Juan Diego, il santo che vide il tramonto del Quinto Sole
Gli ultimi anni dell’Impero Azteco, sacerdoti pagani dediti ai sacrifici umani, l’angoscia di Aquila Parlante. Cioè colui che passerà alla storia come san Juan Diego, il veggente delle apparizioni della Madonna di Guadalupe, convertitosi dopo l’arrivo di Cortés e compagni. Un romanzo storico di Matteo Soldi, Il tramonto del Quinto Sole, alza il sipario su quegli eventi lontani. Liberandoli dalle leggende nere.
Ci sono romanzi che hanno il potere di gettarci in un’altra realtà, in mondi perduti e lontanissimi, travolti dal tempo e dalla storia immergendoci nelle esperienze di persone che hanno vissuto mondi radicalmente alternativi al nostro. A questa categoria appartiene l’appassionante Il tramonto del Quinto Sole di Matteo Soldi (Ares, 2019), un autore che ha vinto una scommessa difficile: immaginare gli ultimi anni di vita dell’Impero Azteco vivendoli con gli occhi di un suo rappresentante, Aquila Parlante (Cuauhtlatoatzin), che il mondo ha conosciuto come Juan Diego, proclamato santo nel 2002 da Giovanni Paolo II.
È, infatti, questa, la storia dell’indio che vide la Vergine nelle apparizioni poi dette della «Madonna di Guadalupe», sulla collina del Tepeyac, tra il 9 e 12 dicembre del 1531. Grazie alla penna di Soldi ci troviamo a vivere i colori e la quotidianità di un popolo che - sono gli storici a dircelo - viveva in un universo precario, nel terrore di una realtà che doveva essere continuamente nutrita dall’effusione di sangue sacrificale. Migliaia di persone giovani e in buona salute morivano sugli altari dei templi aztechi e poi, in buona parte, venivano ritualmente mangiati. Una classe di sacerdoti temutissimi era fanaticamente devota a quella pratica. E quando la carestia, la siccità e le malattie divorano le messi, i sacerdoti reagiscono aumentando i sacrifici per placare gli dèi.
Aquila Parlante è angosciato. Vive in un mondo corrusco e grandioso, che Soldi ci descrive con colori forti e scene potenti. Seguiamo il protagonista nei suoi spostamenti, dalla campagna a Tenochtitlán, dove lavora per un ricco mercante, il Caimano. Sentiamo l’angoscia di Aquila Parlante quando si avvicina al Tempio Grande, la sua immensa scalinata emana un terribile tanfo di morte per via dei continui sacrifici. Quando assiste a un rituale cruentissimo per la prima volta sente il bisogno di chiudere gli occhi: è stanco, tormentato, nell’aria c’è uno sfinimento che prelude a rivolgimenti grandiosi.
Così, quando arriva Cortés con i suoi compagni - gente strana e scintillante, non dèi ma uomini, la cui venuta pare essere stata anticipata - si scatena una guerra sanguinosa: guerra con gli spagnoli ma anche guerra civile, tra vari popoli del Messico. Così il mondo degli aztechi si sfalda e tramonta per sempre. Aquila Parlante si converte nel 1524, completamente e convintamente. Più tardi assiste a fenomeni prodigiosi. Intanto, a migliaia ogni mese, i Mexica si convertono.
Il libro riesce ad alzare il sipario che ci separa da quegli eventi lontani e tremendi dove la ferocia degli uomini, di molti uomini, si unisce alla santità di altri, al prodigio, all’apparizione dell’icona acheropita della Vergine di Guadalupe, madre che rinnova la vita laddove sorgevano i templi aztechi. Sul suo libro, Matteo Soldi ha accettato di rispondere ad alcune domande.
Matteo Soldi, da cosa scaturisce l’idea di questo libro?
Quando Cortés giunse in vista di Tenochtitlán, il protagonista, Aquila Parlante, era un nobile, una persona distinta. Era un azteco consapevole della cosmogonia del suo popolo, delle atrocità dei suoi riti, soggetto alle leggi e alle usanze di una civiltà dominata da contrasti stridenti: da un lato primitiva e dall’altro raffinata. Dopo la conquista e il massacro, si è ritrovato senza nulla. Eppure... si è votato volontariamente e completamente al Dio dei conquistatori nel giro di pochi mesi, con un entusiasmo tale da farlo giungere in breve alle vette della santità. Per gli Aztechi l’arrivo degli Spagnoli fu uno shock culturale spaventoso, come se noi domani vedessimo atterrare delle astronavi aliene: per loro, infatti, quello in cui vivevano era “Cem Anahuac”, l’Unico Mondo. Per questo dapprima pensarono che si trattasse di dèi incarnati, e che Cortés non fosse altro che Quetzalcoatl, il dio buono di cui il popolo serbava un ricordo ancestrale ma del quale il clero temeva il ritorno. Quando si sono accorti che si trattava di uomini, tutto crollò loro addosso. Se da un lato questo minò la fiducia nei propri dèi, dall’altro innescò una reazione talmente fiera da trasformare in pochi mesi un popolo timoroso in un solo immenso esercito irriducibile. Da qui il precipitare della situazione, la Notte Triste, la guerra senza quartiere, il massacro finale.
Come si è documentato per scrivere il romanzo? Il suo è un romanzo storico, molte circostanze sono vere?
Mi è stato utilissimo il libro di Bernal Diaz del Castillo, La vera storia della conquista della Nuova Spagna, che ha il pregio di raccontare l’impresa con effetto quasi cinematografico tipico del testimone oculare. Poi ho approfondito leggendo e consultando molti altri testi, antichi e moderni, per conoscere usi e costumi, storia, strutture sociali, vita quotidiana. Ho letto anche Qui si racconta dedicato alle apparizioni del Tepeyac di Antonio Valeriano. Faccio un inciso: questo autore era un azteco, nipote di Montezuma, poi professore di latino e governatore di Città del Messico per 35. Lo dico come suggerimento di riflessione per chi crede alla Leggenda Nera. Quindi sì, è un romanzo storico, documentato. I personaggi sono coinvolti in prima persona nella macrostoria, sul proscenio della quale li faccio a turno comparire. In filigrana resta però sempre Aquila Parlante, che in qualche modo campeggia con la sua gigantesca statura.
Addirittura gigantesca?
Direi di sì. Quest’uomo, nella sua umiltà, è stato scelto dalla Vergine per un ruolo chiave di restaurazione e redenzione di un popolo intero. Roba da far tremare i polsi. Consideri che nei dieci anni seguenti le apparizioni, i battesimi sono aumentati esponenzialmente fino a cifre da capogiro (si parla di 9.000.000 di battezzati in dieci anni!), un contrappasso rispetto al parossismo di sacrifici umani caratterizzante il decennio precedente la conquista, dovuto allo sciagurato tentativo di esorcizzare il divinato ritorno di Quetzalcoatl.
Che esperienza è stata per lei scrivere questo libro?
Scrivere per me è sempre miscela di... “tormento ed estasi”. Ma la soddisfazione del parto finale è stata grande. La vera difficoltà l’ho trovata all’inizio dell’avventura: riuscirò mai ad animare in modo credibile i personaggi di un mondo scomparso e assolutamente altro da noi?
Cosa può dirci di Cortés?
Quello che oggi non si può dire…
Ci provi...
Fu uomo della sua epoca. Peccatore, avventuriero pure. Talvolta senza scrupoli. Eppure, cristiano convinto, ha fatto di tutto per annettere pacificamente il Messico e per fermare i massacri, con le buone prima di dover ricorrere alle cattive.
Troppo cattive, si pensa.
Si tenga presente che il propulsore dell’imperialismo azteco era la fame di vittime sacrificali da reperire ai danni delle altre popolazioni. Di fronte a quei massacri spaventosi non è forse doveroso intervenire? Chi si sognerebbe oggi di stigmatizzare gli Alleati per aver voluto fermare Hitler con l’esercito? Cortés poi è l’uomo, per dirla con Juan Marilles, che ha inventato il Messico moderno, con audaci riforme, ma soprattutto con la fusione tra Castigliani e indigeni. Anche se poi, caduto in disgrazia presso la Corona, il progetto è in parte abortito.
Ci sono diversi personaggi inventati. Come sono nati?
La mia guida è stato questo motto: scrivere solo cose vere o verosimili. Per esempio Atlixcatzin, detto il Caimano, è un realistico esponente della classe dei mercanti, che costituiva, nel variegato panorama sociale dell’epoca, una realtà temuta e disprezzata al tempo stesso. Fucina di spiriti liberi e menti astute, guardinghe e spietate.
In esergo c’è la trascrizione di un canto azteco, e al capitolo dieci un prigioniero canta un motivo triste.
Nel contesto di oppressione superstiziosa e di terrore in cui viveva, all’azteco restavano poche consolazioni: il fungo allucinogeno, la danza rituale e la poesia melodica. Quella in esergo è autentica, quella al capitolo decimo invece me la sono inventata cercando di renderla verosimile.
Le apparizioni del Tepeyac sono state approvate ufficialmente dalla Chiesa?
Le apparizioni riconosciute con decreto sono appena quindici. Guadalupe fa parte invece di quelle riconosciute ‘di fatto’ cioè senza che ci sia stato bisogno di un decreto: l’erezione di una chiesa nel punto indicato dal veggente, l’innalzamento alla dignità di basilica, l’ostensione perpetua della tilma acheropita, il culto plurisecolare, i miracoli, l’istituzione nel 1667 della festività della Vergine di Guadalupe con ufficio e Messa propri, l’esser diventato il santuario mariano più frequentato al mondo, la canonizzazione del veggente... parlano da soli.
Per chiudere: qual è il vero scopo del libro?
Raccontare con l’ingranaggio di un romanzo scorrevole il mistero di una conversione di massa, esplosiva. Di cui Juan Diego è stato il miracoloso innesco.