Koch: la speranza pasquale tra i cristiani che soffrono
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La coincidenza della celebrazione comune a 1700 anni da Nicea evidenzia la centralità della Pasqua per tutti i fedeli di Cristo, consapevoli che «il Venerdì Santo non è la fine della loro vita», dice a La Bussola il prefetto del Dicastero per la Promozione dell'Unità dei Cristiani.

Proprio quest’anno, nel 1700° anniversario del Concilio di Nicea, la Pasqua sarà celebrata nello stesso giorno sia nel calendario giuliano che in quello gregoriano. La provvidenziale data comune rende ancora più consapevoli di quanto la Pasqua non sia solo la festa più antica, ma anche la più importante della cristianità. Anche alla luce della ricorrenza di quest’anno, del mistero pasquale, a cui è legata la fede cristiana stessa, abbiamo parlato con il cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell'Unità dei Cristiani.
Eminenza, nella Settimana Santa siamo portati ad essere più vicini a chi soffre. Una menzione particolare meritano i tanti cristiani, di diverse confessioni, che soffrono in tutto il mondo. Ci sono comunità che si sente di ricordare più nello specifico?
Molte chiese vivono situazioni difficilissime soprattutto a causa della guerra. Penso alla guerra in Ucraina dove ci sono cristiani che uccidono cristiani. Una tragedia per tutta la cristianità. Penso poi ai cristiani del Medioriente. Ma io vedo quanto questi cristiani che soffrono hanno una grande speranza che il Venerdì Santo non è la fine della loro vita. C’è la Pasqua, il grande mistero pasquale. Abbiamo il Venerdì Santo con tutte le sue grida di dolore e la notte pasquale invece molto serena. Queste comunità, che soffrono, vedono tutte le novità che crescono nella notte pasquale. Questa è la grande speranza dei cristiani.
In che modo la comune sofferenza può aiutare la promozione dell’unità dei cristiani?
Nell’enciclica Ut unum sint del 1995 San Giovanni Paolo II rivolge una particolare attenzione all’ecumenismo dei martiri. Il cristianesimo è ancora oggi la Chiesa dei martiri. Anzi, oggi abbiamo più martiri del passato, addirittura rispetto ai primi secoli. L’80% di tutti gli uomini contemporanei che sono perseguitati in nome della fede sono cristiani. Nell’antichità della Chiesa si è detto che il sangue dei martiri sarà seme di nuovi cristiani e papa Giovanni Paolo II era convinto che il sangue di così tanti martiri sarebbe stato un giorno seme dell’unità nel corpo di Cristo.
Ha parlato della speranza che al Venerdì Santo segua una domenica di Pasqua. Nel Triduo, che significato ha il Sabato Santo invece?
È il giorno del silenzio di Dio, in cui il Signore è sepolto e silenzioso. Benedetto XVI ha detto qualche volta che questo è il segno del nostro tempo perché nell’età contemporanea abbiamo l’impressione che Dio sia silenzioso. Non è così, ma abbiamo questa impressione. Il Sabato Santo è il passaggio alla Pasqua. Benedetto XVI fu il primo battezzato in una mattina del Sabato Santo del 1927. Questo per lui fu sempre un segno molto significativo.
È giusto dire che è la festa più importante della cristianità?
Sì, perché il Natale va visto alla luce della Pasqua. La festa centrale e più importante della cristianità è senz’altro la Pasqua. Tant’è che nei primi secoli del cristianesimo era possibile essere cristiani senza la festa di Natale, ma mai senza la festa di Pasqua.
Come ci si prepara al meglio per la domenica di Pasqua?
Intanto vivendo appieno il tempo della Quaresima praticando il digiuno, facendo opere di carità e attraverso la preghiera. Soprattutto nella Chiesa antica questa preparazione era la preparazione per il battesimo, per i catecumeni. Oggi noi siamo già battezzati ma dobbiamo approfondire la nostra fede affinché possiamo confessare di nuovo la fede cristologica e trinitaria nella notte di Pasqua.
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