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RESA DI AZOV

Intesa tra Russia e Nato su Mariupol, ma la guerra continua

Sembra che tra i combattenti che si sono arresi all'acciaieria Azovstal di Mariupol non ci fossero solo i miliziani di Azov, ma anche diversi consiglieri militari americani e di paesi NATO. È questa, forse, la ragione della lunga telefonata tra Difesa russa e Pentagono, che avrebbe interesse a far sparire le prove di un coinvolgimento diretto nel conflitto di militari collusi con le milizie. Ma ora che Mariupol è in mano russa, la guerra si sposta a nord mentre comincia a diventare propagandistico l'uso dei prigionieri, da entrambe le parti.

- SULLE ARMI DECIDE DRAGHI di Ruben Razzante

Attualità 19_05_2022

Si sono arresi da lunedì scorso circa la metà dei soldati ucraini che ancora presidiavano l'acciaieria Azovstal a Mariupol. Lo ha reso noto ieri pomeriggio il ministero della Difesa russo. «Nelle ultime 24 ore, 694 combattenti, di cui 29 feriti, si sono arresi. Dal 16 maggio, 959 combattenti, di cui 80 feriti, si sono arresi», ha affermato il ministero in una nota in cui si precisa che 51 di loro sono stati ricoverati in ospedale a Novoazovsk, località sotto il controllo delle milizie della repubblica popolare di Donetsk non lontana dal confine russo.

Nello stabilimento industriale e nei suoi sotterranei resterebbero ancora un migliaio di combattenti soprattutto del Reggimento Azov, che Mosca invita ad arrendersi, e forse anche diversi consiglieri militari americani e di paesi NATO. Il tema potrebbe essere stato affrontato nei giorni scorsi dalla misteriosa telefonata, durata un’ora ma su cui è trapelato pochissimo, con cui il capo del Pentagono Lloyd Austin ha chiamato il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu.

Gli americani, che hanno sempre sostenuto insieme alla NATO di non prendere parte direttamente alle ostilità, avrebbero eventualmente interesse a far sparire in fretta le prove del loro coinvolgimento nelle operazioni di prima linea mentre Moca avrebbe tutto l’interesse a dare ampia visibilità alla cattura di consiglieri militari stranieri collusi con le milizie neo-naziste: non si può escludere però un‘intesa tra le due potenze che permetta agli occidentali di evacuare senza troppa visibilità i propri militari in cambio di qualche concessione politica, militare o diplomatica.

La vittoria russa a Mariupol è ormai totale con la caduta anche dell’ultima roccaforte ma non c’è dubbio che i russi avessero già assunto da tempo il controllo della città assieme alle milizie del Donbass procedendo a rimuovere le macerie delle rovine della guerra, distribuire cibo agli abitanti e bonificare i molti ordigni esplosivi rimasti sul terreno dopo la battaglia.

Se in termini strategici la vittoria russa a Mariupol era già consolidata, la resa incondizionata del reggimento Azov ha un forte valore simbolico a sostegno della campagna tesa a “denazificare” l’Ucraina. Un valore anche propagandistico ben colto dagli ucraini che infatti non parlano di “resa” delle proprie truppe ma di “evacuazione” dall’Azovstal.

Gli eredi delle SS ucraine ben rappresentano nella simbologia russa il nemico che torna ad alzare la testa dopo la vittoria sovietica e degli alleati del 1945. L’impressione è che Mosca voglia mostrare al mondo il frutto del sudato successo a Mariupol ma potrebbe decidere in seguito consegnare a Kiev i combattenti del Reggimento Azov barattandoli che un congruo numero di prigionieri russi.

“Carne da cannone” per entrambi i contendenti pur tenendo conto che i russi potrebbero voler punire in modo esemplare almeno alcuni membri del Reggimento Azov e i loro comandanti (ancora tutti trincerati nell’acciaieria) macchiatisi fin dal 2014 di crimini contro i civili russofoni del Donbass.

Si tratterebbe anche di una sorta di risposta al primo processo per crimini di guerra in Ucraina, in corso a Kiev contro il soldato russo Vadim Shishimarin, 21 anni accusato di aver ucciso un civile di 62 anni su ordine del suo comandante nell’Ucraina nord orientale.

In attesa di valutare quale uso propagandistico i russi faranno dei prigionieri dell’Azov, la vittoria ormai totale a Mariupol consentirà al comando del generale Aleksandr Dvornikov, che guida le operazioni russe in Ucraina, di dirottare altre truppe più a nord, nel Donbass, dove i russi cercano di chiudere in una sacca le truppe ucraine poste a difesa degli ultimi lembi delle province di Donetsk e Luhansk ancora in mano agli ucraini, tra Severodonetsk, Slavyansk e Kramatorsk. Qui i russi continuano ad avanzare lentamente spingendo verso ovest le combattive ma provate forze ucraine.  

«Dal punto vista militare le cose sicuramente non sono andate come Putin avrebbe desiderato, però gli obiettivi dichiarati all'inizio della campagna li ha conseguiti, anche con la resa dell'acciaieria - afferma all'Adnkronos il generale Marco Bertolini, paracadutista, incursore e veterano di molte operazioni militari dal Libano alla Somalia, dai Balcani all’Afghanistan -. Ormai il dominio russo sulla fascia dal Donbass alla Crimea fino a Kherson è incontrastato. L'obiettivo tattico è stato conseguito, manca l'obiettivo politico». 

Espugnare il Donbass, abbinato alle conquiste territoriali nella regione di Kherson e a Mariupol, consentirebbe comunque a Putin di dichiarare la vittoria o almeno il conseguimento degli obiettivi militari ma ben difficilmente l’Ucraina accetterà di sedersi al tavolo delle trattative. 

Kiev ha sempre sostenuto che nessun dialogo sarà possibile senza il ritiro russo dai territori ucraini, ritiro che a Mosca nessuno sembra prendere in considerazione e l’impressione è che entrambe i contendenti ritengano di poter vincere una guerra di logoramento. Almeno sul piano ufficiale infatti, non sembrano esserci contatti o negoziati tra russi e ucraini.