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MEDIO ORIENTE

Israele, guerra all'Iran in tre paesi

Raid israeliani in Siria e Libano (confermati) e in Iraq per colpire obiettivi iraniani. Un'azione difensiva per sventare un imminente attacco iraniano, dice Israele. Ma nei tre paesi colpiti, invece, monta la rabbia contro Israele. Di sicuro il clima nella regione si è fatto rovente.

Esteri 27_08_2019
Esplosioni in Siria, causati dagli attacchi israeliani

Alta tensione in Medio Oriente: in Siria e in Libano, una serie di raid aerei ha colpito le milizie alleate della Repubblica Islamica dell’Iran. Nella notte tra sabato 24 e domenica 25 agosto, alcuni attacchi aerei sono stati lanciati contro obiettivi iraniani presenti all’interno del territorio siriano. La dinamica dell’attacco non è ancora chiara, ma, stando a quanto riferito dall’agenzia di stampa siriana (Sana), i sistemi di difesa nazionali sarebbero riusciti a intercettare numerosi razzi israeliani, lanciati dalle Alture del Golan contro il villaggio di Aqraba, nei pressi di Damasco. Secondo Israele i raid avrebbero colpito con successo gli obiettivi prestabiliti, mentre, stando a quanto riferito da Teheran, nessun centro iraniano sarebbe stato colpito.

Nello stessa notte, due “droni da ricognizione– forse gli stessi lanciati poco prima nel territorio siriano – hanno colpito Beirut, la capitale del Libano. Il primo dei velivoli avrebbe centrato l’ufficio stampa di Hezbollah – secondo quanto riferito da Mohammed Afif, portavoce dell’organizzazione libanese -, precedendo di circa 45 minuti la seconda esplosione, sempre nella stessa area. Ventiquattro ore più tardi, un terzo raid avrebbe colpito il territorio libanese, centrando una postazione militare appartenente al Comando Generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – sostenuto dall’Iran -, situata al confine con la Siria.

“Un’aggressione, una minaccia alla stabilità regionale e un tentativo di innalzare ulteriormente i livelli di tensione”, così ha descritto l’accaduto il primo ministro libanese, Saad Hariri, che ha attribuito la responsabilità dei raid a Israele. Dura anche la reazione di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, che ha minacciato di abbattere “qualsiasi drone israeliano che tenti di violare lo spazio aereo libanese”.

Non solo Siria e Libano. Da settimane, anche l’Iraq è teatro di una serie di attacchi mirati a colpire le postazioni e i depositi di munizioni delle Forze di Mobilitazione Popolare - organizzazione para-statale finanziata e addestrata dall’Iran -. L’ultimo si è verificato domenica scorsa (25 agosto), quando un drone ha colpito la cittadina irachena di Al-Qaim, uccidendo un comandante delle Brigate Kata'ib Hezbollah, gruppo paramilitare sciita iracheno supportato dall'Iran.

Anche se l’identità del responsabile degli attacchi è ancora sconosciuta, i media hanno avanzato l’ipotesi che si tratti, anche in questo caso, di raid israeliani. Un’accusa confermata, il 23 agosto scorso, da alcune dichiarazioni di funzionari statunitensi, secondo i quali ci sarebbe la mano di Israele dietro almeno uno degli attacchi (19 luglio) che hanno colpito il territorio iracheno.

Finora, lo Stato ebraico ha confermato di aver condotto unicamente i raid di sabato scorso contro le postazioni iraniane in territorio siriano. Secondo il Luogotenente Colonnello Jonathan Conricus – portavoce dell’esercito israeliano -, si sarebbe trattato di un’azione difensiva, mirata a sventare un “imminente attacco con droni da parte dell’Iran” contro Israele. Dopo averlo progettato per mesi, le milizie iraniane avrebbero tentato di lanciare l’attacco per ben due volte (giovedì 22 e sabato 24 agosto), prima di essere fermate dai caccia israeliani.

Interrogato, invece, sui raid in Iraq, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, non ha né confermato né smentito la responsabilità di Israele, lasciando trapelare alcune informazioni che avvalorerebbero la veridicità delle accuse. “In nessun luogo, l’Iran è immune” – ha dichiarato il leader israeliano – “Stiamo agendo in numerosi teatri contro un Paese che vuole annientarci. Le forze di sicurezza hanno avuto luce verde, oltre al compito di fare ciò che è necessario per sventare i piani dell’Iran”. Per Netanyahu, l’Iran sarebbe all’opera per costruire basi “contro Israele in ogni luogo”, con particolare riferimento a Siria, Libano, Yemen e Iraq.

Se la responsabilità di Israele negli attacchi contro i tre Paesi mediorientali risultasse confermata, si tratterebbe dell’avvio di una “nuova era” nella politica israeliana, mirata a limitare e contenere l’influenza iraniana nella regione. Il rischio che l’Iran o i suoi proxy rispondano a uno degli attacchi israeliani, superando quindi il punto di non ritorno e scatenando reazioni a catena, non può essere sottovalutato.

Alcuni segnali farebbero già presagire il peggio. Domenica scorsa, immediatamente dopo gli attacchi israeliani in Siria, il generale Qasem Soleimani, a capo della Quds Force iraniana, ha minacciato lo Stato ebraico, dichiarando che “queste folli operazioni saranno gli ultimi tentativi del regime sionista”. Dura anche la posizione del Libano, il cui presidente Michel Aoun ha definito i raid israeliani nel Paese “una dichiarazione di guerra”, che permetterebbe a Beirut di “ricorrere al diritto di difendere la sovranità nazionale”.

Quanto alla posizione degli Stati Uniti in Medio Oriente, potrebbe diventare critica. Il recente attacco contro la cittadina irachena di Al-Qaim – nel corso dell’ultimo raid in Iraq – ha portato la coalizione politica irachena Fatah – molto influente nel Parlamento iracheno – a chiedere a gran voce il ritiro immediato delle truppe americane di stanza in Iraq, accusando Washington di essere complice di Israele. Un’eventualità da evitare: il Paese rappresenta per gli Stati Uniti un’importante postazione strategica, necessaria per mantenere una presenza nella regione, in funzione soprattutto antiraniana.