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POST COVID

La Ardern si dimette, fine di un'icona della sinistra

Con una conferenza stampa che ha colto tutti di sorpresa, la premier laburista neozelandese, Jacinda Ardern, paladina della sinistra, ha dato le dimissioni dopo cinque anni complessivi alla guida del governo. Ha gestito il Covid con un lockdown durissimo che è all'origine della sua ascesa, ma anche la causa della sua ultima caduta. 

Esteri 20_01_2023
Jacinda Ardern con la mappa del Covid in Nuova Zelanda

Con una conferenza stampa che ha colto tutti di sorpresa, la premier laburista neozelandese, Jacinda Ardern, ha rassegnato le dimissioni dopo due anni dalle elezioni vinte alla fine del 2020, a conclusione di cinque anni complessivi alla guida del governo.

«Guidare un Paese», ha dichiarato, «è un compito di massimo privilegio, ma anche uno tra i più faticosi». «Non puoi e non dovresti affrontarlo a meno di non avere un serbatoio pieno. E un po’ di riserva per le sfide inaspettate». È già passata alla storia della Nuova Zelanda, il Paese agli antipodi del nostro, per essere stata la premier che ha dovuto affrontare le emergenze più drammatiche dalla Seconda Guerra Mondiale, fra cui soprattutto l’attentato di Christchurch e subito dopo la pandemia di Covid-19. Ma è proprio il modo di affrontare quest’ultima che, alla fine, ha segnato la fine della sua parabola politica, dopo averne garantito il successo elettorale in un primo momento.

Jacinda Ardern è diventata ben presto un’icona. Laburista, femminista, repubblicana, è stata eletta per la prima volta alla guida di una coalizione di centro-sinistra nel 2017. Poi ha vinto di nuovo nel 2020 con un’affermazione tale di voti per sé e per il suo partito, da fare a meno di alleati per formare il governo. Ha saputo trasmettere l’immagine della giovane eletta (la più giovane nel mondo, nel 2017) che non ha rinunciato alla famiglia (prima premier ad essere incinta durante l’incarico, nel 2018).

Ha centrato tutti i temi prioritari della sinistra internazionale. Nel campo della vita e della bioetica ha promosso la nuova legge sull’eutanasia che ora potrebbe essere usata, secondo gli oppositori, anche da chi subisce gli effetti del long Covid. Sul fronte dei nuovi diritti, dopo aver portato in parlamento il maggior numero di deputati Lgbt nel mondo, promettendo un pacchetto di riforme a tutto campo, dai “bagni neutri” al divieto di ogni discorso omofobo. La prima emergenza che la premier ha dovuto affrontare è stata, nel 2019, quella dell’attentato di Christchurch: 51 morti e 40 feriti fra i fedeli in preghiera in due moschee, assassinati a colpi di mitra da Brenton Harrison Tarrant, un estremista di destra autodichiaratosi “eco-fascista”. La risposta della Ardern, che si mostrò con il velo islamico ai funerali delle vittime e fece recitare il Corano in Parlamento, venne presa ad esempio da tutte le sinistre multiculturalista. Sul fronte dell’ecologismo, la Ardern si è dimostrata una delle premier più attiviste, proclamando uno stato di “emergenza climatica” nel Paese, alla fine del 2020.

Insomma un perfetto esempio per tutti i governi progressisti. Anche nella gestione del Covid-19: importando pari-pari il modello cinese, la Ardern ha chiuso le frontiere e ha ordinato ai cittadini uno dei lockdown più severi del mondo. Il modello neozelandese è stato inizialmente salutato come uno dei maggiori esempi di successo della lotta al Covid. Nella prima ondata, gli infetti si contavano nell’ordine delle migliaia su una popolazione di cinque milioni e il tasso di mortalità era uno dei più bassi del mondo. La popolarità della Ardern è cresciuta soprattutto per questo motivo ed è stata rieletta a pieni voti. Ma il rovescio della medaglia si è visto subito dopo.

La politica delle chiusure ha incominciato ad essere vista come un inutile sacrificio con la diffusione della variante Delta, molto più contagiosa e meno letale. Solo dopo due anni di chiusura delle frontiere, il governo ha iniziato a discutere su una politica di riaperture, quando il Paese era ormai considerato un “regno eremita”. I neozelandesi che rientravano in patria dovevano sottoporsi a un regime di quarantena. Gli immigrati sono stati bloccati, privando il mercato del lavoro anche di manodopera specializzata. Con il turismo azzerato e la produzione in crisi, il governo ha dovuto sostenere l’economia a colpi di sussidi. Il valore del dollaro neozelandese è crollato, causando un’inflazione storica. La Banca centrale è ora costretta ad alzare i tassi e limitare la circolazione della valuta per cercare di contrastare la crescita dei prezzi. Il Paese è entrato in crisi, oggi si trova alle soglie di una recessione prevista dal governo laburista stesso per il 2023.

Il lockdown rigido, in stile cinese, era caldeggiato non solo dal governo, ma dai suoi consiglieri scientifici. Quando, alla fine del 2021, si iniziava a parlare di riaperture, un report prevedeva 7mila morti in un anno, anche con un tasso di vaccinazione doppio rispetto a quello raggiunto fino a quel momento. La realtà ci mostra, invece, che i morti in Nuova Zelanda sono stati 3.676 in tutto, dal gennaio 2020 ad oggi. Il governo Ardern è stato citato ad esempio da tutte le sinistre mondiali per la gestione del Covid, proprio perché “seguiva la scienza”. Anche quando questa faceva clamorosi errori.

Il motivo delle dimissioni della Ardern è facile da capire: alle prossime elezioni, i Laburisti, con lei alla guida, perderebbero. Gli ultimi sondaggi li danno indietro rispetto al Partito Nazionale di almeno cinque punti. Oggi, continuando a lodarla, i commentatori (anche in Italia) dicono che il suo farsi da parte sia “coraggioso” e segni “una vittoria della democrazia”. Sì, ma soprattutto una sconfitta della sinistra e delle sue manie che oggi chiamano “scientifiche”.