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disordini al convegno federvita

«Io, catapultato negli anni '70 tra picchetti pro aborto e "streghe"»

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“Obiettore ti sprangheremo senza fare rumore”; “Solo odio, siete merda, Federvita sottoterra»; “Viscido cristiano, nella bara ti mettiamo”. E poi il blocco e la fuga sul retro scortato da un agente in borghese per poter entrare. Il picchetto femminista al convegno di Federvita di Torino raccontato in presa diretta da uno dei relatori, la firma della Bussola, Scandroglio. 
- A Torino va in scena la dittatura abortista, di Julio Loredo

Vita e bioetica 14_10_2024

Sabato in occasione del Convegno di Federvita Piemonte sul tema “Per una vera tutela sociale della maternità” al collegio San Giuseppe di Torino, si è svolto un presidio organizzato dai collettivi femministi, vicini al centro sociale Askatasuna. Tra slogan, muri imbrattati e picchetti, che hanno impedito ai relatori e ai partecipanti di poter entrare, si è reso necessario l'intervento delle forze dell'ordine per poter dare il via all'iniziativa pro life. Il convegno, alla presenza del vescovo Giovanni D'Ercole, è iniziato con notevole ritardo e alcuni relatori non hanno potuto prendervi parte. Ecco di seguito il racconto in presa diretta di uno dei relatori, la firma della Bussola Tommaso Scandroglio, che invece è riuscito ad entrare scortato da un agente di Polizia. 

«Sembra musica rave», annota mentalmente il relatore, pur non sapendo bene quale musica si ascolti durante un rave. Sono le 9.10 e il relatore, mentre si avvicina al Teatro San Giuseppe, vede un furgone del Reparto mobile della Polizia e alcuni poliziotti in assetto antisommossa. L’uomo in cappottino blu e ventiquattrore nera realizza in un attimo cosa sta accadendo. Una trentina di fanciulle, che poi si apprenderà appartenenti ai centri sociali e al gruppo Non una di meno, bloccano l’accesso al Teatro. «Ma quale Stato, ma quale Dio, sul mio corpo decido io», gridano le femministe. Il relatore le guarda con occhio da maschio-etero-bianco-occidentale: «Come tutte le femministe sono poco femminili». Sul muro di fronte alcune scritte concilianti: Obiettore ti sprangheremo senza fare rumore – Solo odio, siete merda, Federvita sottoterra - Cloro sul Clero – Viscido cristiano, nella bara ti mettiamo – Nell’aborto che vorrei, antiabortista non ti vorrei (che è un involontario elogio all’antiabortista). Il relatore elabora un pensierino sulle emule di Dante: «Manco una semplice rima sono capaci di mettere insieme».

Poi altre due scritte dedicate ad altrettanti relatori del convegno: Marrone, Torino ti abortisce Adinolfi = aborto mancato. La superbia del relatore si rattrista nel non vedere scritto sul muro nemmeno un insulto a lui dedicato. Ad esempio almeno un Dagli a Scandroglio, servo di Bergoglio.  

L’uomo con il cappottino per sua natura sarebbe andato a parlamentare e poi sarebbe entrato a forza. Ma, seppur queste ragazze non se rendano conto, sono pur sempre donne e le donne non si toccano nemmeno con un dito. Inoltre, è inutile discutere con chi ha perso l’udito per aver ascoltato l’errore per troppo tempo e a volume ideologico troppo alto. 

Il relatore allora si avvicina ad un agente e chiede lumi. «Guardi torni indietro e giri a sinistra senza farsi notare e provi ad entrare dall’altra parte». L’uomo con la ventiquattrore fa finta di chiedere informazioni perché il gruppetto di fanciulle, che probabilmente avranno ricevuto un Daspo per tutti i centri di estetica italiani, è molto vicino e può sentire.

Allora lascia via Andrea Doria, ma anche l’accesso in via San Francesco da Paola è ostruito da un gruppetto di amazzoni della rivoluzione. Passa in mezzo a loro. Queste lo guardano, lui le guarda, loro abbassano lo sguardo. Continua a camminare, svolta di nuovo a sinistra in via dei Mille. Anche il terzo ingresso è presidiato. C’è una camionetta dei carabinieri e alcuni uomini dell’arma anche loro con caschi e scudi. Si avvicina ad un gruppo di uomini che sono vestiti così in borghese che si capisce lontano un miglio che sono della questura. Il relatore si presenta e chiede ad uno di questi: «Perdoni, ma qui si configura l’illecito penale di violenza privata perseguibile anche d’ufficio. Non fate nulla?». E l’altro assai cortese: «Ha perfettamente ragione, ma adesso cerchiamo di capire come intervenire». Il relatore lo rincuora: «Capisco benissimo che non potete usare le maniere forti altrimenti domani su tutti i giornali uscirebbero titoli come Il governo fascista e patriarcale manda all’ospedale il dissenso. Basterebbe un graffio sull’immacolata testa di una qualsiasi di queste fanciulle e un’altra testa, quella del Ministro dell’Interno, cadrebbe all’istante». Lo sguardo dell’agente parla da sé.

Le ragazze del collettivo, tra cui una vestita da simil Gabibbo, urlano: «L’aborto non si tocca!». E poi: «L’utero è mio e lo gestisco io!». Slogan vecchi di cinquant’anni. Sembra di essere tornati agli anni Settanta, ma tutto appare anacronistico e così prevedibile, stereotipato, polveroso. Attaccano un microfono ad una cassa portatile. Una rabbiosa invettiva sul corpo delle donne che deve diventare un sepolcro per i loro figli, sulla libertà di scelta di essere mandanti di un omicidio, sulla persecuzione di quei medici che non vogliono fare i sicari, come ha detto Papa Francesco. Tutto berciato con la schiuma alla bocca. «Più che Non una di meno mi pare Ma ora ti meno», conclude mentalmente l’uomo con il cappottino.

La pietà verso queste fanciulle masticate da una vetero cultura femminista è frammista dalla noia di ascoltare un disco rotto. Gli agenti della questura scattano foto alle ragazze e le ragazze ricambiano. I click degli smartphone hanno sostituito lacrimogeni e bombe molotov.

Passa il tempo, l’uomo con la ventiquattrore chiama alcuni organizzatori: sono riusciti ad entrare prima che arrivassero le paladine dell’utero vuoto di vita. Ritorna in via Doria. Un giornalista lo intervista. Il relatore parla di aborto come assassinio, di inesistenza del diritto dei medici di uccidere le persone perché chiamati a fare l’opposto, al dato che tutte le donne dal '78 ad oggi che hanno voluto abortire lo hanno fatto senza problemi, purtroppo. Il giornalista chiede in continuazione se ha capito bene, se davvero crede vere tutte queste cose. «Senta – risponde il relatore –  se voleva altre risposte, poteva andare da quelle lì con gli striscioni in mano».

Le forze dell’ordine intanto hanno chiuso via San Francesco. I collettivi rosa hanno compreso che gli sbirri, come li chiamano loro, vogliono organizzare un cordone per far entrare nel teatro relatori e pubblico e dunque tutte la giacobine convergono in via San Francesco. Un agente inizia a discutere con loro. Il relatore è troppo lontano e non riesce a sentire.

Invece accosta un altro uomo in borghese della questura: «Senta, voglio entrare». E lui: «Allora mi segua». Fanno un ampio giro per seminare alcune sentinelle. La scena è surreale: un agente di polizia deve seminare chi si è macchiato almeno di qualche reato in quella giornata. «L’hanno già inquadrata», fa l’agente al relatore e questi pensa: «Ovvio, sono venuto vestito in alta uniforme da conferenziere». Tornano a via dei Mille, ormai deserta. L’agente chiama il custode che apre la porta mentre si avvicinano altri partecipanti al convegno. Purtroppo questi sono stati pedinati. Ecco allora che il relatore e i partecipanti si fiondano nello stretto vano della porta immediatamente seguiti da una ragazza che riesce mettere un piede tra la porta e lo stipite. Con eccelsa grazia e delicatezza il piede viene divelto dalla porta.

«Sono dentro», mormora tra sé il relatore. Altra scena surreale. Sembra di essere in un fortino. Asserragliati dai nemici dei bambini, che dentro quel teatro invece trovano protezione, sequestrati dall’abortismo estremo, ostaggi del pensiero unico che fa passare dentro il teatro unicamente chi vuole, che dialoga solo con chi la pensa uguale, che ha l’esclusiva sull’inclusione, che accetta le differenze solo se sono identiche al suo modo di pensare, che è per il pluralismo delle idee a patto che quelle idee vengano solo da una parte, che è per la pace ma solo con gli amici. All’uomo in cappottino viene da pensare che la libertà di pensiero in Italia è tutelata benissimo: intervengono addirittura dozzine di agenti e carabinieri per difenderla. Il relatore entra in teatro. Le luci sono fioche. Una decina di persone recitano il rosario guidato da Mons. Giovanni d’Ercole, vescovo emerito di Ascoli Piceno e uno dei relatori. L’uomo con la ventiquattrore incontra poi un amico che ha parlato con alcune di queste ragazze. Incalzate sul fatto che il nascituro è un essere umano ad un certo punto se ne sono andate. Il buio oltre lo slogan.

Dopo due ore il cordone di polizia fa entrare i partecipanti e finalmente iniziano le relazioni. Adinolfi e l'assessore regionale Marrone non verranno. Strategia mediatica per farsi passare come vittime di una protesta illiberale. Una consapevolezza pare aleggiare in platea: convegno riuscitissimo. Le agenzie di stampa battevano la notizia già prima dell’inizio del convegno.

Arriva l’ora di pranzo. Le femministe tornano a casa. La mamma ha fatto i ravioli con ripieno di ricotta. I ravioli sono più efficaci dei manganelli e la rivoluzione può attendere. La fame è pro-life.