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ORA DI DOTTRINA / 90 – Il supplemento

La controversia dei Tre Capitoli, figlia del cesaropapismo

L’imperatore Giustiniano dispose una raccolta degli scritti di tre autori (da cui Tre Capitoli) con il fine di dichiararli eteredossi e mettere d’accordo miafisiti e ortodossi. Ma il punto di conflitto restava il Concilio di Calcedonia. Ne nacque uno scontro con il Papa...

Catechismo 12_11_2023

Dopo il momentaneo e discusso cedimento di papa Liberio, nel pieno della controversia ariana, un altro caso complesso ha scosso la Sede petrina. Ci spostiamo nel VI secolo, un tempo che raccoglie le divisioni e le contese sulle due nature di Cristo.

Nel cristianesimo orientale, la presenza del monofisismo, specie nella versione miafisita (per queste distinzioni, vedi qui), era molto diffusa; ma soprattutto si confermava l’influenza imperiale sulle vicende ecclesiali e sulle questioni dottrinali. L’imperatore Giustiniano I (482-565), rispetto ai suoi predecessori, si distingueva per un’elevata preparazione teologica e un particolare zelo nel voler unificare l’impero nella professione della fede ortodossa. Giustiniano riconosceva altresì la prerogativa del vescovo di Roma nel definire le questioni dottrinali. Ma questo riconoscimento lo traduceva a modo suo. Tra poco capiremo il perché.

Giustiniano aveva una priorità nella sua politica religiosa, che mostra da un lato la sua sensibilità teologica, ma dall’altro la sua tendenza cesaropapista: trovare il modo per rendere accetto ai miafisiti il Concilio di Calcedonia, che ai loro occhi puzzava di nestorianesimo. I nestoriani sottolineavano la dualità in Cristo, affermando due persone anche se profondamente unite; i miafisiti opponevano un’unica natura, risultato dell’unione delle due nature: umana e divina.

Per raggiungere questo scopo, Giustiniano decise di mettere nel mirino tre uomini, che erano considerati nestoriani, ma che il Concilio di Calcedonia aveva alla fine accolto nella comunione ecclesiale: Teodoro di Mopsuestia (350 ca-428), Teodoreto di Cirro (393-458 ca) e Iba di Edessa († 457). Giustiniano dispose una raccolta degli scritti di ciascuno dei tre autori (da qui il nome di Tre Capitoli, che finirono poi per indicare gli stessi autori degli scritti), perché fosse dichiarata la loro eterodossia. La strategia imperiale era chiara, ma piuttosto fragile: unire i miafisiti con gli ortodossi nella comune condanna dei Tre Capitoli.

Il punto di conflitto restava però il Concilio di Calcedonia (451), che aveva alla fine ricevuto nella comunione cattolica i tre “nestoriani”. L’imperatore, nel 543, emanò quindi un editto chiaramente compiacente nei confronti dei miafisiti, con il quale condannò i Tre Capitoli, e impose a tutti i patriarchi di accettarlo. I patriarchi di Alessandria e Antiochia furono minacciati e finirono con l’apporre la propria firma. Il patriarca di Gerusalemme cedette solo dopo essere stato ricattato con la deposizione. Il vescovo di Costantinopoli appose una firma condizionata: la sua firma sarebbe stata ritirata qualora il Papa avesse rifiutato di accettare l’editto imperiale. Molti vescovi, soprattutto in Occidente, si opposero, perché vedevano in questa condanna un attacco all’autorità del Concilio di Calcedonia, che sulla questione si era già pronunciato. Anche il Papa si oppose, sia per difendere l’autorità del quarto Concilio ecumenico, sia perché non poteva accettare questa pretesa di condannare qualcuno che era morto un secolo prima, inoltre nella comunione ecclesiale.

Siccome Giustiniano aveva ben chiaro il ruolo unico e decisivo del Papa nelle questioni di dottrina, cercò di estorcere il suo consenso al proprio piano. La sua prima operazione fu quella di costringere papa Vigilio (500 ca-550) a lasciare Roma e imbarcarsi per Costantinopoli. Il Papa si imbarcò a forza verso la fine del 545 e arrivò a Costantinopoli nel gennaio del 547, dopo essersi fermato quasi un anno a Siracusa. La manovra ebbe parziale successo, dal momento che l’11 aprile 548 venne pubblicato il decreto Iudicatum, con il quale il Papa condannava gli scritti di Teodoro, Teodoreto e Iba, pur affermando l’autorità dei quattro concili ecumenici e rifiutandosi di condannare le persone. Una formula di compromesso. In Occidente ci fu una sollevazione generale contro lo Iudicatum e i vescovi africani arrivarono persino ad emettere una scomunica contro Vigilio.

Il Papa aveva fatto a sua volta pressione su Giustiniano: la sua opera di unificazione forzata dell’Oriente stava sollevando i vescovi d’Occidente. L’imperatore gli concesse così di ritirare il decreto e di affidare la discussione ad un nuovo concilio; ma nel frattempo cercò di rimuovere tutti gli avversari del proprio progetto, a cominciare dal vescovo Reparato di Cartagine, principale riferimento dell’opposizione dei vescovi nordafricani. E nel 551 impose una sua Professione di fede, nella quale condannava i Tre Capitoli. Il messaggio era chiaro. Ma il Papa rispose con la minaccia di scomunicare quanti avessero sottoscritto il nuovo editto imperiale, che era un’evidente invasione di campo dell’imperatore.

Nel 553 Vigilio dichiarò dunque la sua disponibilità a un Concilio, ma subito i suoi criteri di scelta dei vescovi partecipanti e quelli dell’imperatore erano più che mai discordi. Il 20 aprile Giustiniano recapitò a Vigilio il testo dei Tre Capitoli, ma il 5 maggio decise di aprire il Concilio senza la presenza del Vescovo di Roma. Il Papa cercò di giocare d’anticipo emanando un secondo decreto, il Constitutum, nel quale condannava sì le proposizioni indigeste all’imperatore, ma nello stesso tempo faceva alcune distinzioni: si rifiutava di colpire con anatema la persona di Teodoro, in quanto non era chiara la paternità degli scritti di sapore nestoriano a lui attribuiti; quanto a Teodoreto, il Papa mise in chiaro che il vescovo aveva accettato i decreti del Concilio di Calcedonia e la condanna di Nestorio; infine, rifiutò di considerare l’incriminata lettera di Iba a Mari come nestoriana.

Un decreto dunque di grande equilibrio, che però non poteva essere gradito a Giustiniano, che invece voleva una soluzione politica. L’imperatore pretese che i vescovi riuniti in concilio cancellassero il nome del Papa dai dittici, ossia dalle tavolette su cui erano scritti i nomi dei vescovi con cui si era in comunione, Papa in primis. Il che significava in sostanza scomunicare il Papa, per il suo presunto, ma inesistente, nestorianesimo.

Il Concilio corrispose ai desiderata di Giustiniano: il 2 giugno 553 condannò gli scritti dei Tre Capitoli e la persona di Teodoro. Sei mesi dopo, Vigilio accettò le conclusioni del Concilio e, il 23 febbraio 554, emanò un secondo Constitutum con il quale annullava il precedente e accettava le conclusioni del Concilio. In cambio Giustiniano fece cancellare dagli atti conciliari ogni condanna di Vigilio.

È piuttosto evidente che il Papa aveva ceduto alle pressioni imperiali e dei padri conciliari, i quali a loro volta erano diventati meri esecutori delle volontà di Giustiniano. Non è corretto parlare di eresia di Vigilio; nondimeno si è trattato di un grave cedimento alle pretese imperiali, che venne pagato a caro prezzo. La Chiesa in Africa si sollevò e dovette subire gravi repressioni; Milano, Aquileia e alcune chiese dell’Illiria arrivarono addirittura a separarsi dalla comunione cattolica, con il pretesto che era stato il Papa a separarsene; Aquileia in particolare rimase nello scisma per oltre un secolo.

Se da una parte la Sede apostolica ha conosciuto degli anni di incertezza e smarrimento, che hanno avuto dolorose ripercussioni, occorre però chiarire che la vicenda di Vigilio, col senno di poi, chiarisce e conferma la suprema potestà del Papa. Anzitutto, è chiaro che Viglio non ha definito, in virtù dell’autorità papale, che la posizione nestoriana o un’altra dottrina eretica fosse ortodossa. Quello che egli fece fu un atto di ingiustizia nei confronti dei tre vescovi e un chiaro cedimento di fronte ai piani imperiali.

In secondo luogo, colpisce l’insistenza con cui Giustiniano voleva che il Papa confermasse le decisioni del Concilio: segno che, senza quell’approvazione, i testi conciliari non potevano essere vincolanti. Infine, il Secondo Concilio di Costantinopoli (553), pur essendo stato convocato in modo illegittimo, decisamente politicizzato e altamente controverso nel suo svolgimento, divenne di fatto il quinto concilio ecumenico della Chiesa, in virtù del fatto che il Papa aveva accolto i suoi decreti. Il riconoscimento di questo Concilio diveniva dunque vincolante per rimanere nella comunione della Chiesa. Il che non toglie che fosse e sia più che legittimo mettere in discussione l’autenticità dell’attribuzione a Teodoro degli scritti condannati, così come rimane dubbia l’interpretazione nestoriana dei testi di Teodoreto e di Iba.



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