«A Torino si è mostrata la dittatura abortista»
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Minacciato dalle femministe a Torino al convegno di Federvita, sono comunque entrato grazie al tesserino da giornalista. Se la difesa della vita innocente suscita una tale ferocia e una tale bramosia di sopprimerla, vuol dire che è ancora un tema vivo. Non ci si scomoda per qualcosa senza importanza. Il racconto di chi c'era sabato: Julio Loredo.
Caro direttore,
sabato 12 ottobre, si è tenuto a Torino il convegno di FederVita Piemonte dedicato al tema “Per una vera tutela sociale della maternità”. Avrei dovuto dire che si è a malapena tenuto, poiché è stato pesantemente boicottato e assalito da uno stuolo di femministe militanti, appartenenti a diverse realtà della sinistra. Arrivate prima dell’orario di apertura, le femministe hanno bloccato l’ingresso, impedendo fisicamente alle persone di accedere al teatro del Collegio San Giuseppe, in via Andrea Doria. Scandendo slogan minacciosi (“obiettore ti sprangheremo senza fare rumore”) e facendo scudo col proprio corpo, le femministe sono riuscite a ritardare l’inizio del convegno per ben due ore. Alla fine, e solo grazie all’azione combinata della Polizia locale, la Questura e i Carabinieri, i partecipanti hanno potuto fare ingresso, scortati da agenti in assetto antisommossa. Uno dei relatori ha commentato: mi sento come in un fortino in territorio nemico. Infatti, gli agenti hanno dovuto presidiare tutti gli ingressi del Collegio per la durata del convegno.
Il convegno alla fine si è potuto realizzare, anche se con numeri ridotti. Alcuni non se la sono sentita di affrontare la furia delle femministe e sono tornati indietro. Altri, nonostante gli sforzi, non sono proprio riusciti a entrare. Fra i relatori c’era mons. Giovanni d’Ercole, vescovo emerito di Ascoli Piceno.
La protesta, in realtà, era cominciata la notte prima, quando mani ignote hanno imbrattato i muri circondanti con slogan tipo “Cloro al clero”; “Viscido cristiano, nella bara ti mettiamo”; “Dovette andare sottoterra”. E uno che si stagliava su tutti: “Solo odio!”. In calce, l’A cerchiata, simbolo degli antagonisti.
Io c’ero, e me la sono cavata solo perché in possesso del tesserino di giornalista. Le femministe non sono riuscite a contestare il mio diritto alla cronaca, e anche a fare fotografie. Mi hanno comunque minacciato con denunce nel caso le avessi pubblicate. Evidentemente ignorano la normativa sulla privacy, che permette la pubblicazione di fotografie di persone in luoghi pubblici purché non leda la loro dignità.
Mentre scrivo, già di sera, i pensieri si accavalcano nella mia testa. Cercherò di metterci un po’ d’ordine.
1. Sento dire, di qua e di là, che l’aborto è già terreno conquistato dalla sinistra e che qualsiasi tentativo di ribaltare la situazione è ormai fuori tempo massimo, fatica sprecata, battaglia persa a priori. Dicono che la gente non ci pensa più: lo ha già “metabolizzato”. La reazione scomposta delle femministe – che rappresentavano diverse realtà della sinistra – mi sembra indicare tutt’altro. L’entità di un’azione si può misurare anche dalla reazione che provoca. Se la difesa della vita innocente suscita una tale ferocia e una tale bramosia di sopprimerla, vuol dire che è ancora un tema vivo. Non ci si scomoda per qualcosa senza importanza. “¡Ladran, Sancho, señal que cabalgamos! – Ci abbaiano, Sancio, segno che stiamo cavalcando!”, diceva Don Chisciotte. Ci odiano e ci assaltano, segno che stiamo avanzando, potremmo dire i difensori della vita innocente.
2. Una seconda riflessione si desume dal contenuto del convegno: la difesa della vita umana e della maternità. Come mai la difesa della vita innocente e della maternità suscita tanto odio e tanta contestazione da parte della sinistra antagonista? È chiaro che i rivoluzionari capiscono che qui c’è un filo rosso, un caposaldo della morale, della dignità umana e della civiltà che bisogna assolutamente abbattere per poter avanzare verso l’anarchia. In altre parole, vedono nella lotta in favore dell’aborto, e conseguentemente contro la famiglia, un fattore importante per l’avanzo della Rivoluzione. Lo diceva già Lenin: “Perché la Rivoluzione trionfi abbiamo bisogno delle donne. E l’unico modo per averle è toglierle dalle loro case. Dobbiamo distruggere l’istinto materno individualistico. Una donna che ama i suoi figli non è altro che una cagna”. Ora, io non sempre vedo in alcuni ambienti pro-vita italiani una simile e speculare comprensione della difesa della vita innocente e della maternità come fattori di Contro-Rivoluzione. “Non bisogna mischiare le carte”, mi sento a volte dire. Senza inquadrare la difesa della vita innocente e della maternità, e quindi della famiglia, in un panorama più ampio di scontro fra bene e male, fra civiltà e anarchia, insomma fra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, non avremmo mai lo stesso dinamismo né la stessa ampiezza di vedute della sinistra.
3. Un terzo elemento di riflessione lo traggo dagli slogan dipinti sui muri: “cloro al clero”, “viscido cristiano”, ecc. La sinistra capisce benissimo che questa è una guerra di religione. Io vedo che alcuni esponenti del mondo pro-vita negano questo fatto evidente, e vogliono restringere la loro azione alla difesa della dignità della donna, della libertà di scelta e via dicendo, cause senz’altro eccellenti, ma che non toccano il nucleo della questione: l’aborto è un problema morale, e come tale è, in ultima analisi, un problema religioso. Durante lo stesso convegno, di fronte a gruppi di persone che, impossibilitate di entrare, si erano messe a pregare sul marciapiede, non mancò chi suggerisce di non farlo “per non essere accusati di clericalismo”. Escludere l’argomento religioso dalla causa pro-vita e pro-famiglia equivale a privarla della sua arma più potente. Ci piaccia o meno, questa è una guerra di religione. La sinistra lo capisce. Quanto prima lo capiremo noi meglio sarà.
4. Un’altra riflessione prende spunto dal pamphlet che le femministe distribuivano: “Non lasceremo spazio a questi antiabortisti!”. Illustrato con un pugno alzato, nero e minaccioso, simbolo del socialismo. “Togliere lo spazio” agli avversari è la propria essenza della dittatura. Ed è ciò che hanno fatto, impedendo i partecipanti al convegno – perfino un vescovo – di entrare. Volevano poi infiltrarsi nel teatro per interromperne i lavori. Ossia, hanno calpestato la nostra libertà di movimento e volevano calpestare anche la libertà di parola. Non ci possiamo illudere. Non c’è niente di più brutalmente dittatoriale della Rivoluzione quando si sente trionfante. Gli abortisti sbandierano la libertà come valore definitorio della loro lotta. In realtà, la Rivoluzione dà poca importanza alla libertà per il bene. Gli interessa solo la libertà per il male. Quando è al potere, toglie facilmente e perfino allegramente al bene la libertà, in tutta la misura possibile. Sorge quindi la domanda: si può “dialogare” con questa gente?
5. Un’ultima riflessione riguarda il divario fra l’età anagrafica delle manifestanti e l’“età anagrafica” degli slogan che recitavano. La maggior parte era anagraficamente molto giovane. Ma gli slogan erano gli stessi che le loro nonne urlavano nei cortei degli anni Sessanta. Con una differenza. Confrontate con argomenti, le loro nonne sapevano ribattere. Ne risultavano a volte dibattitti non esenti di profondità e di spirito. Queste ragazze, invece, restavano mute di fronte alla minima argomentazione logica o scientifica. Ripetono senza capirli slogan insegnatigli dai leader. Aveva ragione Cristina Zaccanti, coordinatrice regionale del Popolo della Famiglia, quando commentava la “fragilità argomentativa ed esistenziale” delle manifestanti. Io stesso mi sono confrontato con tre di loro, pacatamente e al margine della manifestazione, e sono rimasto scioccato dalla loro inconsistenza dottrinale e temperamentale.
Tirando le somme, credo che sia stata un’esperienza non esente da elementi positivi, che permetterà di sollevare tante domande riguardo alla causa pro-vita nel nostro Paese.