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STRISCIA DI GAZA

Khan Younis, la caccia ai leader di Hamas costa 90 morti

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Il pesante raid nel campo profughi di al-Mawasi aveva come obiettivo il capo dell'ala militare di Hamas Mohammed Deif, di cui non si conosce ancora la sorte. Come reazione Hamas si è ritirata dalle trattative per il cessate il fuoco.

Esteri 15_07_2024
Distruzione a Khan Younis dopo il raid - AP/LaPresse

Un’incursione aerea pianificata sin nei minimi particolari quella del 13 luglio nel sud della Striscia di Gaza. Studiata da giorni e preparata dopo che due miliziani di Hamas, dopo essere stati arrestati e sottoposti ad un duro ed estenuante interrogatorio, avrebbero rivelato il presunto nascondiglio di Mohammed Deif, il capo dell'ala militare di Hamas.
Aviazione e artiglieria israeliana hanno ripetutamente bombardato il campo profughi al-Mawasi, a ovest di Khan Younis, nel sud della Striscia, area zeppa di sfollati, dichiarata dallo stesso esercito «zona umanitaria sicura» e raccomandata ai civili come «rifugio sicuro».

Il via libera all'operazione è stato dato dallo stesso primo ministro Benjamin Netanyahu, all’insaputa dell'alleato americano. L'aviazione militare avrebbe utilizzato quelle bombe di cui Joe Biden avrebbe prima bloccato e poi autorizzato l’invio, e causa delle devastazioni dei primi mesi del conflitto. 
Novanta le vittime dell’attacco avvenuto sabato mattina e quasi trecento i feriti. L'ospedale Nasser di Khan Younis è inagibile. Fonti dell’esercito hanno confermato di aver agito, dopo aver ricevuto dettagliate notizie da informatori in merito alla localizzazione di alcuni capi militari di Hamas.

L'obiettivo era Mohammed Deif, e il suo vice Rafa's Salameh. «Lo Stato di Israele, attraverso l'Idf e lo Shin Bet, ha attaccato Gaza con l'obiettivo di uccidere Mohamed Deif e il suo vice, Rafa's Salameh», ha dichiarato Netanyahu ai giornalisti parlando a Tel Aviv nel corso di una conferenza stampa. «Non c'è ancora la certezza assoluta che i due siano stati eliminati, ma voglio assicurarvi che in un modo o nell'altro raggiungeremo i vertici di Hamas», ha concluso.
Secondo quanto dichiarato invece da un esponente di Hamas, Deif è ancora vivo. «Il comandante Mohammed Deif sta bene e supervisiona direttamente le operazioni delle brigate al-Qassam e della resistenza», ha detto sotto la copertura dell'anonimato.  Nel frattempo, la situazione all'interno del gruppo terroristico di Gaza sta diventando esplosiva. Si cercano le talpe.

«Le accuse israeliane sono assurde e mirano a giustificare l'orribile massacro. Tutti i martiri sono civili e ciò che è accaduto è stata una grave escalation della guerra di genocidio, sostenuta dagli americani e dal silenzio del mondo. Il negoziato in corso rischia di essere un'altra 'vittima' dell'attacco. Israele non è interessato a un'intesa per un cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi», ha detto Sami Abu Zuhri, uno dei massimi ufficiali di Hamas. Ed ancora: «Invitiamo le masse del nostro popolo palestinese in Cisgiordania e a Gerusalemme a manifestare massicciamente contro l'occupazione sionista criminale e i coloni terroristi che stanno creando scompiglio nei villaggi e nelle città, e ad impegnarsi in scontri in difesa della nostra terra e del nostro diritto alla libertà e all'indipendenza». 

La notizia dell’incursione aerea è giunta mentre i familiari degli ostaggi, assieme a migliaia di sostenitori, stavano marciando per raggiungere Gerusalemme dopo un viaggio durato quattro giorni. «Siamo tutti per regolare i conti con gli omicidi di Hamas, ma non a costo della vita dei nostri cari e delle nostre possibilità di riportarli a casa», ha detto Einav Zangauke, madre del ventiquattrenne Matan, ancora nelle mani dei miliziani di Hamas. «Se Muhammad Deif è stato ucciso mentre era in corso un accordo sugli ostaggi, e Netanyahu ora non dice che è disposto ad accettare l'accordo, anche al prezzo di porre fine alla guerra, ciò significa che ha rinunciato al mio Matan e al resto degli ostaggi».

Hamas, dopo l'ennesima strage, ha ritirato la sua delegazione dalle trattative per il cessate il fuoco. Ismail Haniyeh, capo dell’Ufficio politico del gruppo terroristico, dal Qatar dove vive, ha comunicato ai mediatori internazionali la «decisione di interrompere i negoziati a causa della mancanza di serietà di Israele, della continua politica di procrastinazione e ostruzione e dei continui massacri contro civili disarmati». Un alto ufficiale di Hamas, invece, ha sottolineato, citando Haniyeh, che «Hamas ha dimostrato grande flessibilità nel raggiungere un accordo e porre fine all'aggressione ed è pronta a riprendere i negoziati quando il governo di occupazione dimostrerà serietà nel raggiungere un accordo di cessate il fuoco e un accordo di scambio di prigionieri».

Nella Striscia la situazione è drammatica. Mohamed è un infermiere dell'ospedale Nasser di Khan Younis. Ha studiato a Perugia. Staziona davanti alla struttura sanitaria assieme ad altri operatori, pronto ad intervenire in caso di necessità dopo l'ennesimo raid aereo. In seguito alle incursioni israeliane, il nosocomio è quasi completamente distrutto. Mancano le barelle e le strumentazioni per far funzionare le sale operatorie e gli ambulatori. «Sono un assistente in sala operatoria. Non abbiamo più nulla e i chirurghi utilizzano strumenti di fortuna per salvare i feriti». Parla a fatica. Mentre pronuncia le parole piange. Ha 50 anni. Era sposato ed aveva sei figli: quattro maschi e due femmine. Tutti morti sotto le bombe. Anche la moglie è stata uccisa da un attacco di droni israeliani. Ora è rimasto solo. «Hanno ammazzato tutta la mia famiglia. Non eravamo terroristi. Perché gli israeliani ci stanno sterminando tutti? Sarà molto difficile cancellare dai ricordi queste atrocità. Le future generazioni non potranno mai dimenticare».

Nel corso di un'altra incursione è stato preso di mira un punto di distribuzione sempre a Khan Younis, dove operatori umanitari internazionali si stavano preparando a consegnare gli aiuti alla popolazione. Appartenevano alla Fondazione Al-Khair, un’associazione britannica che opera da Istanbul e impiega molti operatori a Gaza per fornire assistenza alimentare e altri beni di prima necessità. Le squadre di protezione civile della Striscia affermano di aver trovato almeno sessanta cadaveri, dopo che le forze israeliane si sono ritirate parzialmente da Tal al-Hawa, mentre proseguono le ricerche per recuperare i morti e i feriti dalle strade e dagli edifici distrutti della zona.

Ospedali e scuole sono gli obiettivi principali dell'Idf (Israel Defense Forces). Le forze israeliane continuano ad invitare gli abitanti ad abbandonare le proprie città, nonostante non vi sia più alcun luogo sicuro dove rifugiarsi. I morti, purtroppo, continuano ad aumentare; dall'inizio della guerra - secondo le cifre fornite da Hamas - hanno raggiunto le 38.345 unità, mentre i feriti sono 88.295. All'appello dei loro familiari mancano altre settemila persone, molte delle quali sono sepolte sotto le macerie, ma un gran numero di queste è rinchiuso nelle carceri israeliani di cui non si sa nulla.