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FEDE E LETTERATURA

La bellezza di Maria cantata dai poeti

Poeti e letterati di ogni tempo e provenienza si sono ispirati alla Madonna. Da Jacopone da Todi a Rebora, da Dante a Vico, sono innumerevoli i componimenti che esaltano la Madre di Dio. C’è chi la vede alla base «di tutta la poesia italiana». E la letteratura del resto d’Europa non è da meno.

Cultura 09_12_2022

Bellezza attrae bellezza, è naturale, quasi scontato si potrebbe dire; e, quando si pensa alla Bellezza, non si può che pensare a Lei, alla Vergine Maria, all'Immacolata, alla Donna delle donne, alla Madonna, alla Madre dei redenti: sono questi alcuni dei titoli che fanno capo alla Madre di Dio e che si ritrovano nei componimenti poetici a Lei ispirati.

«L’anima mia magnifica il Signore», parole che fioriscono sul labbro, appena il pensiero e il cuore si inoltrano nella figura di Maria: sono le parole pronunciate davanti alla cugina Elisabetta che danno prova, testimonianza, dell’intrinseca poeticità della Vergine; versi della sublime poesia celeste; e la Vergine, nel pronunciarle, diviene Lei stessa poesia. A testimoniare questa divina “congiunzione” ci viene in aiuto il fine letterato don Giuseppe De Luca, amico di lettera dello scrittore inglese Charles Staples Lewis che, commentando l’importante saluto della Vergine, non solo ha visto in queste parole l’annuncio della sua Divina Maternità, ma anche quello «di tutta la poesia italiana». L’arcivescovo Benvenuto Matteucci, nelle sue pagine su La Madonna nella Letteratura (un saggio contenuto nel libro Mater Christi, Collezione di studi mariani, Roma, 1957) scrive: «Maria è poesia e bellezza, grazia vivente che avvicina Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Il Verbo stesso per Maria e in Maria stabilisce una relazione necessaria alla nascita e allo sviluppo della poesia religiosa cristiana. Letterati e poeti parlando di lei trattano un tema di famiglia, un motivo di casa. La Madonna è Madre della poesia e della letteratura perché Madre di Cristo che è il divino artista della storia».

La storia dell'intreccio tra la poesia italiana e la Vergine Maria ha origini antiche; si dipana in autori e versi che racchiudono un mondo letterario vastissimo. In Italia, ha avuto, senza dubbio, la sua massima espressione, anche se il resto dell’Europa ha brillato comunque. Già nel Duecento italiano, troviamo centrale la figura di Maria in molti letterati e poeti: testimonianza di questa particolare attenzione sono le laude che fioriscono molteplici in quel tempo così remoto. «Ave Vergine gaudente, nome dell'onnipotente», così recita un componimento di Garzo dell'Incisa raccolto nel Laudario di Cortona. Successivamente, grazie a Jacopone da Todi, le laude a Maria, scritte nella loro semplicità artificiosa, assumeranno una propria dignità artistica: è il caso del famoso Pianto di Maria, di natura principalmente quaresimale.

«Vergine madre,/ figlia del tuo figlio,/ umile e alta più che creatura,/ termine fisso d’etterno consiglio»: impensabile non fare menzione di questi versi così alti, profondi stilisticamente, perfetti e ardimentosi, del Dante trecentesco che rivivono nei libri di scuola di ogni tempo. Ma vi sono autori anche come il Boccaccio, Lorenzo il Magnifico e Angelo Poliziano: autori che prenderanno spunto - per i loro componimenti poetici - dalla Madre dell'umanità. Colpiscono, nell’anno del Signore 1500, le voci di Pietro Bembo e Torquato Tasso; quest’ultimo, nella sua Alla beatissima vergine di Loreto, riusce ad interpretare l'animo di un pellegrino - un pellegrino qualunque, ma in cui è possibile rispecchiare l’animo del poeta - che nel suo cammino umano e spirituale giunge ai piedi della Vergine di Loreto, trovando in Maria il tanto sospirato porto a cui approdare. Nomi che si susseguono, componimenti che si alternano, versi che si rincorrono come onde del mare: la sequela continua e si scaglia verso l’alto, grazie a uno dei massimi esponenti della letteratura italiana: è Francesco Petrarca che - con la sua Canzone della Vergine - fa rimbombare, dolcemente, il termine «vergine», racchiudendo in esso tutta la figura della Madre di Gesù; scrisse, infatti, in un climax poetico e profondo: «Vergine bella; vergine saggia; vergine pura, d’ogni parte intera; vergine benedetta; vergine santa; vergine gloriosa; vergine sola al mondo senza essempio; vergine dolce e pia».

Il secolo dei “lumi” lascerà poco spazio alla poesia religiosa anche se è possibile riscontrare alcune importanti eccezioni, tra cui addirittura Giambattista Vico che, proprio in occasione della festa dell’Immacolata del 1742, scrive questi versi: «Io miser uomo sospirando chiamo/ Te, Vergin santa, immacolata e pura,/ Insino al fin mi sii scorta sicura/ Nel fido porto ch'io sospiro e bramo».

«Tacita un giorno a non so qual pendice/ Salia d’un fabbro nazaren la sposa;/ Salia non vista alla magion felice/ D’una pregnante annosa»: è Manzoni che nel suo Il nome di Maria descrive, con incredibile dolcezza e appassionato animo religioso, «la “fanciulla ebrea”, che “piacque al Signor di porre in cima”, e ama intrattenersi su questa origine della Vergine». (Inos Biffi, E ubbidiente l'avvenir rispose, in L'Osservatore Romano, 12 settembre 2008).

Il ‘900 letterario ci fornisce una piacevole sorpresa: proprio in un secolo dominato dalla secolarizzazione e dal relativismo, importanti autori ci offrono pagine, di gemmata bellezza, dedicate alla Madonna: nel buio, la luce più fulgida, la Vergine Maria, diviene fonte di ispirazione, meta di versi; diviene figura principale di pagine che scuotono l’animo del lettore, figlio di un secolo che sembra non dar spazio alla Bellezza. È il caso di Clemente Rebora, poeta profondo e appassionato sacerdote, che ne L’Immacolata (poema del 1952) trova «l’unica sorgente/ donde fluisce acqua di vita al Cielo/ che per l’amore in vino e vino in sangue a Cana è pregustata». Maria nel Novecento poetico italiano: Alda Merini - un nome in primis - che, nata nel ‘900, si proietta fino ai giorni d’oggi, con i laceranti versi del suo Magnificat (2002) e regala un medaglione del tutto inedito e particolare della Vergine, in cui la mistica, la poesia e l’esistenza umana (con la sua ricerca dell’Assoluto, di Dio) collimano, si intersecano, intrecciandosi in una poeticità che lascia il segno nell’animo di ogni lettore.

Ma Maria e la poesia non sono solo questo. Il disegno risulterebbe incompleto se non si facesse riferimento alla vasta letteratura del resto d’Europa: la Vergine è universale, non ha confini, e - dunque - i poeti che a Lei hanno guardato sono innumerevoli, di tutti i paesi e continenti: dal francese François Villon (del XV secolo) fino ad arrivare alle massime vette della poesia mistica di Claudel e Péguy, passando addirittura per l’inedito Sartre del Bariona o il figlio del tuono (1940); sono solo alcuni nomi perché l’elenco sarebbe ancor più vasto: un terreno che rappresenta un altro capitolo dell’affascinante storia che vede la figura della Vergine Maria splendere e risplendere nei versi della grande letteratura di ogni tempo.