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FAMIGLIA

Italia, paradiso delle coppie di fatto

A Milano arriva il registro delle unioni civili. Mail nostro ordinamento non discrimina per nulla le coppie di fatto, nemmeno gay. Ecco la prova.

Attualità 13_07_2011
Coppia di fatto
Qualche giorno or sono il neosindaco di Milano Giuliano Pisapia ha affermato: «A differenza degli altri, io mantengo gli impegni presi in campagna elettorale. Istituiremo il registro delle unioni civili». A dire il vero è uno di quei rari casi in cui una promessa politica non mantenuta avrebbe di certo suscitato il plauso di molti. L’incoerenza a volte è una virtù. La decisione venne annunciata da Pisapia con straordinario tempismo laicista il 26 giugno scorso, proprio il giorno in cui mons. Dionigi Tettamanzi, arcivescovo del capoluogo lombardo, beatificava tre religiosi.

Ma, al di questo, la vera notizia è che sotto la Madonnina nascerà un registro per le coppie di fatto, etero e omosex. Nulla di più che un fatto simbolico assicura l’assessore Pierfrancesco Majorino, il quale però non resiste alla tentazione di aggiungere che il registro darà «l’occasione di celebrare l’unione alla luce del sole. La registrazione è la solennizzazione dell’unione e si può pensare anche a una cerimonia». Un matrimonio non matrimonio, nozze laiche dunque. Paradossale: impallidisce sempre più l’istituto matrimoniale, che per durata ormai assomiglia ad una convivenza, e parallelamente si rinvigorisce sempre più, grazie ad alcune vesti formali cucite ad hoc da alcuni amministratori locali, la prassi della convivenza, che ormai in certi suoi aspetti mima il matrimonio.

Questo annuncio ha rimesso sul tavolo della discussione il tema delle coppie di fatto e di conserva ha innescato i triti e ritriti peana progressisti: chi convive non è tutelato come i coniugi, le coppie di fatto sono discriminate, due pesi e due misure e via delirando. Ma davvero per il nostro ordinamento giuridico i conviventi sono discriminati? Vediamo in sintesi cosa dice la legge al riguardo.

L’eredità.
Per il nostro ordinamento il convivente è fuori dalla legittima dell’asse ereditario, la quale comprende solo coniuge, figli legittimi (compresi i legittimati e gli adottivi), figli naturali e ascendenti legittimi. Però il convivente può ricevere dei beni tramite disposizioni e donazioni che però non possono erodere in alcun modo la legittima.

Gli immobili.
La casa ovviamente può essere intestata ad entrambi. Nel caso in cui fosse intestata a uno solo e questi muore, tramite disposizione testamentaria può andare al “compagno/a”. Per la giurisprudenza (Corte Cost. 404/88; 166/98; 559/89; Cassazione 100.034/2000) è ormai assodato che se invece i due sono in affitto, alla morte di uno dei due conviventi o nel caso in cui uno dei due sia stato abbandonato dall’altro e debba badare ad eventuali figli, il convivente superstite o abbandonato subentra automaticamente all’altro nella locazione. Ciò è anche confermato dal Decreto ministeriale del 30 giugno del ’94. Sempre in tema di affitti la legge n. 392 del lontano 1978 e altre leggi regionali affini prevedono l’assegnazione di case popolari anche ai conviventi.

Pensione di reversibilità.
Questa spetta solo al coniuge e ai figli. Fratelli e genitori del defunto ne hanno diritto solo se mancano coniuge e figli o questi non ne hanno diritto. Il convivente non è dunque contemplato come possibile beneficiario. Perché? La Corte Costituzionale (461/2000) ha affermato a tal proposito che la pensione di reversibilità non è un diritto fondamentale, e quindi non lede nel profondo la dignità personale, e oltre a ciò la sua concessione esige certezza di rapporto che solo il matrimonio può dare.

Assicurazioni.
Le Casse sanitarie professionali e le agenzie assicurative prevedono nella maggior parte dei casi che il beneficiario di polizze vita e di servizi di assistenza sanitaria possa essere anche il convivente. La legge, dato che tali contratti sono espressione della libera iniziativa tra privati, non obietta nulla a questo riguardo.

Assistenza sanitaria.
Se il convivente ricoverato non può formulare validamente il proprio consenso in merito alle cure da ricevere, la disciplina del codice civile sull’amministratore di sostegno e le norme sul consenso informato già consentono che possa essere un qualsiasi altro soggetto a decidere al suo posto, convivente incluso. In merito poi in particolare ai trapianti d’organo la legge n. 91 del 1999 obbliga il medico ad informare anche il convivente - che viene così posto assai discutibilmente sullo stesso piano del coniuge e su un piano più elevato rispetto a figli e genitori -  del quadro clinico del "compagno" in attesa di trapianto, convivente che, sempre grazie a questa legge, può presentare opposizione scritta al prelievo degli organi dal corpo del "compagno" deceduto.

In buona sostanza il diritto comune già tutela il convivente, in quanto - nelle fattispecie prima elencate - portatore di esigenze individuali da rispettare. Anzi per ciò che riguarda affitti, assegnazione case popolari e trapianti d’organo vi è una predilezione verso il convivente che appare iniqua rispetto ad altri e più importanti legami di sangue. In altre occasioni invece pone in subordine il convivente rispetto alla figura del coniuge o dei figli. La legge in questi casi non discrimina ma semplicemente tratta in modo diverso situazioni diverse e non assegna diritti a chi non volendo sposarsi ha deciso di non assumersi i relativi doveri giuridici (Corte Cost. ordinanza n. 121/2004). Doveri giuridici che per i coniugi non sono pochi, nè di lieve entità: fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione, coabitazione (non c’è l’illecito abbandono del tetto “coniugale” per i conviventi), contribuire ai bisogni della famiglia (la contribuzione economica è coercibile per i coniugi ex legge 184/83), educazione dei figli (se un partner non è il genitore dei figli dell’altro non ha l’obbligo di educarlo).

I conviventi sono rispettati e quindi non discriminati dalla legge nei loro diritti fondamentali (artt. 2 e 3 Cost.). Occorre cioè tutelare il convivente, perché persona, e non la convivenza; il singolo non la relazione di convivenza tra i singoli. Quest’ultima non ha la dignità dell’istituto del matrimonio per vedersi riconosciuto un suo status giuridico e quindi non merita attenzione giuridica.

Anzi, a dirla tutta, certi correttivi giuridici dovrebbero essere urgentemente presi in difesa della famiglia che in certi ambiti è seriamente danneggiata dal fenomeno delle convivenze. Ad esempio alcune esenzioni di natura economica, come molti sanno, scattano solo al di sotto di certi redditi. I coniugi cumulando i propri redditi spesso ne sono esclusi, i conviventi no perché non devono per legge sommare le proprie rendite. Pensiamo ad alcuni ticket sui farmaci, alle rette degli asili nido, agli alloggi universitari, alle borse di studio e ai buoni pasto dell’università. Tutte cose in cui i coniugi o i figli degli stessi si vedono scavalcare dai conviventi e pargoli di quest’ultimi.

Ma le insidie per l’istituto del matrimonio non vengono solo da alcune crepe del nostro ordinamento giuridico ma arrivano anche da oltralpe. Infatti la Corte di Giustizia dell’Unione Europea il 10 maggio scorso con sentenza ha stabilito se un Paese prevede una disciplina giuridica per le coppie di fatto (anche omosessuali) allora tale disciplina deve essere identica a quella del matrimonio. Ed è inutile rammentare che il primo passo per avere simile disciplina è istituire “simbolici” ed apparentemente innocui registri delle unioni civili. Così come sta avvenendo in quel di Milano.