La candela degli angeli: è il momento della contemplazione
Nell'imminenza del Natale tutto il mondo sente precipitare il tempo e il desiderio del Salvatore si fa più acuto. Protagonisti di questa domenica sono gli angeli. Nelle Natività di Giotto, Guido da Siena e Matthias Grünewald la presenza degli angeli assume i diversi significati che la Tradizione ha attribuito al loro annuncio. Con un messaggio che ci riguarda direttamente...
Siamo a ridosso del Natale e la quarta candela normalmente sta accesa pochi giorni. Il Natale è alle porte, tutto il mondo sente precipitare il tempo e il desiderio del Salvatore si fa più acuto. Protagonisti di questa domenica sono gli angeli. Essi scendono sulla terra per annunciare la venuta del Messia collegando il mondo di Dio con il mondo degli uomini.
Nell’opera di Duccio, che ricordavamo parlando della candela dei pastori, un angelo azzurro porge un cartiglio (l’annuncio) a un pastore, mentre un angelo adorante, tutto rosa, si pone idealmente in dialogo con Giuseppe, primo adoratore del Verbo di Dio. Così in questa domenica si accende la candela della contemplazione. Gli angeli infatti sono coloro che vedono la volontà di Dio, essi sanno e riconoscono in questo bimbo il Cielo stesso. Per questo Bimbo si è scomodato il Cielo. Noi vediamo solo l’opacità della carne del Verbo, essi contemplano invece la Presenza della Seconda Persona della Trinità; per questo sono scesi sulla terra e adorano.
Fino al XIII secolo nelle Natività tutto questo era descritto puntualmente, come anche nella Natività di Giotto della Cappella degli Scrovegni. Giotto ritrae alcuni angeli rivolti verso il Cielo mentre uno, invece, si china orante verso la grotta a dire che Colui che stava presso Dio, che era Dio, ora giace in quella mangiatoia. Giotto raffigura il giaciglio dove la Vergine depone il Bambino proprio come una mangiatoia, ma è uno dei primi artisti a farlo, egli resterà famoso nella storia per essersi avvicinato al verismo.
L’iconografia antica invece non era interessata a raffigurare la verità storica di ciò che era accaduto, ma l’arte doveva insegnare la verità teologica. In alcune Natività, come in quella di Guido da Siena, Gesù è deposto sopra un altare, dove diversi angeli, fra cui l’angelo che adora il Cristo, hanno nell’abito lo stesso colore dell’altare. Essi annunciano perciò il destino di Sacrificio che ha abbracciato il Salvatore con l’incarnazione. La posa della madre poi è quanto di meno materno si possa immaginare, non è rivolta verso Gesù, ne è distante ed è vestita di nero come una Addolorata.
Questo espediente iconografico è caro a tutta la tradizione delle Icone e vuole significare la meraviglia, quasi, anche di Maria di fronte a questa maternità della quale non è responsabile eppure è totalmente protagonista. Essa poi veste il lutto perché è già presaga del destino di morte che attende il Figlio di Dio. La Chiesa insegna che quanto si riferisce a Maria, si riferisce in generale alla Madre Chiesa e in particolare a ogni anima cristiana.
Anche noi possiamo generare Gesù nella nostra vita. Non sappiamo da dove ci arrivi la sua presenza (certo dai sacramenti e dall’essere membra di Cristo nel Battesimo) ma siamo protagonisti nel lasciarlo vivere in noi, nel non porre resistenza a ciò che Dio fa in noi. Anche noi siamo da un lato protagonisti dall’altro quasi in contemplazione di ciò che la volontà di Dio in noi - se accolta - produce nel mondo fra noi e attorno a noi.
Che siamo protagonisti lo dice anche la Natività presente nella Bellissima Pala di Isenheim ad opera di Matthias Grünewald. Qui, come in altre opere, si raccontano le tre Messe di Natale: quella dell’Aurora (La venuta di Gesù è stata pensata fin dall’origine dei tempi); la Messa della Notte (in cui il Padre e l’esercito celeste si affacciano al Cielo per annunciare ai pastori l’arrivo del Messia); e la Messa del Giorno (in cui protagonisti assoluti sono il Bambino e sua Madre).
Nella parte che significa la Messa dell’Aurora si vede un cielo immenso dove Dio Padre appare tutto d’oro circondato da miriadi di angeli, cioè dallo Sabaoth, ovvero dalla Milizia Celeste che, diversamente da Lucifero e dai suoi seguaci, ha accolto e amato la volontà di Dio dell’Incarnazione. Due angeli si staccano, e qui è l’espediente iconografico singolare: uno è azzurro e barbuto, l’altro è rosato e giovane. Sono essi a dare l’annuncio ai pastori e sono perciò l’Antico e il Nuovo Testamento. Più a lato, in modo anacronistico, vediamo una chiesa. Grünewald ci racconta che un annuncio c’è ancora. Che l’annuncio del Natale continua laddove in una Chiesa si celebra la venuta del Cristo e si leggono Vecchio e Nuovo Testamento, riconoscendo in essi quello stesso Verbo che si è fatto carne nel grembo di Maria.
A differenza di Duccio e di altri che vedono nei pastori il Vecchio e il Nuovo Testamento, questo autore del 1500 vuole educarci a capire che anche noi possiamo vedere gli angeli e ricevere il medesimo annuncio, proprio dentro quella liturgia che, con la Parola e i Sacramenti, ogni anno invera il Mistero.