«Io, ex femminista, mi sono ritrovata grazie a Gesù»
Docente di letteratura inglese e autrice di un libro che racconta come ha superato la sua crisi, Abigail Favale è passata dall’essere una paladina del femminismo a moglie e madre toccata dalla grazia di Dio che «mi attrasse improvvisamente e inaspettatamente alla Chiesa». La preghiera e la lettura di libri sull’Eucaristia l’hanno resa capace di abbandonarsi a Gesù e capire gli inganni delle ideologie. «Pensare da cattolica, invece, è molto più liberante». Ecco la sua storia.
Non c’è nulla di più incredibile che sentire affermare un’intellettuale femminista, autrice di numerose pubblicazioni contro il patriarcato e a favore di aborto e contraccezione, che chi veramente risponde ai bisogni più profondi della natura femminile, compiendola, è la Chiesa cattolica. Eppure è quello a cui è arrivata, non senza pena, Abigail Favale, professoressa di letteratura inglese alla George Fox University (Oregon) e vincitrice di importanti premi accademici. «Finalmente comprendo la mia vocazione come moglie e madre, invece che lasciarmi definire dalla mia professione. La mia vita è completamente cambiata, ora si fonda sulla preghiera», spiega Favale alla Nuova Bussola.
Cresciuta in un ambiente evangelico in cui ogni figura femminile, dalla Madonna alle sante cristiane, era bandita, ventenne cominciò ad andare in crisi. Intervistata da numerose testate dopo la recente pubblicazione della sua storia (Into the Deep), la donna ha parlato del suo percorso come di uno molto simile a quello di sant’Agostino, perché «nei miei anni perduti» cercava «un senso di identità… in relazioni turbolente e nella promiscuità sessuale, definendo me stessa e il mio valore in relazione agli uomini».
Insomma, in nome della libertà sessuale della donna, la giovane si faceva usare dagli uomini. Perciò, arrivata all’università, quello che la affascinò - il movimento femminista - oggi lo ritiene una risposta ideologica alla sua ricerca: «Il cristianesimo femminista, per molti versi, è il gemello inverso di questo approccio (il maschilismo in cui era cresciuta, ndr); cerca di sradicare e ribaltare ciò che è maschile», mentre solo «il cosmo cattolico, al contrario di questi due, è un cosmo di armoniosa sinergia: maschile e femminile intrecciati in feconda unione spirituale».
Ma da femminista, Favale, ancora convinta dell’esistenza di Dio, non abbandonò mai la fede. Fece forse qualcosa di peggio: la adattò alla sua nuova visione del mondo: «Creai una versione del cristianesimo che non diceva nulla sul peccato, sul pentimento e sulla grazia. Creai un’immagine di Dio che non era altro che una versione idealizzata di me stessa». Come poi il vero Dio attrasse a sé la donna, entrata nella chiesa cattolica a 31 anni (nel 2014), lo ha spiegato a La Prensa così: «Invece di preoccuparmi della mia salvezza, credevo che il cristianesimo dovesse essere “redento” dal patriarcato e sentivo che la mia missione era quella di essere la profetessa capace di farlo», ma ciò, lungi dal compiere le sue aspirazioni, la lasciava appunto vuota, causandole «una grave crisi spirituale che raggiunse l’apice vicino all’età di 30 anni».
Nel frattempo la professoressa si sposò, diventando madre. E proprio questo fece traballare le sue sicurezze sulla visione femminista della donna. In poche parole un fatto, incarnato, la cambiò. «E in quel momento, la grazia di Dio mi attrasse improvvisamente e inaspettatamente alla Chiesa».
Favale confessa ancora alla NuovaBQ che «il femminismo è costruito intorno al valore centrale dell’autonomia e dell’indipendenza. Quando sono diventata mamma questi valori non spiegavano più la realtà dell’esperienza che facevo, perché mi rendevo conto di quanto siamo esseri umani interdipendenti. Diventare mamma di un bambino ha anche spostato l’attenzione lontano dalla ristretta considerazione che avevo della mia identità verso una considerazione più ampia degli altri esseri umani, inclusi gli uomini e i bambini maschi».
E mentre le sue sicurezze crollavano, crebbe il bisogno di qualcosa che rispondesse alla sua nostalgia, insomma venne fuori tutta la sua natura femminile, bisognosa di essere riempita da altro, da qualcuno da accogliere. Perciò fu attratta dalla Chiesa cattolica, come risposta alla sua sete di sacramenti, ossia di un Dio in carne ed ossa che potesse diventare compagno reale di vita. Ad affascinarla furono alcune letture. In particolare due, come rivela alla NuovaBQ: «Mentre mi preparavo ad entrare nella Chiesa ho letto molte cose sui sacramenti. Un libro in particolare mi illuminò sull’Eucarestia: “La chiave della dottrina eucaristica” di Dom Anscar Vonier e “Il Dio vicino” di papa Benedetto XVI».
Inoltre, se prima la sua autorità religiosa era lei stessa e se l’interprete della Bibbia erano le sue convinzioni ideologiche, la giovane crollò di fronte al fatto che un Dio così ridotto era insufficiente alla sua sete. Ma il processo di accettazione è stato difficile, come una conversione nella conversione. Per provare a credere che quanto insegna la Chiesa cattolica fosse la verità «dovetti arrendermi», ha spiegato al Catholic World Report: «La svolta è stata l’apprendimento della posizione spirituale fondamentale della resa». Anche se parlare di resa per lei era fino a poco tempo prima inconcepibile, perché «in una visione del mondo femminista, la resa non è una virtù, ma un peccato cardinale… ci addestrano ad abbracciare il sospetto: il sospetto verso Dio, verso la Chiesa, verso la Bibbia, verso l’autorità in generale. Sfortunatamente, questo orientamento al sospetto ha quasi annullato la mia fede, perché la fede è meno basata sul consenso intellettuale e più sulla fiducia. Fu quando iniziai a pregare alcune preghiere pericolose - preghiere di resa - che il guscio indurito del sospetto attorno al mio cuore si sgretolò e la mia visione del mondo si aprì. Fu allora che iniziò la vera conversione».
Ma come può una ex paladina del femminismo accettare di vivere sottomessa ad un Dio-uomo, Abigail lo ha spiegato così: «È uno di quei meravigliosi paradossi che stanno al cuore del cristianesimo: nel cercare me stessa, mi sono persa. Abbandonandomi a Cristo, mi sono ritrovata. Questo senso di resa di cui sto parlando non è una resa violenta e forzata, come un esercito conquistato che sventola bandiera bianca. Questo arrendersi è fiducia, come un corpo sfinito che si lascia andare al riposo beato o come un uccello che si arrende al vento».
Solo questo può far comprendere il perché di un cambiamento di vita radicale, come spiegato alla NuovaBQ: «Sono più consapevole delle mie mancanze come madre, del mio bisogno di grazia sacramentale attraverso la confessione e l’Eucaristia. Inoltre non uso più la contraccezione, un enorme cambiamento, sia sul piano pratico che spirituale, per il mio matrimonio e per la comprensione di me stessa come donna».
Vivendo da cattolica, Abigail ha poi scoperto che «il cattolicesimo, diversamente dal femminismo, non può essere facilmente incanalato nelle polarità politiche contemporanee, perché le trascende. Le ideologie sono semplicistiche, riduttive, intellettualmente soffocanti, avverse ad ogni indagine critica… pensare da cattolica, invece, è molto più liberante. La tradizione intellettuale cattolica incoraggia la ricerca e ad abbracciare la verità in qualunque posto si trovi. San Tommaso d’Aquino, per esempio, fu formato intellettualmente da Aristotele, un filosofo pagano… non si chiuse in un bunker ideologico evitando qualsiasi prospettiva non cattolica. Al contrario, non ho mai letto un testo della tradizione femminista che incoraggi letture sfumate e simpatetiche di testi non femministi… Piuttosto, è vero il contrario; come dice il famoso mantra femminista, “gli strumenti del maestro non possono mai smantellare la casa del padrone”. In altre parole, non osare toccare quegli strumenti non femministi! È consentita solo una posizione critica e sospettosa nei confronti di punti di vista non femministi».
Secondo Abigail, il pericolo di un tale pensiero è la sua natura settaria e il fatto che si sta diffondendo negli ambienti accademici: «Nei miei anni trascorsi dietro le barricate femministe ho spesso ascoltato colleghe femministe che sostenevano la soppressione delle opinioni non femministe sull’aborto, la contraccezione e l’ordinazione delle donne. Raramente ho sentito le femministe sostenere la grande libertà accademica e la diversità ideologica».
E che dire della sua vecchia convinzione e di quella di tutte le femministe riguardo alla natura patriarcale del cattolicesimo? «Quando le femministe guardano al cattolicesimo dall’esterno, guardano attraverso la lente del potere temporale e tutto ciò che vedono… vedono Maria come un simbolo passivo e docile, piuttosto che la Madre di Dio» che «schiaccia il serpente sotto i piedi. Vedono il sacerdote maschio sull’altare e trascurano le donne che unite sono icone viventi del Corpo e della Sposa di Cristo, una controparte dell’iconografia sacerdotale dello Sposo. Travisano le sante donne coraggiose come Ildegarda di Bingen e Caterina da Siena ritenendole ribelli, piuttosto che fedeli figlie (e dottori) della Chiesa. Ignorano completamente le intuizioni profonde sulla questione del genere degli scrittori cattolici del XX secolo».
Spiegando di aver completato un dottorato in teoria femminista contemporanea, Abigail afferma poi che «non ho mai incontrato scrittori come Edith Stein, Prudence Allen, Adrienne von Speyr, Gertrud von le Fort e Giovanni Paolo II, perché i loro contributi sono completamente ignorati nella disciplina degli studi sulle donne». Eppure lei, ex-femminista, «perché cercavo una risposta a questa domanda: qual è il significato sacro della femminilità?», oggi è certa: «La mia dignità e il mio scopo come donna non sono mai stati così celebrata e affermati come sotto il mantello della Santa Madre Chiesa», perché «l’identità, il senso e l’appartenenza possono essere trovati solo in una resa sincera all’Amore, non ad un amore come immaginavo, ma a quello che realmente è».