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UN FILM LGBT

La battaglia dei sessi, più ideologia che tennis

Il film la Battaglia dei sessi con Emma Stone non nega un dato di fatto: uomini e donne sono diversi. Ma è troppo incentrato sull'ideologia Lgbt e alla critica al modello di famiglia naturale. Insomma: l'ennesima operazione ideologica, dove lo sport non c'entra nulla.

Cinema e tv 13_11_2017

Una partita di tennis può avere un'influenza che va molto oltre il rettangolo di gioco, come emerge da La battaglia dei sessi, film con Emma Stone e Steve Carrel attualmente nelle sale cinematografiche italiane. 

La pellicola prende spunto da fatti realmente accaduti. Siamo negli anni Settanta negli Stati Uniti, in un contesto sociale segnato dalle rivendicazioni femministe e dalla rivoluzione sessuale. Nel 1972 un gruppo di tenniste, tra le quali spiccava il nome della campionessa mondiale Billie Jean King, decide di fondare la Women's Tennis Association (WTA), con l'intento di ottenere un'uguaglianza di compenso tra uomini e donne, a parità di pubblico attirato alle competizioni. 

Una rivendicazione accolta con scetticismo negli ambienti sportivi, dove la differenza fisica tra i due sessi è evidenza comprovata, ma che viene invece sfruttata dell'ex campione di tennis maschile Bobby Riggs, cinquantacinquenne vittima del gioco d'azzardo e nel pieno di una crisi coniugale. 

Riggs contatta dunque la King, proponendole di sfidarsi pubblicamente: la tennista tuttavia rifiuta, temendo che una sua eventuale sconfitta nel match potesse andare a discapito della causa che lei e le sue compagne portavano avanti. Non fu dello stesso avviso però la campionessa in carica – nonché neomamma – Margaret Court, che accetta la sfida di Riggs: il 13 maggio 1973 venne così giocata a Ramona (California) la prima "Battaglia dei sessi", che vide una facile vittoria di Bobby Riggs.

A questo punto la ventinovenne Billie Jean King non poteva più sottrarsi alla sfida: era lei l'unica atleta che poteva risollevare la posizione delle donne, battendo l'ex campione maschile. 

Ed eccoci quindi alla partita entrata nelle antologie. Un match preparato nei minimi dettagli dalla giovane tennista, e che viene invece preso sottogamba dal baldanzoso Bobby, il quale non impiega il suo tempo nel tentativo di recuperare la vecchia forma perduta, bensì si diletta in scenette dai connotati ostentatamente misogini. 

La seconda "Battaglia dei sessi" fu una partita avvincente, sudata, che – come si diceva in apertura – ha avuto il merito di stimolare un confronto pubblico sul ruolo delle donne all'interno della società, nella salvaguardia della peculiarità dei due sessi. E tutto questo di certo anche grazie alla determinazione e al coraggio della giovane Billie Jean King, nonché delle altre atlete della WTA. 

Questo quindi il resoconto della vicenda sportiva, così come si è svolta. Un pezzo importante di storia che, nei suoi aspetti positivi e in quelli negativi, non nega un dato di fatto: uomini e donne sono diversi, sia nel fisico, sia nel cervello. E il fatto che la partita sia poi stata portata a casa da Billie Jean King non nega l'evidenza della differenza di età e di condizione fisica tra i due atleti, così come il fatto che una precisa preparazione mentale e l'elaborazione di una tattica capace di esaltare i propri punti forti e – di contro – di andare a colpire l'avversario sui suoi punti deboli, sia importantissima. La sola forza fisica non basta nello sport. 

Ma veniamo ora alle criticità del film diretto da Jonathan Dayton e Valerie Faris, che presenta un importante carattere di propaganda ideologica pro-LGBT e anti-famiglia. Infatti, pur prendendo spunto dalla realtà, più che al tennis La Battaglia dei sessi dà moltissimo spazio alla vicenda d'amore omosessuale tra Billie Jean King e Marilyn Barnett, concretizzatasi proprio nella primavera del 1973 e nonostante la King fosse sposata dal 1965. Una storia di tradimento che nel film viene rappresentata senza filtri – dando così l'ennesimo schiaffo al più basilare senso del pudore – e che, anzi, viene posta in maniera tale da portare lo spettatore a legittimare le due donne "innamorate". 

Una propaganda ideologica che alla fine della pellicola si fa palese, almeno in due frangenti. Il primo subito dopo la vittoria di King su Riggs, quando il responsabile "stilistico" – chiaramente con tendenze omosessuali – vedendo la giovane tennista in crisi rispetto alla presenza del marito e a quella della sua amante, le sussurra in un orecchio che ora è il momento di godersi la vittoria sportiva, mentre la battaglia per ottenere la possibilità di "amare chi si vuole" è di là da venire. E la storia ci conferma che fu effettivamente così: solo negli anni Ottanta la King uscì allo scoperto e divenne la prima atleta statunitense a riconoscere apertamente di aver intrattenuto una relazione omosessuale. 

Il secondo spot pro-LGBT lo si ha invece nei titoli di coda, dove si legge che qualche anno dopo Billie Jean King divorziò dal marito per fare coppia con una donna. Donna con la quale fece poi – ovvio, no? – da madrina per i due figli dell'ex marito. 

Concludendo, quindi, la Battaglia dei sessi è un film che lascia poco spazio allo sport e molto all'ideologia.