La Chiesa, pregustazione del Cielo
La Sposa di Cristo riceve ferite nella sua carne, ma gli errori dei figli «non compromettono la purezza e la santità della loro Madre». Ella è custode della Luce di Dio ed elargitrice del suo Amore, ecco perché tanti figli del mondo lasciano i loro pregiudizi e ritornano a Lei. Dall'istruzione "Chi sei tu, Chiesa di Dio?" che dom Gérard Calvet († 2008) lasciò ai suoi novizi.
Proponiamo di seguito un’istruzione che dom Gérard Calvet (1927-2008), fondatore dell'Abbazia Santa Maria Maddalena di Le Barroux (nella foto, tratta dal sito Internet dell'Abbazia, alcuni monaci in processione con il Santissimo Sacramento), diede ai suoi novizi, nel 1995. In un tempo come il nostro, nel quale continue cattive notizie, non di rado scandalose, provengono dal contesto ecclesiale, si corre il serio rischio di non guardare più alla Chiesa cattolica, l'unica Chiesa di Gesù Cristo, per quello che è: Sposa vergine e bellissima di Gesù Cristo, piena di ogni grazia e verità, sola arca di salvezza tra le tempeste del mondo, tempio dell'adorazione della Santissima Trinità, città degli Angeli, dei Beati e di noi, poveri peccatori, ma salvati dalla misericordia.
(Il testo è tratto da Qui es-tu, Église de Dieu? Instruction pour le novices, in Benedictus, Écrits spirituels, II, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux, 2010, pp. 555-563, traduzione nostra)
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Un giorno mi diceste che la Chiesa dei tempi moderni è meno bella che in altri tempi e meno facile da amare. Non sono d'accordo con questo parere.
Quando un uomo vede morire la propria madre vecchia e malata, allorché si ricorda che è stata una giovane donna piena di gioia e di entusiasmo, il cui volto, un tempo radioso, è ora avvolto nella nebbia dei suoi ricordi, entra in un mondo meraviglioso, che potremmo chiamare il mondo della gratitudine.
Bene, è questo ciò che succede quando un figlio della Chiesa contempla il volto di sua Madre. Certo, la Sposa di Cristo non è né malata né morente; la Scrittura ce la dipinge come una vergine «tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5, 27); eppure, il materiale umano che la compone e le difficoltà che Ella incontra sulla via le conferiscono un aspetto forse penoso. Qualcosa di cui vergognarsi e che non si osa dire. È questo il momento in cui si deve riflettere sull'apparato della Sposa non con la curiosità dello scettico, ma al modo degli angeli di cui parla San Pietro (1Pt 1, 12), con uno sguardo di desiderio ammirato e di infinito rispetto che può far nascere in noi solamente la liturgia, prima di entrare nella visione beatifica. (…)
Leggiamo insieme il prefazio della Messa della Dedicazione. Chiediamo: «Chi sei tu, Chiesa di Dio?». Ascoltiamo la risposta:
Vere domus oratiónis visibílibus ædifíciis adumbráta
Traduciamo: Ella è veramente la casa di preghiera significata dagli edifici visibili. Ma adumbráta, ossia figurata tramite delle ombre; c'è in questo termine mirabile tutta la teologia della Chiesa, ritratta e riprodotta con i colori d'ombra che appartengono alla terra, ma capaci di significare felicemente le realtà più sublimi di lassù.
Noi apparteniamo alla Chiesa del Cielo, ma una Chiesa che è significata quaggiù dalle ombre e dai segni della città terrestre. Non apparteniamo ad un'assemblea peccatrice e miserabile, ma a un Popolo santo, Plebs sancta, ad una Patria celeste, ad una Chiesa trionfante, noi stiamo in piedi in spirito presso il trono dell'Agnello, stantes ante thronum, non più stranieri e ospiti, ma concittadini dei santi e familiari della casa di Dio (Ef 2, 19), in mezzo a miriadi di angeli che sono la corte del gran Re (Eb 12, 22).
Templum habitatiónis gloriæ tuæ
Chi sei tu, Chiesa di Dio? Ascoltiamo ancora: è il tempio dove abita la gloria di Dio. Noi non ci rendiamo più conto di cosa sia questa gloria, perché la democratizzazione della società ha assottigliato le rappresentazioni terrene che per analogia tendono ad esprimere la magnificenza e il fasto delle grandezze delle cose sacre. Niente più incoronazioni, cortei trionfali, gerarchia, sostituiti da un grigiore uniforme, segno implacabile di un livellamento obbligato. Solo la liturgia – almeno quella degna di questo nome – risponde alla sfida di una società stanca e cerebralizzata, in cerca di segni e di simboli vivi, capaci di tradurre la sacra dimensione dell'uomo eterno; ma basterebbero tre parole latine per rivelarle la grandezza (…). Noi amiamo dire a Dio, come si faceva nelle epoche liturgiche, che la Chiesa in cui noi viviamo è già per noi pregustazione del Cielo, Tempio avvolto dalle ombre, ma in cui abita la gloria divina. E in contrappunto, la liturgia delle ore canoniche accompagna questo annuncio dei beni futuri con un lirismo pieno di amabilità e tenerezza; così l'inno delle lodi:
Omnis illa Deo sacra et dilécta cívitas
plena móduli in laude et canóre júbilo.
Ella è interamente consacrata a Dio, città amata,
piena di canti di lode e allegrezza.
E ai vespri:
Urbs Jerúsalem beata, dicta pacis visio...
quæ constrúitur in cælis, vivis ex lapídibus
et Angelis coronáta ut sponsáta cómite.
Gerusalemme, città beata, detta “visione di pace”...
Edificata nei cieli, fatta di pietre vive,
e coronata dagli Angeli, come da un corteo nuziale.
Vedete bene come questa grande Signora non è da commiserare: è proprio Lei a nascondersi sotto il manto della storia. Perché non ci sono due Chiese, ma una sola su due piani differenti. Amiamo la Chiesa! Guardiamo la Chiesa pieni di ammirazione!
Sedes incommutábilis veritátis
L'elogio della città celeste prosegue: Ella è la sede dell'immutabile verità: sedes incommutábilis veritátis. Non dimentichiamo, soprattutto oggi, quest'altro titolo di gloria: in lei risiede regalmente l'integra, inalterabile, immutabile verità salvifica; la Chiesa, che è la voce della Verità, non ci inganna. Non v'è dubbio che Ella è la sola al mondo a poter definire in modo infallibile – secondo certe precise condizioni – da una parte le verità utili alla salvezza, e dall'altra, e questo lo si conosce meno, a beneficiare di un'assistenza prudenziale dello Spirito Santo che richiede un assenso interiore dei fedeli. È quello che si chiama Magistero ordinario, segno di un'altra forma di presenza dello Spirito nella Chiesa. Ciò non ha chiaramente nulla a che vedere con le idiozie senza numero e innominabili che vengono proferite ogni giorno da molte bocche ecclesiastiche; e nemmeno ha nulla da spartire con i loro errori di governo ancora più numerosi e parimenti mortali per la salvezza delle anime; ma noi possiamo vedere di continuo che dei figli del mondo, lontani dalla Chiesa a causa di numerosi pregiudizi, fanno ritorno all'ovile ove li attende il Buon Pastore, non tanto dallo stupore di eventi miracolosi quanto per la bellezza e la coerenza armoniosa della dottrina, bellezza che attira le anime e le invita all'ammirazione e all'amore.
Sanctuárium ætérnæ Caritótis
Poiché Dio è allo stesso tempo Luce e Amore, la Chiesa sarà a sua volta custode ed elargitrice della Luce, custode ed elargitrice dell'Amore. I teologi insegnano che, nella Trinità, la Carità non è una facoltà distinta di Dio. È invece la vita stessa delle tre Persone divine in seno alla SS. Trinità, l'atto mediante il quale ciascuna delle Persone si dona eternamente l'una all'altra. Ora, l'effusione ad extra di questa vita d'amore, in un punto preciso dello spazio e del tempo, è l'Incarnazione. E l'estensione dell'Incarnazione nello svolgersi dei secoli è la Chiesa. La Chiesa è il Tempio futuro contemplato in visione da Ezechiele, dal quale egli scorse l'acqua della grazia divina che fluiva per inondare la terra: Vidi áquam egrediéntem de Templo a látere dextro. E tutti coloro che erano raggiunti da quest'acqua venivano salvati: et omnes ad quos pervénit aqua ista salvi facti sunt.
La Santa Chiesa è questo santuario d'amore sempre aperto, che lascia fluire incessantemente i flutti gorgoglianti della grazia sacramentale, le onde della vita contemplativa e della carità apostolica. Ecco come la Chiesa è al centro del mondo: è Lei che suscita Padre de Foucauld, gli ordini contemplativi, le missioni lontane, Padre Damiano e Madre Teresa. Come non amare questa Chiesa, tutta misericordia e amore? Non contrapponiamola mai alla Chiesa che insegna l'ordine e la luce dei dogmi. È la stessa Chiesa. È la Chiesa di Gesù Cristo, la Chiesa di quel Dio che è Luce e Amore.
Hæc est arca quæ nos, a mundi eréptos dilúvios, in portum salútis indúcit.
Chi sei tu, Chiesa di Dio? Lo Spirito Santo ci risponde ancora con la voce della liturgia: Ella è l'arca grazie alla quale veniamo strappati al diluvio che devasta il mondo e per mezzo della quale veniamo condotti al porto della salvezza. Problema dell'ecumenismo: chi non entra nell'arca sarà travolto dal diluvio e non sarà salvato. Temiamo soprattutto i discorsi alla moda secondo i quali tutte le religioni si equivalgono e l'arca della salvezza non sarebbe altro che il mondo stesso, con il suo equipaggiamento tecnologico e la sua falsa buona volontà, che vanifica la Croce redentrice. Certo, l'influenza della grazia che tocca l'umanità si diffonde anche al di là dei confini visibili della Chiesa; ma questa prospettiva, lungi dal relativizzare la causalità del Sangue redentore, non fa che sottolinearne ulteriormente la suprema efficacia (…).
Ammiriamo dunque questa valorosa Sposa che prende le armi e combatte nel mezzo delle battaglie di questo mondo. Facciamo attenzione a non scandalizzarci mai delle ferite che Ella riceve nella sua carne: gli errori e i fallimenti dei suoi figli non compromettono la purezza e la santità della loro Madre. Esse restano intatte, come la bellezza di Cristo sotto gli oltraggi e le ignominie. Vi propongo ancora un ultimo tema per rendere grazie: vedete come ogni giorno l'ispirazione liturgica orienta incessantemente i nostri sguardi non alle opere temporali (…), ma verso i fini ultimi, verso la Patria beata di cui le città terrene non sono che lo sgabello, che noi attendiamo e ove ci chiamano i “nostri fratelli del Paradiso”, vita talmente intrecciata e partecipata alla nostra di quaggiù, che anche quest'ultima, nonostante la sua decadenza, ogni giorno in preda all'umiliazione e alla prova, merita di essere ritenuta una vita eterna incipiente.