La beatitudine (III parte) – Il testo del video
La missione della Chiesa è, nel piano divino, essenziale per la vocazione dell’uomo alla beatitudine. Da ciò deriva l’importanza della libertas Ecclesiae. Ogni uomo desidera la beatitudine (cioè Dio), ma non tutti desiderano i mezzi per raggiungerla.
Continuiamo e concludiamo oggi la nostra riflessione sulla beatitudine. La scorsa volta, se ricordate, abbiamo messo in luce come l'uomo abbia un unico fine; un unico fine ultimo, evidentemente, perché i fini intermedi sono molteplici; e questo fine ultimo e unico dell'uomo, che appunto costituisce la sua beatitudine, cioè la sua perfezione, il suo appagamento come uomo, è qualcosa che oltrepassa la sua semplice possibilità naturale. Dio ha voluto porre questo fine come soprannaturale e, dunque, l'uomo da solo non è in grado di raggiungerlo.
Vediamo come nella dinamica propria dell'uomo, nel desiderio dell'uomo di conseguire la propria beatitudine, ci sia questa strana situazione, che apparentemente potrebbe anche sembrare contraddittoria, ma non lo è. L'uomo desidera la propria beatitudine, la propria natura desidera questa beatitudine; e questa beatitudine è collocata al di sopra della sua natura, al punto che egli non è in grado di conseguirla da solo. Questa vocazione dell'uomo è una vocazione alla beatitudine e dunque a trascendere sé stesso: ma trascendere sé stesso non con le proprie forze, non semplicemente con le proprie capacità.
Questa grande verità di cui abbiamo parlato la scorsa volta implica una conseguenza importantissima, ossia il senso dell'esistenza della Chiesa cattolica, potremmo dire. Perché normalmente, purtroppo, siamo un po' in questa situazione, dal punto di vista del nostro modo di intendere le cose: noi riteniamo che la Chiesa sia qualcosa di estrinseco, piombato da non si sa quale pianeta per dominare l'umanità. Questa è un po' una versione che si è diffusa per diversi secoli. Ma anche senza arrivare a questi eccessi, potremmo comunque pensare che in qualche modo la Chiesa cattolica abbia ben poco a che fare con quello che stiamo dicendo. Invece, se ci pensate bene, proprio per il fatto che l'uomo non è in grado di raggiungere questo fine soprannaturale con le sue forze, in ragione della sua natura decaduta – l'uomo ha perso (lo vedremo quando parleremo del peccato originale) questa grazia infusa, questa elevazione all'ordine soprannaturale – deve recuperare questa grazia. Questo è il senso della Redenzione. Questo è il senso della presenza della Chiesa nella storia e in particolare della sua predicazione e della vita sacramentale.
Ora, se noi mettiamo insieme quello che stiamo dicendo con quanto abbiamo affermato la scorsa volta, capiamo che in realtà la presenza della Chiesa è, come dire, fortemente alleata con questa vocazione dell'uomo alla beatitudine. Non solo è alleata, ma è la modalità con cui l'uomo può raggiungere la beatitudine per volontà di Dio, che ha mandato Suo Figlio, e del Figlio che ha mandato gli Apostoli e ha fondato la Chiesa: ha mandato gli Apostoli perché annunciassero la verità, ma anche santificassero le anime. Ricordiamo il congedo del Vangelo di Matteo: andate e predicate, battezzate (cf. Mt 28,19-20).
Questo è importante perché ci fa capire che la missione della Chiesa è profondamente conforme alla vocazione dell'uomo. Non è qualcosa di aggiunto, di giustapposto, in qualche modo arrangiato. È in realtà qualcosa che corrisponde profondamente a questa vocazione dell'uomo, alla possibilità che l'uomo possa raggiungere la beatitudine. E dunque comprendiamo per quale ragione è impossibile concepire una società umana che non abbia nulla a che vedere con la Chiesa, che la osteggi o che la releghi ad essere una delle tante opzioni possibili per l'uomo: non è così.
La missione della Chiesa è intrinseca alla chiamata dell'uomo alla beatitudine, stante ovviamente la caduta del peccato originale. È un aspetto molto importante. Questa è la ragione per cui a tutti i cristiani dovrebbe, deve stare a cuore come la cosa più importante, insieme proprio alla premura per il raggiungimento della propria beatitudine, della salvezza, la libertà della Chiesa, la libertas Ecclesiæ. Perché se la Chiesa non può svolgere la sua missione, se viene inibita, se viene ostacolata, se viene schiacciata, se viene incatenata, che sia da potenze esterne o che sia da influenze interne che in qualche modo l'appesantiscono, la legano e la trasfigurano in senso negativo, la deformano, è chiaro che non è una cosa che non ci riguarda. Non è una cosa che è un aspetto meramente storico o sociologico o culturale: è qualche cosa che ha a che fare con la nostra salvezza e quindi col raggiungimento della nostra beatitudine.
Ora, è interessante l'articolo 8 della quæstio 5 della I-II della Somma Teologica che abbiamo già introdotto la scorsa volta. La quæstio 5 è un piccolo trattato sulla beatitudine: l’ultimo articolo, l'ottavo, tratta un aspetto importante che rafforza quanto andiamo dicendo. Ossia, san Tommaso si domanda “se ogni uomo desideri la beatitudine”. E risponde in questo modo, nel corpo dell'articolo: «La beatitudine può essere considerata in due modi. Primo, partendo dalla nozione universale di beatitudine. E in questo senso è necessario che ciascun uomo desideri la beatitudine. Infatti, la beatitudine in genere consiste nel bene perfetto. Ma essendo il bene l'oggetto della volontà, il bene perfetto sarà quello che sazia totalmente la volontà. Quindi desiderare la beatitudine non è altro che desiderare l'appagamento della volontà. E questo tutti lo vogliono» (I-II, q.5, a.8).
San Tommaso fa un'analisi importante: che cos'è la volontà? La volontà nostra è il desiderio di un bene che la appaghi. Ora, la volontà dell'uomo, essendo una volontà dentro una natura razionale, che va “a braccetto” con l'intelletto, con la ragione dell'uomo, è una volontà che non si appaga con qualcosa di finito, di limitato ma appunto si appaga con qualcosa che riesca a “coprire” questa sua apertura verso il bene totale perfetto, sommo, stabile, che chiamiamo Dio. E dunque, da questo punto di vista, tutti gli uomini, che lo sappiano o non lo sappiano, che lo ammettano o non lo ammettano, desiderano la beatitudine e desiderano Dio.
Qui san Tommaso parla appunto del desiderio naturale di vedere Dio, cioè come qualcosa di intrinseco alla natura, come il marchio di fabbrica della natura umana, così com'è uscita dalle mani di Dio nella creazione.
«Secondo, possiamo parlare della beatitudine considerando la sua nozione specifica, in rapporto all'oggetto in cui essa consiste. E allora non tutti conoscono la beatitudine, poiché non tutti sanno a quale oggetto si applichi la nozione universale di beatitudine. E per conseguenza, in questo senso, non tutti la desiderano» (ibidem).
Questo testo permette di spiegare per quale ragione la Chiesa, pur essendo la più grande alleata dell'uomo, nel senso che abbiamo detto prima, cioè quel «sacramento universale della salvezza» (Lumen Gentium, 48), come dice il Concilio Vaticano II, dunque, giusto per capirci, quel mezzo indispensabile perché l'uomo possa realmente raggiungere quella beatitudine che desidera, tuttavia è anche la più combattuta. Perché? San Tommaso ce l'ha detto in modo realistico. Perché quando andiamo a guardare l'oggetto della beatitudine, quando cerchiamo di specificare questo oggetto, succede il finimondo: perché ciascuno pone questo oggetto della beatitudine in qualche cosa di diverso; e quel qualcosa di diverso tendenzialmente assume il volto delle passioni dominanti di ciascuno di noi.
Quindi ciascuno, in base a come è inclinato da una passione – una passione deviata da un vizio – lì cerca il suo bene e pensa di trovarlo; ora, se qualcuno gli viene a dire “non è lì, è dall'altra parte”, voi capite che non tutti ringraziano per questo gesto. E anzi, mediamente, ci si accanisce contro chi ci corregge e ci toglie, diciamo così, l'osso dalla bocca, un po' come fa il cane quando sta rosicchiando il suo osso: provate ad andare a toglierglielo dicendo che non gli fa bene… Ecco, siamo un po' così. Dunque, è un testo importante: i termini sono tecnici, ma i risvolti sono molto realistici. Bisogna ricordare sempre che nella vera teologia, come nella vera filosofia, pur dovendo giustamente adottare una terminologia specifica, tecnica, precisa, anche raffinata, tuttavia, quando ci si chiarisce con i termini, si coglie una realtà che è una realtà di dominio di tutti, perché il reale è davanti a tutti. Non è un’ideologia, cioè non è qualcosa che si sovrappone alla realtà e maschera la realtà, e quindi comincia a essere qualcosa di molto astruso. È qualcosa che invece corrisponde al reale, pur essendo espresso chiaramente in termini propri alla filosofia e/o alla teologia.
Questo primo risvolto per san Tommaso è chiaro: ogni uomo desidera la beatitudine, perché è fatto così da Dio e dunque, indirettamente, ogni uomo desidera Dio. Ma quando andiamo a specificare l'oggetto della beatitudine, non tutti desiderano Dio. Non tutti desiderano questo bene e non tutti vogliono i mezzi che conducono alla beatitudine, al raggiungimento del bene sommo, perché gli appaiono, diciamo così, contrastanti con quel bene specifico che ognuno di noi ha scelto. Ma quel bene specifico, quando non è Dio, non contraddice semplicemente la legge di Dio, nel senso che “sta scritto così e tu fai il contrario”, ma contraddice la legge di Dio in quanto contraddice precisamente la natura dell'uomo, quell'apertura, quel desiderio di raggiungere la beatitudine, che è solo ed esclusivamente Dio.
Dunque, è importantissimo questo passaggio. Quando noi parliamo della legge divina, quando parliamo della legge naturale, stiamo parlando non di sistemi, non di ideologie, non di teorie a priori: stiamo parlando della realtà dell'uomo. L'uomo è fatto in un certo modo e non possiamo cambiarlo. Non siamo noi a poter cambiare la natura dell'uomo, perché quella è posta da Dio, è data da Dio. E il fine a cui l'uomo tende corrisponde precisamente a quella natura che Dio ha dato. Dunque, vediamo come il cristianesimo, l'insegnamento della Chiesa, la Chiesa stessa, la presenza stessa della Chiesa non è qualcosa di estrinseco. È qualche cosa che corrisponde profondamente alla creazione, al modo con cui l'uomo è stato creato, al modo con cui l'uomo è stato vocato, chiamato, inclinato, aperto verso questo bene sommo.
Un ultimo aspetto che vogliamo prendere in considerazione riguardo alla beatitudine lo troviamo nell'articolo 7, sempre della quæstio 5. Qui san Tommaso si domanda se le opere buone siano richieste per il raggiungimento della beatitudine. Ora, uno potrebbe dire: ma se il fine è soprannaturale, se l'uomo non può arrivarci con le sue forze, che senso ha parlare delle opere buone? Tutto il discorso che abbiamo fatto fino adesso esclude che l'uomo possa raggiungere la beatitudine con dei mezzi propri, secondo le proprie capacità. E, dunque, potremmo dire che le opere buone che l'uomo compie non servono per raggiungere la beatitudine. San Tommaso analizza la questione un po’ più nel dettaglio.
Leggiamo anzitutto il corpo dell'articolo 7, poi vedremo anche alcune risposte ad alcune obiezioni. Scrive san Tommaso: «Per la beatitudine è richiesta la rettitudine della volontà consistente nel debito ordine del volere rispetto all'ultimo fine» (I-II, q. 5, a.7). Che cosa vuol dire? Vuol dire in sostanza che la beatitudine, che è il fine dell'uomo, dunque il bene sommo raggiunto dalla volontà, richiede che la volontà si disponga verso questo fine ultimo. Per quale ragione? Perché se la volontà non vuole realmente questo fine ultimo, ma ha solo una “disposizione”, una inclinazione naturale, è chiaro che non lo può raggiungere. Ma, di nuovo, per quale ragione? Perché se il fine ultimo è Dio, sommo bene, somma verità, somma bellezza, se questo è il fine ultimo che va a colmare la volontà e, al tempo stesso, la volontà mette un ostacolo, si volge dall'altra parte, pur permanendo in sé stesso il fine ultimo, la volontà non lo raggiunge.
Per capirci, se io ho una sete pazzesca e trovo una fonte d'acqua, ma non mi volgo, non mi oriento verso di essa, non ho quella che san Tommaso chiama «la rettitudine della volontà» che è il «debito ordine del volere rispetto al fine ultimo»; se io non faccio questo, se non mi volgo verso di essa, la sorgente rimane lì perfetta, fresca, zampillante, meravigliosa, ma io continuo a rimanere assetato.
Ora, san Tommaso prosegue: «Possedere per natura la beatitudine è soltanto di Dio. Quindi è proprio soltanto di Dio non muoversi verso la beatitudine, con un'operazione che la precede» (ibidem). Cioè, Dio non deve volgersi verso la beatitudine perché Dio è la beatitudine stessa, non ha bisogno di questo muoversi verso, volgersi verso, chiaramente. Però san Tommaso aggiunge: «Nessuna pura creatura, invece, raggiunge la beatitudine in maniera conveniente [teniamo a mente questo importantissimo passaggio], senza un moto operativo col quale tenda a raggiungerla» (ibidem). Dio solo è la beatitudine, non deve volgersi verso la beatitudine, non deve muoversi verso la beatitudine. Tutte le creature, invece, devono avere questo moto operativo per raggiungere la beatitudine in modo conveniente, cioè nel modo conforme alla propria natura. Questo significa che Dio potrebbe prendere uno e “metterlo” nella condizione della beatitudine, ma Dio non violenta la natura di nessuno. Dio segue quell'ordine delle cose che Egli stesso ha voluto e dunque ha voluto che noi uomini avessimo una volontà libera. Vuole che ci orientiamo, ci muoviamo liberamente verso la beatitudine.
A questo punto san Tommaso distingue tra gli angeli e gli uomini. Qui dovrebbero tornarvi alla memoria alcune riflessioni che abbiamo fatto quando abbiamo parlato degli angeli. Scrive san Tommaso: «L'angelo tuttavia, che in ordine di natura è superiore all'uomo, l'ha raggiunta [la beatitudine] secondo l'ordine della sapienza divina con un solo moto del suo agire meritorio» (ibidem). Lo abbiamo spiegato la natura propria dell'angelo. In questo senso, «secondo l'ordine della sapienza divina» che ha creato gli angeli, significa che con un solo moto della loro volontà si volgono verso il bene, lo raggiungono, oppure si distolgono da esso.
Prosegue san Tommaso: «Gli uomini invece la raggiungono [la beatitudine] con i moti molteplici delle loro operazioni, cioè con i meriti» (ibidem). C'è una natura diversa da quella angelica: quella umana. Entrambe devono volgersi verso, perché nessuno di loro è Dio, e nessuno di loro è la beatitudine. Ma la natura umana è una natura razionale, dunque sia nell'intelletto che nella volontà avanza, diciamo così, per tappe: noi conosciamo tramite ragionamenti, così vogliamo con «moti molteplici»; i moti molteplici delle nostre operazioni verso il bene si chiamano appunto meriti.
Conclude san Tommaso: «Per cui la beatitudine (...) è anche il premio delle azioni virtuose» (ibidem): è anche, non è solo il premio delle azioni virtuose. Allora, che cosa sta dicendo? Partiamo da che cosa non sta dicendo san Tommaso in questo articolo. Se abbiamo una generale conoscenza della storia del cristianesimo, capiamo che questa questione dei meriti, delle opere, è stata tirata in ballo parecchio quando ci fu la grande crisi dello scisma protestante: fu una delle questioni chiave. Allora, san Tommaso qui non sta dicendo che le opere buone permettano da sole di raggiungere il fine. Questo articolo va chiaramente letto alla luce di tutti gli altri. E, come abbiamo visto, san Tommaso aggiunge alcune piccole parole. Per esempio, nel finale dice che la beatitudine «è anche il premio delle azioni virtuose». Non è solo il premio delle azioni virtuose, non è semplicemente il premio dell'azione virtuosa, cioè non è il frutto, il risultato proporzionato di un'azione virtuosa, perché, come già detto, supera le capacità della natura umana: è un fine soprannaturale. Neanche dice che le azioni virtuose sono indipendenti dall'intervento della grazia. Cioè, qui san Tommaso non sta affermando che l'uomo possa porre un'opera buona senza la mozione della grazia, senza la mozione divina: non sta dicendo questo, ma parla di un ordine, come vi ho detto, un ordine delle cose. Parla di un principio importante, che riguarda il modo con cui l'uomo raggiunge la beatitudine, cioè il modo conforme alla sua natura, ma, come dire, insufficiente per raggiungerlo: un modo necessario, conforme alla natura dell'uomo, ma non sufficiente.
Ecco perché san Tommaso, nella risposta alla prima obiezione, precisa: «L'azione umana non è richiesta al conseguimento della beatitudine per l'insufficienza della virtù divina a rendere beati, ma per rispettare l'ordine delle cose» (ibidem). Di nuovo, torna questo principio fondamentale: «il debito ordine», «l'ordine delle cose», «in maniera conveniente», sono termini che si rafforzano l'uno con l'altro e indicano che le buone opere non entrano nel conseguimento delle beatitudini perché altrimenti Dio non saprebbe come fare, «per insufficienza della virtù divina», della capacità di Dio, della potenza di Dio a rendere l'uomo beato; per usare un'espressione biblica, Dio può suscitare i figli di Dio dalle pietre. Ma dice: questa «azione umana» è richiesta «per rispettare l'ordine delle cose», quello stesso ordine che Dio ha posto nella creazione, cioè conforme alla natura dell'uomo, che ha una volontà libera. Questa volontà libera vuole, deve volere, diciamo così, orientarsi, conseguire la beatitudine, ponendo in atto queste opere buone; quindi è una condizione conforme alla natura dell'uomo, ma è insufficiente da sola per raggiungere la beatitudine.
Nella risposta alla terza obiezione, san Tommaso tocca un altro punto. Allora, prima leggiamo la terza obiezione che san Tommaso presenta: «L'Apostolo [cita Rm 4,6] dice che la beatitudine appartiene all'uomo, “al quale Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere”» (ibidem). Ricordate questo passo di san Paolo: «Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere»; quindi, per conseguire la beatitudine non sono richieste delle opere umane perché, se Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere, cioè rende giusti, giustifica indipendentemente dalle opere, le opere non servono, verrebbe da pensare.
Ora, san Tommaso risponde in questo modo: «L'Apostolo parla della beatitudine della speranza che si ha mediante la grazia della giustificazione, che non è concessa per le opere precedenti. Questa infatti non ha il carattere di termine di un moto, come la beatitudine; ma è piuttosto il principio del moto con cui si tende alla beatitudine» (ibidem). Riflettiamo su queste parole e chiudiamo la lezione odierna. Allora, attenzione, ci dice qui san Tommaso: la grazia della giustificazione, cioè del ritorno alla vita della grazia dopo che l'abbiamo persa con il peccato originale, «non è concessa per le opere precedenti»: è appunto una grazia, che Dio dà in virtù della sua infinita misericordia, non grazie ai nostri meriti, a quello che noi facciamo. Tutti abbiamo peccato e tutti, dice san Paolo, abbiamo bisogno della grazia di Dio, della misericordia di Dio.
Tuttavia, la grazia della giustificazione non è ancora la beatitudine, cioè «non ha il carattere di termine di un moto», cioè non è il capolinea, in senso buono, il fine raggiunto, ma piuttosto è «il principio del moto con cui si tende alla beatitudine». Dunque, cosa sta dicendo qui san Tommaso? Quella grazia mediante la quale abbiamo la giustificazione, che è data gratuitamente da Dio, che non è concessa per le opere precedenti, quella grazia non è ancora la beatitudine, non è ancora la fine del percorso, ma è invece «il principio del moto», il principio di quel muoversi verso la beatitudine. E dunque, vediamo come la frase di san Paolo, «Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere», indica che questa grazia è il principio di questo movimento che ci porta verso la beatitudine: è il movimento delle buone opere, sempre mosse, guidate dalla grazia, mai senza la grazia. E tuttavia queste opere entrano in questo movimento verso la beatitudine, perché, di nuovo, conformi alla natura dell'uomo. Dio non distrugge una natura, non la stravolge, la risana; e, risanandola, la rende capace di operare secondo la sua natura, così come Dio l'ha voluta. Questo è il senso importantissimo di questo passaggio, di queste parole.
Oggi abbiamo concluso il breve capitolo sulla beatitudine. Dalla prossima volta faremo un focus, come fa lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica, sul peccato originale. Vedremo che cos'è e che cosa ha comportato per noi uomini e per la nostra storia.
La beatitudine (II parte) – Il testo del video
Non esistono due fini ultimi. L’uomo raggiunge la sua perfezione solo quando raggiunge il fine soprannaturale. Vale per tutti gli uomini il fatto che nessuno può raggiungere da sé il fine ultimo, perciò bisogna volgersi a Dio.
La beatitudine – Il testo del video
Dio ha impresso nella natura dell’uomo un fine ultimo, senza cui non può esserci felicità. Ma il muoversi verso questo fine dipende dalla libertà dell’uomo, che può ingannarsi o no. L’essenza della beatitudine, in rapporto a intelletto e volontà.
Chi sono gli angeli – Il testo del video
Per i Padri gli angeli avrebbero un corpo sui generis, sottile, non carnale. Invece, per san Tommaso la distinzione radicale tra gli angeli e Dio sta nel fatto che i primi ricevono l’essere. La differenza tra conoscenza angelica e umana.