Beirut col fiato sospeso. Dopo Gaza, Israele può attaccare il Libano
Ascolta la versione audio dell'articolo
Beirut, paura di una nuova guerra. L'inviato Usa Barrack detta le condizioni per la ricostruzione, che coincidono con gli interessi israeliani. Hezbollah si oppone. E Netanyahu, sistemata Gaza, può riprendere l'offensiva anche in Libano.

Come ogni primo sabato del mese, il 5 luglio si è tenuta presso la chiesa dei Francescani di Terra Santa a Beirut una Messa per la comunità italiana in Libano. Presenti un pugno di espatriati, alcuni discendenti di italiani arrivati nel Paese nel secolo scorso, un carabiniere e qualche militare in divisa, oltre a diversi libanesi padroni della lingua italiana a cui fa piacere sentirsi italiani. Un ufficiale del Mibil, la missione militare bilaterale italiana in Libano a supporto dell'esercito libanese, ha letto compuntamente la preghiera dei fedeli; il celebrante ha ricordato all'omelia come sia difficile comprendere fino in fondo la situazione libanese. «Quando si arriva qui, si pensa di aver capito tutto» ha sottolineato. «Dopo una settimana ci si comincia a fare qualche domanda e finalmente, dopo un anno, ci si accorge di non aver capito niente».
Queste parole non sono effettivamente molto lontane dal vero; in queste ore c'è molta incertezza su quello che sarà il prossimo futuro del Libano. Si trova attualmente a Beirut Tom Barrack, ambasciatore Usa in Turchia e inviato speciale per la Siria, che a qualche titolo si occupa anche di Libano - i suoi nonni erano cristiani libanesi emigrati negli Stati Uniti. Barrack viene a chiedere conto alle istituzioni libanesi della proposta americana di pacificazione con Israele che ha avanzato giorni addietro a nome dell'amministrazione Trump. Nell'imminenza del viaggio in Libano, Barrack ha scritto in un post su X che il Paese ha «l'opportunità per lasciarsi alle spalle il confessionalismo del passato» e diventare «un Paese, un popolo e un esercito» aggiungendo: «Come il Presidente Trump ripete costantemente, il Libano è un gran posto, la sua gente è grande. Let’s make Lebanon great again».
Il contenuto della proposta americana, riservato ma noto all'opinione pubblica grazie ai numerosi leaks, prevede più di una richiesta alle istituzioni libanesi: il disarmo delle entità non statali e di tutte le milizie non autorizzate, in primis Hezbollah, e la rimessa di tutte le armi presenti in Libano nelle mani dello Stato libanese; la normalizzazione ad ogni livello dei rapporti con la Siria e il suo nuovo governo, con particolare riferimento alla ridefinizione dei confini e alle relazioni commerciali; l'implementazione delle riforme finanziarie come prerequisito necessario all'elargizione di fondi. In cambio l'America fornirebbe al Libano supporto finanziario, in particolare fondi per la ricostruzione della regione del sud, devastata dagli attacchi dell'Idf, e garantirebbe le cessazioni delle violazioni israeliane, incluse le uccisioni di membri, reali o presunti, di Hezbollah. Tramite le Nazioni Unite gli Usa faciliterebbero inoltre la restituzione dei prigionieri libanesi detenuti da Israele.
A giudicare da alcune dichiarazioni piuttosto piccate rilasciate da membri del Parlamento libanese appartenenti a partiti diversi, la proposta di Barrack ventilerebbe anche la possibilità di consegnare le armi presenti in Libano direttamente a Israele; inoltre, Hezbollah non andrebbe solamente disarmato, ma anche disgregato e reso fuorilegge; infine, la richiesta di "normalizzare i rapporti con la Siria" adombrerebbe il reale disegno israeliano per il Medioriente. Secondo alcune fonti, in cambio di supporto al suo governo l'autoproclamatosi Presidente siriano Ahmed al Sharaa dovrebbe cedere allo Stato Ebraico parte del Golan; una volta fatto suo il Libano, Israele cederebbe alla Siria, come compensazione, parte del territorio del Paese, precisamente un corridoio di terra dalla valle della Bekaa alla città sunnita di Tripoli.
Secondo le fonti giornalistiche locali la risposta alla proposta americana concertata dalle autorità libanesi, segnatamente il Presidente della Repubblica Joseph Aoun, il Primo Ministro Nawaf Salam e lo speaker della Camera Nabih Berri, è pronta; anche Hezbollah è stato consultato in merito e ha consegnato la sua replica alle autorità. Sostanzialmente, le istituzioni libanesi sono pronte a compiacere le istanze Usa in cambio dell'immediata cessazione degli attacchi israeliani e del ritiro dell'Idf dal sud del Paese.
Il Libano ha già adempiuto da tempo alle clausole del Cessate il fuoco stipulato con Israele il 27 novembre scorso, secondo cui Hezbollah avrebbe dovuto ritirare i suoi miliziani a nord del fiume Litani, a circa 30 km dal confine con Israele, cosa che ha fatto. Dal canto loro, le truppe israeliane avrebbero dovuto lasciare il controllo del territorio all'esercito regolare libanese affiancato dal corpo di pace Unifil. All'avvicinarsi della data prevista per il ritiro, però, Tel Aviv dichiarò che avrebbe mantenuto cinque postazioni nel territorio del Sud (ma negli ultimi mesi si sono registrati ulteriori sconfinamenti) e continuato ad attaccare il Libano fino alla completa eradicazione di Hezbollah. Le autorità libanesi hanno sinora registrato quasi 3mila violazioni israeliane alla tregua che hanno causato la morte di più di 200 persone e il ferimento di oltre 500. Nella giornata di sabato, mentre Barrack scriveva su X, tre diversi attacchi israeliani hanno provocato due feriti gravi a Shaqra, un morto e due feriti a Saf al-Hawa, vicino a Bint Jbeil, e un ferito a Shebaa, tutte località a sud del fiume Litani da dove Hezbollah si è già ritirato da un pezzo. Il giovedì precedente un drone israeliano ha ucciso un automobilista e ferito quattro persone a Khalde, alle porte di Beirut: secondo Idf la vittima era "un terrorista al soldo dell'Iran". L'avvicinamento degli attacchi israeliani alla Capitale desta ansia e preoccupazione.
Non c'è da stupirsi che l'idea di una "pax israeliana" a scapito del Libano susciti le ire del Partito di Dio. Alla vigilia dell'arrivo a Beirut di Barrack il leader di Hezbollah Naim Qassem ha ribadito, durante una celebrazione in occasione dell'Ashura, il solenne periodo di lutto che gli sciiti osservano per l'imam Hussein, che la milizia non consegnerà le proprie armi finché Israele continuerà ad attaccare il Libano. «Non deve essere più permessa l'aggressione israeliana in corso», ha dichiarato l'anziano leader, eletto dopo che Hassan Nasrallah e il suo sostituto Hashem Safieddine sono stati uccisi nell'autunno scorso. «Non legittimeremo mai l'occupazione del Libano da parte di Israele» ha aggiunto, rivelando indirettamente che altre forze politiche libanesi sarebbero disposte a cedere il sud a Israele in cambio della pace. Ciò in effetti rientra da tempo nei desiderata degli israeliani, che hanno invaso reiteratamente il Paese negli ultimi cinquant'anni e hanno sempre dovuto ritirarsi. «A nome di Hezbollah dichiaro che siamo pronti ad entrambe le opzioni: alla pace e alla collaborazione, ma anche a difenderci se verremo aggrediti» ha concluso Qassem, aumentando le inquietudini dei libanesi.
«Il nostro Primo ministro attacca ogni giorno i membri di Hezbollah, libanesi come lui, e non protesta per i morti causati da Israele» dichiara alla Nuova Bussola Quotidiana un amareggiato simpatizzante del Partito di Dio. «Eppure i morti sono libanesi.. Com'è possibile che le nostre istituzioni servano le potenze straniere più che il loro stesso popolo?». Giriamo la domanda al parroco maronita di un quartiere a prevalenza cristiana di Beirut: «Gli israeliani li conosciamo», risponde. «Sappiamo chi sono e cosa fanno. Ma siamo noi libanesi a non dover concedere loro nessun appiglio per attaccarci». Mentre Barrack è in Libano, Netanyahu è negli Stati Uniti a discutere la tregua con Hamas; il timore è che, allorché scattasse il cessate il fuoco a Gaza, lo Stato Ebraico ne approfitterebbe per attaccare il Libano, stavolta radendo al suolo il sud, cose e persone. «Netanyahu dette l'ordine di uccidere Nasrallah da New York, dove aveva appena parlato all'Assemblea Generale dell'Onu» ricorda un giovane sunnita beirutino. «Evidentemente va a chiedere, o a fingere di chiedere, il permesso di agire in Libano».
Le prossime ore ci diranno se, dopo aver indebolito scientemente l'Iran, Israele deciderà di attaccare il Libano per chiudere definitivamente i conti con il Paese dei Cedri; in quel caso Hezbollah, pur decimato, non starà a guardare e si aprirebbero scenari sempre più difficili da controllare.