Bergoglio usa per chiarire ancora di più: «il trionfo che confida nel trionfalismo della capacità umana, l’umanesimo pagano adattato a buon senso cristiano».
Parole pesanti come pietre, che ammoniscono ciascuno di noi. «Il corrotto non conosce la fraternità o l’amicizia, ma la complicità», insiste il Santo Padre. Non c’è libertà in un ambiente corrotto, che per sua natura è “proselitista”, tende cioè a contagiare e ad arruolare nello stato di corruzione.
Ma com’è possibile evitare di scivolare in questo cammino di morte nel quale i peccati possono rappresentare i gradini che conducono al baratro?
Oltre a saper distinguere bene peccato e corruzione, occorre vigilare («vigilate che nessuno venga meno alla grazia di Dio. Non spunti né cresca alcuna radice velenosa in mezzo a voi», dice la Lettera agli Ebrei). Anche perché non sono esenti da questo rischio persone e istituzioni religiose.
Un’anima che si accontenta rischia addirittura di vivere anche la vita consacrata come realizzazione della propria personalità e cercare una realizzazione nel “supermercato del consumismo religioso” (dove ognuno può trovare il suo spazio e la propria sfumatura, sociale, godereccia, progressista o conservatrice…).
Vigilate, quindi, ci dice Francesco, affinché il cuore non si corrompa: «Peccatori sì, corrotti no!».