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NUOVO ORDINE ECONOMICO/1

Investimenti obbligati, così avanza il centralismo planetario

Se sviluppo sostenibile e decrescita sono diventati le nuove divinità, la finanza internazionale si è già organizzata per sostenere (con i nostri soldi) solo le aziende che si piegano al nuovo Verbo (ESG, Environmental, Social, Governance), mentre le aziende non-ESG saranno tartassate fiscalmente e non potranno accedere a finanziamenti.

Economia 16_11_2020

Premesso che non compete ai media la proclamazione ufficiale del nuovo Presidente e vice-Presidente Usa e che da Costituzione dovremo attendere il 14 dicembre, se il riconteggio dei voti dovesse confermare il ticket Biden-Harris come Presidente e vice-Presidente eletti, questa sarebbe una pessima notizia per coloro a cui stanno a cuore la difesa dei “princìpi non negoziabili”, cioè vita, famiglia naturale, libertà religiosa e di educazione; a cui aggiungiamo libertà economica e di impresa, promossi invece in modo sempre più convinto dall’Amministrazione Trump-Pence nel corso degli ultimi 4 anni.

La battaglia per il controllo della più grande potenza economica, politica e militare del pianeta si inscrive infatti all’interno di una più ampia “guerra” tra due visioni del mondo tra loro incompatibili, che non è certamente iniziata ieri. Proviamo a fare un passo indietro…

Il 25 settembre 2015, l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) ha approvato l'Agenda 2030 con i 17 “Obiettivi di sviluppo sostenibile” (Sustainable Development Goals, SDGs nell'acronimo inglese), articolati in 169 sotto-obiettivi da raggiungere entro il 2030 (cfr. https://unric.org/it/agenda-2030/). Il focus è sulla promozione dello sviluppo “equo e sostenibile”, sulla lotta contro il “cambiamento climatico di origine antropica” e la “diseguaglianza”, sulla “pianificazione familiare”, sulla costruzione di “società pacifiche e inclusive”. Tutto bene, quindi? No, non esattamente.

Il termine “sostenibilità”, già introdotto nel Rapporto Brundtland (1987), si è diffuso a seguito del Summit della Terra di Rio de Janeiro (1992) e della Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo, svoltasi a Il Cairo nel settembre del 1994 e organizzata dall’Unfpa, il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione.
Questo il ragionamento di fondo: la popolazione mondiale sta crescendo troppo, nei prossimi decenni ci saranno seri rischi di carenza delle risorse disponibili, occorre quindi agire subito per porvi rimedio, contrastando in ogni modo la natalità.

Quale la “soluzione” principe proposta per uno sviluppo “equo e sostenibile”? La «pianificazione familiare» per la «salute riproduttiva e sessuale»: tradotto dal gergo dell’ONU significa promozione della contraccezione, della sterilizzazione e di quell’altro male nefando che è l’aborto. Insomma, nella neo-lingua onusiana, i nuovi “diritti umani” da promuovere e, nel caso, da imporre in modo totalitario con la forza pubblica. L’Amministrazione Trump-Pence ha fatto più di tutte le altre precedenti amministrazioni conservatrici, anche più di Reagan, per contrastare tale agenda (per una sintesi cfr. l’analisi del Family Research Council al link: https://prayvotestand.org/actions).

Il "cambiamento climatico" di pretesa origine antropica, il panico creato ad arte a livello mondiale - «Non abbiamo più tempo!» - a cui si è aggiunta ultimamente la gestione emergenziale del Covid-19, sono il grimaldello per fare accettare alla collettività forti costi e importanti restrizioni alla libertà: “The Great Reset”, come invocato recentemente dal World Economic Forum, in cui la «disruption politica, economica e sociale» conseguente alla crisi del Covid-19 è presentata come un’«opportunità unica» per «migliorare la situazione del mondo», nella direzione di una governance mondiale (cfr. www.weforum.org).

Se la sconfitta di Trump fosse ufficialmente confermata dal riesame dei voti, questi disegni tecnocratici potrebbero avere un’accelerazione, anche se i quasi 71 milioni di voti legali a favore del Presidente sono un’ottima base da cui partire per contrastare l’attuazione dell’agenda ideologica del “cattolico adulto” Joe Biden e della ancor più radicale Kamala Harris.

Agli eco-catastrofismi di ieri e di oggi si aggiunge poi la teoria della cosiddetta “decrescita felice”, avanzata dall’economista-filosofo francese Serge Latouche (1940-), che condanna la ricerca della crescita economica e sociale, proponendo in alternativa un bien vivre in cui si è più poveri, certamente, ma in compenso più felici. La decrescita “serena” si sposa perfettamente con le politiche green e anti-natalità ostili alla famiglia naturale ed è un vessillo pauperista di moda nella sinistra radical-chic e no-global; pare invece abbia poco appeal presso i poveri veri, che semplicemente aspirano a un miglioramento delle proprie condizioni di vita.

Il concetto ambiguo di «sviluppo sostenibile» e l’ideologia “decrescista” riflettono il pessimismo di chi non crede alle straordinarie capacità inventive dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di un Dio creatore e quindi anch’esso in qualche modo sub-creatore - per dirla alla J.R.R. Tolkien (1892-1973) - all’interno del piano provvidenziale di Dio. Alla scuola di Benedetto XVI è opportuno parlare invece di «sviluppo umano integrale» (il termine «sviluppo» compare ben 256 volte nella lettera enciclica Caritas in veritate), non di «sviluppo sostenibile» e meno che mai di «decrescita felice», che danneggerebbe soprattutto i poveri.

La direzione di marcia che l’ONU, a livello mondiale, e la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea, nel nostro continente, vogliono imporre si sintetizza in un termine: “ESG”, acronimo di Environmental, Social, Governance.
I contribuenti finanzieranno, con scarsa consapevolezza, ingenti investimenti pubblici a favore di tale agenda, con rischi di malversazione e di canalizzazione dei fondi da parte del potere politico e del “capitalismo clientelare”, mentre le aziende non-ESG saranno probabilmente tartassate fiscalmente; gli investitori saranno indirizzati dagli intermediari a finanziare tale agenda con le loro scelte di investimento; i consumatori saranno spinti dalla propaganda a privilegiare nei loro acquisti i prodotti/servizi delle aziende ESG a scapito delle altre; le imprese ESG saranno privilegiate nell’ottenere prestiti dalle banche.

I flussi di denaro, insomma, saranno canalizzati per riplasmare il mondo in coerenza dei nuovi “princìpi non negoziabili” ESG: è inevitabile la falsificazione della concorrenza, che dovrebbe essere libera e leale, con conseguenti effetti distorsivi che rischiano di ridurre la creazione della ricchezza danneggiando ultimamente i più deboli, che pure si vorrebbero aiutare.

Il problema di tale “pianificazione” dall’alto è duplice, di metodo e di contenuti:

- di metodo, perché pensare di imporre centralmente degli obiettivi a tutto il pianeta, fossero anche tutti buoni in ipotesi, presume una presuntuosa onniscienza del pianificatore, è contrario alla realtà delle cose, quindi irrealistico e destinato all’insuccesso;

- di contenuti, perché accanto a obiettivi buoni o comunque moralmente neutri vi sono anche scopi contrari alla dignità dell’uomo e perseguiti con accanimento ideologico. Basti pensare alla promozione della società “liquida” e “poliamorosa” superando la famiglia naturale nella prospettiva obamiana del love is love, in cui i figli sono considerati come un ostacolo e non una risorsa. Emblematico di tale mentalità è il manifesto in lingua inglese di un’agenzia non-profit in cui si dice che «il dono più amorevole che si può fare al proprio figlio primogenito è quello di non averne un altro», per salvare il pianeta dall’inquinamento e dalla povertà (cfr. www.OnePlanetOneChild.org). Un mondo di figli unici, senza fratelli o sorelle quindi, né zii o cugini: a parte la tristezza che ispira questo futuro distopico, le ricadute sulla tenuta economica dei sistemi pensionistici e sanitari sarebbero molto pesanti, a danno proprio dei più poveri. Una “sostenibilità” davvero poco sostenibile.

1.continua